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venerdì 27 aprile 2018

La magnifica ossessione di Monet :"Il mio giardino è un'opera lenta, perseguita con amore"

Primavera, i terapeuti scoprono e consigliano l'ortoterapia, il fermarsi e il guardar, o meglio, contemplar la natura, e allora, perchè non dedicare un nanosecondo e qualche byte a Monet, che del giardino fece la sua incantevole e magnifica, e immaginifica, ossessione positiva?
Dal web, quel luogo che potrebbe essere un bellissimo e infinito museo virtuale,
ma che spesso, scade, in quel che chiaramente descriveva Umberto Eco.

domenica 17 novembre 2013

Per una storia dei bisogni di Ivan Illich

IVAN ILLICH

Per una storia dei bisogni

Introduzione

I cinque saggi qui raccolti rispecchiano un decennio di riflessioni sul modo di produzione
industriale. Durante questo periodo mi sono soprattutto occupato dei processi attraverso i quali
una crescente dipendenza da beni e servizi prodotti in serie elimina a poco a poco le condizioni
necessarie per una vita conviviale. 
Ciascun saggio, nell'esaminare un settore diverso della crescita economica, dimostra una regola generale: i valori d'uso vengono ineluttabilmente distrutti quando il modo di produzione industriale raggiunge quel predominio che io ho chiamato “monopolioradicale”. 
Nell'assieme i saggi descrivono in che modo la crescita industriale produce la versione moderna della povertà.
Questo tipo di povertà fa la sua apparizione quando l'intensità della dipendenza dal mercato arriva
a una certa soglia. Sul piano soggettivo, essa è quello stato di opulenza frustrante che s'ingenera
nelle persone menomate da una schiacciante soggezione alle ricchezze della produttività
industriale. Essa non fa altro che privare le sue vittime della libertà e del potere di agire
autonomamente, di vivere in manièra creativa; le riduce a sopravvivere grazie al fatto di essere
inserite in relazioni di mercato. Questo nuovo tipo d'impotenza, proprio perché vissuta a livello
così profondo, difficilmente riesce a trovare espressione. Siamo testimoni di una trasformazione
appena percettibile del linguaggio corrente, per cui verbi che una volta indicavano azioni intese a
procurare una soddisfazione vengono sostituiti da sostantivi che indicano pr<> dotti di serie
destinati a un mero consumo passivo: “imparare”, per esempio, diventa “acquisto di un titolo di
studio”. Traspare da questo un profondo cambiamento dell'immagine che gli individui e la società
si fanno di se stessi. E non è solo il profano che fa fatica a descrivere con precisione ciò che
avverte. L'economista di professione non sa riconoscere quella povertà che i suoi strumenti
convenzionali non sono in grado di rilevare. Il nuovo fattore di mutazione dell'impoverimento
continua tuttavia a diffondersi. L'incapacità, peculiarmente moderna, di usare in modo autonomo
le doti personali, la vita comunitaria e le risorse ambientali infetta ogni aspetto della vita in cui
una merce escogitata da professionisti sia riuscita a soppiantare un valore d'uso plasmato da una
cultura. Viene così soppressa la possibilità di conoscere una soddisfazione personale e sociale al di
fuori del mercato. Io sono povero, per esempio, una volta che per il fatto di abitare a Los Angeles
o di lavorare al trentacinquesimo piano abbia perduto il valore d'uso delle mie gambe.
Questa nuova povertà generatrice d'impotenza non va confusa col divario tra i consumi dei ricchi e
dei poveri, sempre maggiore in un mondo in cui i bisogni fondamentali sono sempre più
determinati dai prodotti industriali. Tale divario è la forma che la povertà tradizionale assume in
una società industriale, e che i termini convenzionali della lotta di classe adeguatamente mettono
in luce e riducono. Distinguo altresì la povertà di tipo moderno dai prezzi gravosi imposti dalle
“esternalità” che gli accresciuti livelli di produzione rigettano nell'ambiente. E’ chiaro che questi
tipi di inquinamento, di tensione e di carichi fiscali sono ripartiti in maniera ineguale, e che in
maniera altrettanto ineguale sono distribuite le difese da tali depredazioni. Ma, come i nuovi divari
in fatto di accesso, anche queste iniquità dei costi sociali sono aspetti della povertà industrializzata
per i quali è possibile trovare indicatori economici e verifiche oggettive. Non è così invece per
l'impotenza industrializzata, che colpisce indifferentemente ricchi e poveri. Dove regna questo tipo
di povertà, è impedito o criminalizzato qualsiasi modo di vivere che non dipenda da un consumo di
merci.

Fare a meno di consumare diventa impossibile, non soltanto per il consumatore medio ma
persino per il povero. 

A nulla servono tutte le varie forme di assistenza sociale. 
La libertà di progettare e farsi a modo proprio la propria casa è soppressa, sostituita dalla fornitura burocratica di alloggi standardizzati, negli Stati Uniti come a Cuba o in Svezia. L'organizzazione dell'impiego, della manodopera qualificata, delle risorse edilizie, i regolamenti, i requisiti necessari per ottenere credito dalle banche, tutto porta a considerare l'abitazione come una merce anziché un'attività.
Che poi questa merce sia fornita da un imprenditore privato o da un apparatčik, il risultato
concreto è sempre lo stesso: l'impotenza del cittadino, la nostra forma, specificatamente moderna,
di povertà.
Ovunque si posi l'ombra della crescita economica, noi diventiamo inutili se non abbiamo un
impiego o se non siamo impegnati a consumare; il tentativo di costruirsi una casa o di mettere a
posto un osso senza ricorrere agli specialisti debitamente patentati è considerato una bizzarria anarchica.

continua a leggere (da pag.2)
http://www.comedonchisciotte.org/download/education/StoriaBisogni.pdf