uno dei libretti più divertenti e significanti, diciamo che lo usavamo
come critica a chi ci criticava.
buona lettura, grazie al buon cuore che l'ha linkato su fasbuk,
non potevo non copiare e incollare per il blog;
non un saggio ma filosofia pura,
o comunque quel che garba a chi ha sete di vita
Barbari / L'insorgenza disordinata
Crisso / Odoteo
Introduzione
Qualcuno ha notato che una delle maggiori astuzie di Marx
e stata quella di aver inventato il marxismo come lingua franca.
Fin dall'antichita e risaputo che I'arte della persuasione consiste
nel saper determinare, parlando o scrivendo, un preciso effetto
psicologico in chi legge o ascolta, ben al di la dei contenuti del
ragionamento svolto.
I Greci dicevano che persuadere significa «condurre a se gli animi».
Molte espressioni marxia-ne - e, si
potrebbe dire, lo stesso «rumore sottile» della sua prosa - hanno
affascinato, terrorizzato, reso emuli migliaia di lettori.
Locuzioni
quali «Condizioni sociali storicamente determinate, estrazione
del plusvalore, elemento oggettivamente controrivoluzionario,
...», certe tecniche giornalistiche e poi le famose inversioni
del genitivo («f ilosof ia della miseria, miseria della f ilosof ia»):
questo gergo ha fornito a molti aspiranti burocrati e a veri
dittatori un serbatoio di frasi fatte con cui giustificare il proprio
potere e a tanti socialdemocratici una cortina fumogena con cui
soddisfare chi si accontenta che alia capitolazione nella pratica
si accompagni la radicalita nello stile. L'importante era ed e
assumere I'atteggiamento di chi sa con scientifica precisione
di cosa sta parlando.
Lo stesso ruolo giocano oggi, siparva licet, i testi di Antonio
Negri. Due sono infatti, attualmente, le "centrali teoriche" di
quello che la neolingua giornalistica ha definito movimento
no-global: il collettivo di Le monde diplomatique e il nostro
professore padovano, appunto. Al primo si deve I'omonimo
mensile, I'organizzazione di conferenze e seminari, la pubbli-
cazione di libri e la creazione del cosiddetto movimento per la
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Tobin Tax (Attac), di cui esistono ormai diverse sezioni italiane.
Al secondo, fra i fondatori prima di Potere Operaio e poi di
Autonomia Operaia, si deve molto dell'ideologia operaista
italiana e, oggi, la teoria di cui le Tute bianche, i Disobbedienti
e tanti altri cittadini globali sono i soldatini. Si legga un qual-
siasi volantino di un qualsiasi social forum e vi si troveranno, a
colpo sicuro, le seguenti espressioni: societa civile, moltitudine,
movimento dei movimenti, reddito di cittadinanza, dittatura
del mercato, esodo, disobbedienza (civile o civica), globalizza-
zione dal basso, e cosi via. Pur avendo una storia piu o meno
lunga, questi concetti variamente assemblati costituiscono
I'attuale bignami del recuperatore alternative e del perfetto
riformista. Uno dei direttori di questa «fabbrica ontologica»,
uno dei tecnici di questa «macchina linguistica» e, ancora una
volta, Toni Negri.
Non incorreremo nell'errore banale di credere che siano
certe teorie a influenzare unilateralmente i movimenti. Le
teo-rie si diffondono in quanto servono determinati interessi e
rispondono a determinate esigenze. Impero di Negri e Hardt e,
in tal senso, un libro esemplare. Assieme alle elaborazioni dei
cugini "diplomatici" francesi, le sue pagine offrono la versione
piu intelligente del programma di sinistra del capitale. I gruppi
che ad esse si richiamano sono la versione globalizzata della
vecchia socialdemocrazia e la variante gassosa - che alia rigida
gerarchia dei funzionari ha sostituito il modello della rete (o
del rizoma) in cui il potere dei leader appare piu fluido - della
burocrazia stalinista. Insomma, il partito comunista del terzo
millennio, la pacificazione del presente, la controrivoluzione del
future Costruita sul declino del movimento operaio e delle sue
forme di rappresentanza, questa nuova maniera di far politica
non ha piu campi privilegiati di intervento (come la fabbrica
o il quartiere) e offre alle ambizioni degli aspiranti dirigenti
un terreno piu immediato di quello delle vecchie segreterie di
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partito: il rapporto coi mass media. Per questo partiti e sindacati
di sinistra si pongono come suoi alleati e vanno sovente a rimor-
chio delle sue iniziative, ben sapendo che, al di la dei piercing di
qualche piccolo leader e di certi slogan da retorica guerrigliera,
la politica disobbediente rappresenta la base (anche elettorale)
del potere democratico a venire. Dello stalinismo essa mantiene
intatto il ruolo, ma il suo futuro si inscrive soprattutto nella sua
capacita di porsi come forza di mediazione fra le tensioni sov-
versive e le esigenze dell'ordine sociale, portando i movimenti
nell'alveo istituzionale e attuando un'opera di denuncia degli
elementi che sfuggono al suo controllo.
D'altra parte lo Stato, dopo aver progressivamente assor-
bito il sociale, si e reso conto di soffocare ogni creativita sotto
il fardello istituzionale; costretto a riespellerlo, ha chiamato
questo scarto societa civile, abbellendolo con tutte le ideologie
della classe media: umanitarismo, volontariato, ambientalismo,
pacifismo, antirazzismo democratico. II consenso, nella dila-
gante passivita, ha bisogno di continue iniezioni di politica. A
questo servono i politici disobbedienti con i loro cittadini. Per
gli orfani della classe operaia, infatti, e la figura astratta del
cittadino ad avere oggi tutte le virtu. Giocando abilmente sui
signif icati della parola (il cittadino e alio stesso tempo il suddito
di uno Stato, il borghese, il citoyen della rivoluzione francese,
il soggetto della polis, il sostenitore della democrazia diretta),
questi democratici si rivolgono a tutte le classi. I cittadini della
societa civile si oppongono alia passivita dei consumatori quan-
to alia rivolta aperta degli sfruttati contro I'ordine costituito.
Sono I'anima buona delle istituzioni statali (o pubbliche, come
preferiscono dire), quelli che in una Genova qualsiasi inviteran-
no sempre, per dovere civico, la polizia a «isolare i violenti».
Con la complicity delle mobilitazioni democratiche dei "disob-
bedienti", lo Stato puo dare cosi maggiore forza e credibility
al suo ultimatum: o si dialoga con le istituzioni oppure si e
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"terrorists da perseguire (si leggano, in tal senso, i vari accordi
internazionali firmati dopo l'1 1 settembre). II «movimento dei
movimenti» e un potere costituente, cioe un'eccedenza sociale
rispetto al potere costituito, una forza politica istituente che
si scontra e interloquisce con la politica istituita - nell'idea di
Negri, la versione militante del concetto spinoziano di potenza.
La strategia e quella della progressiva conquista di spazi istitu-
zionali, di un consenso politico e sindacale sempre piu allargato,
di una legittimita ottenuta offrendo al potere la propria forza
di mediazione e la propria cauzione morale.
Nel racconto negriano, il vero soggetto della storia e uno
strano essere dalle mille metamorfosi (prima operaio-massa,
poi operaio sociale, ora moltitudine) e dalle mille astuzie. E
lui, infatti, ad avere il potere anche quando tutto parrebbe
testimoniare il contrario. Tutto cio che il dominio impone
e lui, in realta, ad averlo voluto e conquistato. L'apparato
tecnologico incorpora il suo sapere collettivo (non la sua alie-
nazione). II potere politico asseconda le sue spinte dal basso
(non il suo recupero). II Diritto formalizza il suo rapporto di
forza con le istituzioni (non la sua integrazione repressiva). In
questa visione edificante della storia, tutto avviene secondo
gli schemi del marxismo piu ortodosso. Lo sviluppo delle forze
produttive - autentico fattore di progresso - entra continua-
mente in contraddizione con i rapporti sociali, modificando
I'assetto della societa nel senso deU'emancipazione. L'impianto
e lo stesso della socialdemocrazia tedesca classica, cui si deve
I'irref utabile privilegio di aver stroncato nel sangue un assalto
rivoluzionario e poi gettato i proletari nelle mani del nazismo.
E socialdemocratica e I'illusione di opporre al potere delle
multinazionali quello delle istituzioni politiche, illusione che
Negri condivide con gli statalisti di sinistra de Le monde diplo-
matique. Se entrambi denunciano tanto spesso il «capitalismo
selvaggio», i «paradisi fiscali», la «dittatura dei mercati», e
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perche vogliono nuove regole politiche, un nuovo governo
della globalizzazione, un altro New Deal. In questo senso va
letta la proposta di un reddito universale di cittadinanza, che
i negriani meno "dialettici" non hanno scrupoli a presentare
apertamente come un rilancio del capitalismo.
Nonostante due decenni di duri conflitti sociali, il capitali-
smo e riuscito ad aggirare la minaccia rivoluzionaria, attraverso
un processo giunto a compimento alia fine degli anni Settanta,
con lo smantellamento dei centri produttivi e la loro diffusione
sul territorio, e col completo assoggettamento della scienza al
dominio. A questa conquista di ogni spazio sociale corrisponde,
quale ulteriore frontiera da varcare, I'entrata del capitale nel
corpo umano attraverso il dominio degli stessi processi vitali
della specie: le necrotecnologie sono I'ultimo esempio del suo
vagheggiamento di un mondo interamente artificiale. Ma per
Negri tutto do e espressione della creativita della moltitudine.
La subordinazione totale della scienza al capitale, I'investimento
nei servizi, nel sapere e nella comunicazione (la nascita delle
«risorse umane», secondo il linguaggio manageriale), per lui
esprime il «divenir-donna» del lavoro, cioe la forza produttiva
dei corpi e della sensibilita. Nell'epoca del «lavoro immateriale»
i mezzi di produzione di cui la moltitudine deve assicurarsi la
proprieta comune sono i cervelli. La tecnologia, in tal senso,
democratizza sempre piu la societa, poiche il sapere che il
capitalismo mette a profitto oltrepassa ogni ambito salariale,
coincidendo di fatto con I'esistenza stessa degli esseri umani.
Ecco cosa significa, allora, la rivendicazione di un reddito
minimo garantito: se il capitale ci fa produrre in ogni istante,
che ci paghi anche se non siamo impiegati come salariati e gli
renderemo il denaro consumando.
Le conclusioni di Negri e soci sono il perfetto rovesciamento
delle idee di chi, gia negli anni Settanta, sosteneva che la rivo-
luzione passa attraverso il corpo, che la condizione proletaria
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e sempre piu universale e che la vita quotidiana e il luogo
autentico della guerra sociale. II fine dei recuperatori e sempre
10 stesso. Negli anni Settanta, per conquistarsi un posto al sole
parlavano di sabotaggio e di guerra di classe; oggi propongono
la costituzione di liste civiche, I'accordo con i partiti, I'entrata
nelle istituzioni. II loro gergo e le loro acrobazie linguistiche
mostrano che la dialettica marxista e capace di ogni prodezza;
passando da Che Guevara a Massimo Cacciari, dai contadini del
Chiapas alia piccola impresa veneta, oggi giustifica la delazione
come ieri teorizzava la dissociazione. D'altronde, come essi stessi
riconoscono, I'importante non sono le idee ne i metodi, bensi
«le parole d'ordine perentorie».
Per i teorici "disobbedienti" le istituzioni politiche sono
ostaggio del capitale multinazionale, semplici camere di regi-
strazione di processi economici globali. In realta, dal nucleare
alia cibernetica, dallo studio dei nuovi materiali all'ingegneria
genetica, dall'elettronica alle telecomunicazioni, lo sviluppo
della potenza tecnica - base materiale di quella che viene
definita globalizzazione - e legato alia fusione dell'apparato
industriale e scientifico con quello militare. Senza il settore ae-
rospaziale, senza I'Alta velocita ferroviaria, senza i collegamenti
attraverso i cavi a fibre ottiche, senza i porti e gli aeroporti,
come potrebbe esistere un mercato globale? Aggiungiamo
11 ruolo fondamentale delle operazioni di guerra, lo scambio
continuo di dati fra il sistema bancario, assicurativo, medico
e poliziesco, la gestione statale delle nocivita ambientali, la
sorveglianza sempre piu capillare, e si cogliera come sia mistifi-
catorio parlare di declino dello Stato. Quella che sta cambiando
e semplicemente una certa forma statale.
A differenza di altri socialdemocratici, per Negri non
e piu possibile la difesa dello Stato "sociale" nazionale, in
quanto costituzione politica ormai superata. Si apre pero una
prospettiva ancora piu ambiziosa: la democrazia europea. Da
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un lato il potere si pone infatti il problema di come pacificare
le tensioni sociali, stante la crisi della politica rappresentativa.
Dall'altro i "disobbedienti" cercano nuove strade per rendere
piu democratiche le istituzioni, rendendo piu istituzionali i
movimenti. Ecco il possibile incontro: «Chi ha dunque interesse
all'Europa politica unita? Chi e il soggetto europeo! Sono quelle
popolazioni e quegli strati sociali che vogliono costruire una
democrazia assoluta a livello di Impero. Che si propongono
come contro-lmpero. [...] II nuovo soggetto europeo non rifiuta
dunque la globalizzazione, anzi, costruisce I'Europa politica
come luogo dal quale parlare contro la globalizzazione, nella
globalizzazione, qualificandosi (a partire dallo spazio europeo)
come contropotere rispetto all'egemonia capitalistica dell'lm-
pero» (da Europa politica. Ragioni di una necessita, a cura di
H. Friese, A. Negri, P. Wagner, 2002).
Siamo giunti alia fine. Sotto una fitta cortina fumogena
di slogan e di frasi ad effetto, sotto un gergo che ammicca e
terrorizza, ecco ora definito un programma semplice per il ca-
pitale e grandioso per la moltitudine. Cerchiamo di riassumerlo.
Grazie ad un reddito garantito, i poveri possono essere flessibili
nella produzione di ricchezza e nella riproduzione della vita,
e rilanciare cosl I'economia; grazie alia proprieta comune dei
nuovi mezzi di produzione (i cervelli), il «proletariato immate-
riale» puo «cominciare attraverso I'Europa una lunga marcia
zapatista della forza-lavoro intellettuale»; grazie a nuovi diritti
universali di cittadinanza, il dominio puo attraversare la crisi
dello Stato-nazione e includere socialmente gli sfruttati. I pa-
droni non lo sanno ma, lasciati finalmente liberi di svilupparsi,
i nuovi mezzi di produzione realizzeranno di fatto cio che
contengono gia in potenza: il comunismo. Occorre solo fare i
conti coi capitalisti ottusi, reazionari, neoliberisti (insomma, con
la "cattiva" globalizzazione). Tutto cio sembra essere concepito
apposta per confermare quello che Walter Benjamin consta-
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tava oltre sessant'anni fa, qualche settimana dopo il patto di
non aggressione fra Stalin e Hitler: «Non c'e nulla che abbia
corrotto i lavoratori tedeschi quanto la persuasione di nuotare
con la corrente. Per loro lo sviluppo tecnico era il favore della
corrente con cui pensavano di nuotare».
Ma le acque agitate della corrente nascondono insidie peri-
colose, come avverte lo stesso Negri: «adesso ci troviamo in una
costituzione imperiale nella quale monarchia ed aristocrazia
lottano tra loro, ma i comizi della plebe sono assenti. Cio de-
termina una situazione di squilibrio, dal momento che la forma
imperiale puo esistere in maniera pacificata solo quando questi
tre elementi si equilibrano tra loro» (da MicroMega, maggio
2001). Insomma, cari senatori, Roma e in pericolo. Senza "dia-
lettica" fra movimenti sociali e istituzioni, i governi sono "ill e-
gittimi", quindi insicuri. Come hanno dimostrato mirabilmente
prima Tito Livio e poi Machiavelli, I'istituzione del tribunato
della plebe serviva a controbilanciare la continua espansione
imperiale romana con I'illusione della partecipazione popolare
alia politica. Ma il celebre apologo di Menenio Agrippa - che
apostrofava la plebe ammutinata dicendole che solo grazie
ad essa Roma viveva, come un corpo vive solo grazie alle sue
membra - rischia in effetti di concludersi. L'lmpero sembra aver
sempre meno bisogno dei poveri che produce, lasciati a marcire
a milioni nelle riserve del paradiso mercantile. D'altra parte, la
plebe potrebbe farsi minacciosa, come un'orda di barbari - e
scendere si dal colle verso la citta, ma con le peggiori inten-
zioni. Per gli sfruttati irrequieti e irragionevoli la mediazione
dei nuovi dirigenti potrebbe essere odiosa quanto il potere in
carica e inefficace quanto una lezione di civismo fatta a chi ha
gia i piedi sul tavolo. La polizia, anche in tuta bianca, potrebbe
non bastare.
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Aspettando i barbari
Cosa aspettiamo qui riuniti al Foro?
Oggi devono arrivare i barbari.
Perche tanta inerzia al Senato?
E i senatori perche non legiferano?
Oggi arrivano i barbari.
Che leggi possono fare i senatori?
Venendo i barbari le faranno loro.
Perche Vimperatore si e alzato di buon'ora
e sta alia porta grande della citta, solenne
in trono, con la corona sulla fronte?
Oggi arrivano i barbari e il sovrano
e in attesa della visita del loro capo;
anzi, ha gia pronta la pergamena
da offrire in dono
dove gli conferisce nomi e titoli.
Perche i nostri due Consoli e i Pretori
stamane sono usciti in toga rossa ricamata?
perche portano bracciali con tante ametiste
e anelli con smeraldi che mandano barbagli?
perche hanno in mano le rare bacchette
tutte d'oro e d'argento rifinito?
Oggi arrivano i barbari
e queste cose ai barbari fan colpo.
Perche non vengono anche i degni
oratori a perorare come sempre?
Oggi arrivano i barbari
e i barbari disdegnano eloquenza e arringhe.
Tutto a un tratto perche questa inquietudine
e questa agitazione? (oh, come i visi si son fatti gravi).
Perche si svuotano le vie e le piazze
e tutti fanno ritorno a casa preoccupati?
Perche e gia notte e i barbari non vengono.
E arrivato qualcuno dai confini
a dire che di barbari non ce ne sono piu.
Come faremo adesso senza i barbari?
Dopotutto, quella gente era una soluzione.
Costantino Kavafis
"II sogno della costituzione di un impero mondiale non
si ritrova soltanto nella storia antica: e il risultato logico
di tutte le attivita di potere, e non e limitato a nessun
determinato periodo. La visione del dominio mondiale,
benche sia passata attraverso le molte variazioni
connesse con I'insorgere di nuove condizioni sociali,
non e mai scomparsa dall'orizzonte politico..."
Rudolf Rocker
«La servitu a cui erano sottoposti i sudditi di Roma non
tardo ad estendersi agli stessi Romani. [...] Non c'era
modo di evitare la servitu, e quelli che erano chiamati
cittadini erano pronti a mettersi in ginocchio ancora
prima di avere un padrone. [...]
A Roma non era davanti all'imperatore in quanto
uomo, ma davanti all'Impero che tutti si piegavano; e
la forza dell'Impero era costituita dal meccanismo di
un'amministrazione molto centralizzata, perfettamente
organizzata, da un numeroso esercito permanente
per lo piu disciplinato, da un sistema di controllo che
si estendeva ovunque. In altri termini lo Stato, non il
sovrano, era la fonte del potere»
Simone Weil
«Una sola legge, la legge imposta da Roma, regnava
sull'Impero. Questo Impero non era in nessun modo una
societa di cittadini, ma soltanto una mandria di sudditi.
Fino ad oggi il legislatore e I'autoritario ammirano
I'unita di questo Impero, lo spirito unitario delle sue
leggi, la bellezza — a loro dire — e I'armonia
di questa organizzazione»
Petr Kropotkin
Impero
Un incubo tormenta i servitori dell'Impero — l'in-
cubo del suo possibile crollo. Tutti i cortigiani
sparsi per il mondo, personaggi politici e gene-
rali, amministratori delegati e pubblicitari, gior-
nalisti ed intellettuali, vanno interrogandosi su come
scongiurare questa spaventosa minaccia.
L'Impero e presente dappertutto, ma non governa da
nessuna parte. La sua invincibilita militare luccica al sole,
abbacinando i suoi ossequiosi ammiratori. Ma le sue
fondamenta sono marce. L'ordine sociale dentro i suoi
confini viene continuamente messo in discussione. Nel
1989 l'abbattimento del muro di Berlino venne presenta-
to come l'atto simbolico che avrebbe sancito la fine della
"guerra fredda" fra le due superpotenze contrapposte,
l'alba di una nuova era di pace e di stabilita. Lunifica-
zione del pianeta sotto un unico modello di vita, quello
capitalistico privato, doveva garantire la definitiva messa
al bando di ogni conflittualita. In un certo senso, si puo
dire che e accaduto esattamente l'opposto. Nella storia
moderna non si erano mai visti cosi tanti conflitti bellici
insanguinare il mondo come dopo il 1989. Se fino ad allo-
ra i vari eserciti erano in uno stato di allarme permanen-
te, oggi sono in continua mobilitazione. Le forze militari
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non trascorrono piu il loro tempo ad addestrarsi, ma a
combattere sul campo. La guerra da fredda e diventata
calda, in alcuni posti bollente, e si sta generalizzando.
Solo che adesso il massacro dettato dalla ragione di
Stato non viene piu chiamato guerra, bensi operazione
dipolizia. Essendosi esteso dappertutto, l'lmpero non ha
piu nemici esterni da cui difendersi, solo nemici interni
da controllare e reprimere. Non esiste piu un fuori, come
amano ricordare i servitori dell'Impero, esiste solo un
dentro. Ma questo dentro sta letteralmente implodendo.
Per farsi spazio, l'lmpero ha spazzato via il vecchio
modello dello Stato-nazione. Ma come si fa a convincere
intere popolazioni finora tenute assieme e rese mansue-
te dal vischio dell'identita popolare che — ad esempio
— non esistono piu serbi e kosovari, o israeliani e pale-
stinesi, ma solo sudditi resi simili dall'obbedienza ad un
unico sistemasociale? Cosi, nel momento del suo trionfo,
l'lmpero accende e rinnova feroci guerre civili.
Per consolidarsi, l'lmpero ha fuso il potere politico e
quello economico, il potere scientifico e quello militare in
un unico apparato. Ma come puo fare a meno dell'azione
politicaspecificaindispensabile per mantenere il proprio
equilibrio — la mediazione che e innanzi tutto mode-
razione — senza lanciarsi a briglie sciolte nella ricerca
sfrenata del massimo profitto? Cosi, nel momento del suo
trionfo, l'lmpero scatena forti tensioni sociali.
Per radicarsi, l'lmpero ha imposto in ogni dove la
religione del denaro. Ma come e pensabile che la trascen-
denza di tradizioni e riti millenari, dopo aver impregnato
a fondo ogni ambito della vita sociale e dato un senso
all'esistenza di milioni di devoti, possa lasciare il posto
all'immanenza della merce senza sollevare ribellioni? Lo
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stesso libro sacro del cristianesimo, la Bibbia, ricorda
la furia di Cristo davanti alia presenza dei mercanti nel
tempio ed il loro violento allontanamento: «Sta scritto:
La casa mia sara chiamata casa di preghiera, ma voi ne
avete fatta una spelonca di ladri» (Mt 21,13). Cosi, nel
momento del suo trionfo, l'lmpero eccita fondamenta-
lismi religiosi.
Ci troviamo di fronte ad una situazione paradossale.
Da un lato il regno del capitale e riuscito a conquistare
un dominio assoluto, ad unire Occidente ed Oriente sotto
un'unica bandiera, ad annullare ogni visione dell'esisten-
za umana che non sia fondata sulle leggi dell'economia;
ma dall'altro lato, con tutto il potere acquisito, coi suoi
pretoriani sparsi in ogni angolo a protezione degli incas-
si, il capitalismo sta dimostrando di non essere in grado
di controllare nulla. L'lmpero e temuto, ma non e amato. E
subito, non scelto. Possiede la forza, non il consenso. Se
vuole allontanare il piu possibile la minaccia di un crollo,
ha un'unica strada da percorrere: farsi accettare non
attraverso l'imposizione ma attraverso l'adesione, venire
riconosciuto come giusto, necessario, inevitabile.
Ma come puo l'lmpero — sinonimo di un ordinamento
sociale basato sul sopruso e l'arroganza, causa di crudel-
ta e sofferenza — riuscire a farsi amare dai suoi sudditi? II
controllo lo si impone con le armi. II consenso lo si ottie-
ne con le lusinghe. Se l'lmpero vuole insinuare le proprie
ragioni fra i propri sudditi al fine di farle accettare ed
apprezzare, deve giocare d'astuzia ricorrendo all'ausilio
di emissari. Fra questi i piu scaltri non sono di certo co-
loro che brillano solo nell'arte dell'adulazione, giacche
verrebbero immediatamente smascherati per quel che
sono — servi fra i servi. No, un compito talmente com-
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plesso e delicato puo essere portato a termine solo da
chi sa mettere in mostra i limiti dell'ordine imperiale. Le
osservazioni pungenti sul conto dell'Impero affascinano
sempre i sudditi riottosi che, coinvolti da questi emis-
sari in una complicity fittizia, non si awedono di come
lo scopo della critica dell'imperfezione sia funzionale al
raggiungimento della perfezione, trasformando l'lmpero
da qualcosa di cui sbarazzarsi in qualcosa da correggere
ma di cui non poter fare a meno.
A dimostrazione dell'urgenza con cui devono venire
eseguiti i lavori di ristrutturazione e di ampliamento
deU'edificio imperiale, i suoi emissari si stanno facendo
sempre piu numerosi. Due di loro, Michael Hardt ed An-
tonio Negri, hanno da poco pubblicato un libro che sta
riscuotendo un discreto successo. Sfoggiando il proprio
gergo universitario per assoggettare l'ignoranza dei
sudditi, la solita stantia e spuntata arma intimidatoria
del terrorismo intellettuale in cerca di approvazione,
questi due cattedratici mettono il dito sulle tante pia-
ghe purulente dell'Impero cercando al tempo stesso di
spiegare ai propri lettori perche non sipossa proprio fare
a meno di accettarlo. II titolo di questo capolavoro del
dissenso filoimperiale e un omaggio al proprio adorato
genitore: Impero.
A MALINCUORE
Come si puo fare accettare una condizione di sposses-
samento, di alienazione, di sfruttamento, senzasuscitare
qualche moto di rabbia e ribellione? La risposta e solo
apparentemente impossibile. Basta introiettare in chi la
subisce la persuasione che cio che sta vivendo e inelut-
tabile, governato da una tragica quanto fatale necessita.
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L'introiezione dei valori dominanti costituisce infatti la
base della riproduzione sociale. Etienne De La Boetie,
nel suo immortale Discorso sulla servitu volontaria, fa
notare come la supina accettazione dei molti al potere
dei pochi vada fatta risalire al coutume, il cui significato
oscilla fra quello di consuetudine storico-tradizionale
e quello di abitudine psicologica: esso sta ad indicare
un processo di adattamento alia forma di societa in cui
l'uomo si trova inserito e che finisce per determinarlo
in gran parte dei suoi comportamenti.
La ragione principale per cui gli uomini accettano di
sottomettersi al potere e perche nascono servi e sono
allevati come tali. «E pur vero — sostiene La Boetie — che
all'inizio l'uomo serve a malincuore, costretto da forza
maggiore; ma quelli che vengono dopo, non avendo mai
visto la liberta e non sapendo neppure cosa sia, servono
senza alcun rincrescimento e fanno volentieri cio che i
loro padri hanno fatto per forza. E cosi gli uomini che
nascono con il giogo sul collo, nutriti e allevati nella
servitu, senza sollevare lo sguardo un poco in avanti si
accontentano di vivere come sono nati, e non riuscendo
a immaginare altri beni e altri diritti da quelli che si sono
trovati dinnanzi prendono per naturale la condizione
in cui sono nati». Cio significa che possiamo diventare
consapevoli della mancanza di liberta solo avendo avu-
to modo di sperimentarla o di conoscerla. L'esperienza
della prigionia rappresenta un dramma solo se siamo in
grado di paragonarla con quella della liberta, per quanto
vigilata e condizionata essa sia, a cui siamo stati strappa-
ti al momento della cattura. Dalla profonda differenza che
intercorre fra queste due esperienze vissute scaturisce
il nostro desiderio di evasione, di rivolta. Mase fossimo
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nati e cresciuti in un carcere, se le mura di una prigione
costituissero tutto il nostro orizzonte, riempissero tutti
i nostri sogni, ritmassero tutte le nostre azioni, come
potremmo desiderare una liberta mai conosciuta? Essen-
do la detenzione la nostra unica ed abituale condizione
di vita, forse la considereremmo naturale, finendo per
accettarla di buon grado. O anche per pensare, come
denunciava Orwell, che la liberta e la schiavitu.
L'Impero, come ogni altra forma di dominio, fonda la
propria continuity sulla pretesa naturalita del potere
che esercita. La critica dell'Impero in quanto tale, nella
sua totalita e non nei suoi singoli aspetti, viene fatta
apparire come una forma di follia o di aberrazione. Ma
questa oggettivazione del dominio necessita di ulteriori
sostegni, piu solidi e convincenti, oltre a quello della
consuetudine. Come ricorda lo stesso La Boetie, «non c'e
erede tanto spensierato e incurante che qualche volta
non dia un'occhiata ai registri di famiglia per vedere se
gode di tutti i diritti di successione o se invece non sia
awenuta qualche macchinazione contro di lui o contro
i suoi predecessori». La consuetudine da sola non basta.
Qualcuno potrebbe finire con l'annoiarsi ed abbandona-
re questo meccanismo psicologico individuate. Bisogna
percio truccare i «registri di famiglia» con un meccanismo
storico collettivo, in maniera che la loro lettura decreti un
risultato univoco e definitivo per tutti. Ma come?
E facile comprendere che una censura totale dei nostri
diritti, una nostra esclusione dai registri ad esclusivo
profitto di chi detiene il potere, risulterebbe quanto
meno sospetta e potrebbe provocare una furibonda rea-
zione: e noi chi siamo? se non ci date niente, ci prendere-
mo tutto! Piu intelligente e invece includerci nel lascito,
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integrarci attribuendoci la responsabilita per quanto
accade, lusingarci con la richiesta di partecipazione alle
vicissitudini della famiglia, in modo tale da farci perce-
pire la realta che ci circonda non come qualcosa che ci
sovrasta, che dobbiamo subire, ma come un prodotto
da noi risolutamente voluto e a cui abbiamo concorso
direttamente con la nostra attivita, e che di conseguenza
ci appartiene. Se «quando lo Stato si prepara ad assas-
sinare si fa chiamare patria», come diceva Diirrenmatt,
e perche vuole che i suoi "cittadini" combattano pen-
sando di farlo per se stessi, senza accorgersi di morire
«per le camere blindate delle banche» (Anatole France).
Alio stesso modo il motivo per cui quando il padrone si
prepara a guadagnare si fa chiamare azienda e perche
vuole che i propri "dipendenti" lavorino pensando di
farlo per se stessi, senza accorgersi di essere sfruttati a
suo esclusivo beneficio. L'obbedienza diventa assoluta,
messa al riparo da ogni dubbio, quando non viene piu
vissuta come coercizione o tara ereditaria ma come
espressione di una volonta sociale.
A questo proposito, i due emissari dell'Impero si mo-
strano oltremodo schivi nell'affermare che «flirtando con
Hegel, si potrebbe dire che la costruzione dell'Impero
e buona in se, ma non per se». In realta il loro rapporto
con il padre della dialettica non e mera civetteria, e
un'autentica storia d'amore. La loro analisi dell'Impero
viene condotta in conformita con la dialettica hegeliana.
Non e un caso. Hegel era persuaso che la propria filosofia
rappresentasse lo spirito del tempo in cui era sorta. Da
questo convincimento si sentiva spinto ad attribuirle il
compito di dimostrare, grazie alia propria superiority
sulle filosofie del passato, che la societa in cui scaturiva
21
(cioe la realta storica dello Stato prussiano) costituiva
l'apice di tutte le civilta anteriori. Si tratta, a ben vedere,
della stessa ambizione che anima i due emissari contem-
poranei nei riguardi dell'Impero.
Una peculiarity di Hegel, quella per cui dovrebbe
essere ricordato con riconoscenza dai piu accorti fun-
zionari del dominio, consiste nella sua comprensione
che l'unita — a cui aspira qualsiasi forma di potere — ri-
sulterebbe invincibile se, anziche venire fondata sulla
esclusione della molteplicita — cioe dell'opposizione
— , trovasse la propria realizzazione neH'assimilazione
di quest'ultima. In altre parole, per Hegel l'unita con-
creta si puo raggiungere conciliando le differenze, non
sterminandole. E solamente attraverso le differenze dei
molteplici e attraverso i loro conflitti che si puo arrivare
ad un'unita concreta duratura. Per Hegel, quindi, l'unita
scaturisce proprio dalla lotta continua fra i molteplici
che la compongono. La sua menzogna e manifesta: se
questa unita non sopprime il molteplice, essa non lo
realizza neppure giacche si limita ad addomesticarlo per
metterlo al servizio della tesi iniziale. E questo il senso
della dialettica a cui Hegel affida il compito di svelare i
processi piu intimi della realta. Nel processo dialettico
hegeliano, l'affermazione di un concetto costituisce la
tesi; la sua negazione costituisce l'antitesi. Dal conflitto
tra tesi e antitesi nascera la sintesi, che accoglie tesi e
antitesi in una unita superiore in cui entrambe vengono
conservate come momenti diversi. Ma la sintesi rap-
presenta in un certo qual modo un ritorno alia tesi, pur
trattandosi di un ritorno arricchito di tutto cid che e stato
apportato dall'antitesi. Risulta chiaro che la pura esi-
stenza di due opposti non basta a generare un rapporto
22
dialettico. A tale fine occorre qualcosa di piu: occorre
che i due opposti vengano mediati fra loro. Mediare due
opposti significa sottrarne l'irriducibilita, collegarli l'uno
all'altro, creare tra loro un ponte comunicativo. Significa
pacificarli attraverso la conciliazione, ma a vantaggio di
un'unica parte — quella iniziale del piu forte.
Secondo Hegel la dialettica non era solamente «la
natura stessa del pensiero». Sostenendo l'identita di
razionale e reale, egli interpretava la dialettica anche
come la legge della realta. Tutta la realta si muoverebbe
dialetticamente, seguendo un meccanismo oggettivo. In
tal modo cid che e costituisce al tempo stesso cid che
deve essere, cioe si auto-giustifica in tutte le sue manife-
stazioni che pertanto sono «necessarie», nel senso di non
poter essere diverse da quello che sono. Contrapporre
alia realta di cio che e qualcosa d'altro significa, per
Hegel, abbandonare la ragione a favore dell'interesse o
dell'arbitrio individuale, cosa del tutto dissennata poiche
a suo awiso solo il razionale e reale. Sotto gli ingranaggi
di questo meccanismo determinista, la storia diventa la
realizzazione di un piano prowidenziale e lo Stato niente
meno che l'incarnazione dello Spirito del mondo — una
sorta di realizzazione di Dio nel mondo.
Cio che Hegel, da bravo suddito dello Stato prussiano,
non prese mai in considerazione e la possibility concreta
di una opposizione del tutto autonoma, sovrana, irridu-
cibile — di una molteplicita che non si lascia arruolare
in alcuna sintesi.
Bisogna ammettere che Hegel fu un ottimo emissario
dell'Impero. II suo riconoscimento del ruolo svolto dal-
l'opposizione nella produzione della realta lo rendeva
simpatico a sinistra. La sua sintesi che mediava gli
23
opposti a profitto della tesi iniziale, cioe dell'esistente,
lo rendeva simpatico a destra. Questo allegro borghese
insegnava all'universita di Berlino per graziosa conces-
sione del re, non mancando di festeggiare ogni anno
con una bottiglia di vino l'anniversario della caduta
della Bastiglia. Resta il fatto che la dinamica interna
della dialettica come da lui concepita e inseparable
dal proposito ideologico di giustificazione dello status
quo — basta pensare all'ironica osservazione di Bataille
secondo cui «non e la poesia romantica, ma il "servizio
militare obbligatorio" che parve [ad Hegel] garantire il
ritorno a quella vita comune, senza la quale non vi era,
a suo awiso, sapere possibile». II superamento hegelia-
no non e altro che un movimento di conservazione, di
convalida, di ratifica del passato. In poche parole, Hegel
e stato un importante filosofo del recupero: il potere
diventa piu forte se, anziche chiudersi nel proprio ca-
stello e mettere a morte i dissidenti — cieca intolleranza
capace solo di fomentare l'odio sociale — , ne accoglie
le idee innovative e le mette anche parzialmente in atto,
dopo opportuna sterilizzazione, al fine di rafforzare la
propria legittimita.
Hardt e Negri sono scrupolosi discepoli di Hegel, come
vedremo. Ma la loro analisi trae ispirazione anche da
altri pensatori, alcuni dei quali passati alia storia come
sowersivi, sebbene nella loro opera sia palese lo sforzo
di giustificare la necessita e dell'autorita e dell'ordine da
essa imposto. II piu celebre allievo di Hegel, quel Marx
cosi persuaso che «la borghesia ha avuto nella storia
una funzione sommamente rivoluzionaria», e un altro
punto di riferimento costante per i due emissari dell'Im-
pero, specialmente nell'elaborazione delle prospettive
24
politiche. Infatti Marx, interpretando tutta la storia
dell'umanita alia luce del meccanismo filosofico deter-
minista hegeliano, sosteneva apertamente la progressiva
crescita del capitalismo come unica via per arrivare al
comunismo: «lo sviluppo della grande industria toglie
dunque da sotto ai piedi della borghesia il terreno stesso
sul quale essa produce i prodotti e se ne appropria. Essa
produce anzitutto i propri becchini. II suo tramonto e la
vittoria del proletariato sono ugualmente inevitabili».
Per Marx e per il suo compare Engels, la rivoluzione
non costituiva la negazione della civilta del capitale, un
punto di rottura nella sua mortale progressione, bensi il
suo felice esito finale. Nella certezza che il trionfo della
borghesia avrebbe provocato automaticamente il trionfo
del proletariato, egli finiva col sostenere lo sviluppo del
capitalismo e col battersi contro coloro che vi si oppo-
nevano. Questa sorta di fatalismo mascherato lo aveva
portato ad assumere posizioni alquanto reazionarie
come, ad esempio, auspicare la vittoria della Prussia in
guerra con la Francia, nella convinzione che la fonda-
zione deH'impero tedesco da parte di Bismarck avrebbe
determinato la centralizzazione economica e politica
della Germania, fattore che a suo awiso avrebbe costi-
tuito la condizione iniziale per l'awento del socialismo.
Inoltre questa sua idea della trasformazione sociale come
compimento anziche come frattura, lo spingeva a propu-
gnare la necessita di modellare mezzi e fini della lotta
proletaria su quelli del proprio awersario, teorizzando
che gli operai avrebbero dovuto organizzarsi in partito
politico per conquistare il potere dello Stato.
Da questo punto di vista, l'analisi dei due emissari e
rigorosamente marxista. E, data la natura della loro mis-
25
sione, essi non potevano certo fare a meno dei preziosi
suggerimenti del consigliere del Principe, quel «demo-
cratico Machiavelli» considerato il padre della politica
moderna, vale a dire della Ragione di Stato, esperto
nell'ingannare il popolo e nel tenerlo alia catena, di cui
tessono le lodi omettendo di ricordare la sua massima
secondo cui «nessuna cosa essere piu vana e insolente
della moltitudine». Anche un teologo in odore di eresia
come Spinoza torna loro utile, sia per le sue riflessioni
filosofiche sul concetto di potenza, sia per quelle teologi-
co- politiche sul rapporto fra democrazia e moltitudine.
II quadro di famiglia si conclude con i filosofi conosciuti
come post-strutturalisti, quei pensatori francesi che per
difendere la societa dal sowertimento causato dalla
morte di Dio — che nel maggio '68 ha avuto modo di
concretizzarsi nel loro paese nelle vesti del piu grande
sciopero selvaggio della storia — hanno annunciato in
ogni ambito la morte dell'uomo, al fine di diffondere la
rassegnazione facendo dell'individuo un mero grumo
delle pratiche e dei dispositivi sociali, politici, tecno-
logici e linguistici. In particolare, forte e l'influsso delle
«macchine desideranti» di Deleuze e Guattari.
Sorprende nei due emissari una certa involontaria
sincerita circa la reale natura della propria missione
quando, a proposito di una possibile trasformazione
sociale, invitano ad abbandonare la vecchia metafora
della talpa rivoluzionaria in favore del serpente. Essi
infatti spiegano di nutrire il sospetto «che la vecchia
talpa di Marx sia morta. Ci pare infatti che nel passaggio
contemporaneo all'Impero, i cunicoli strutturati dalla
talpa siano stati sostituiti dalle infinite ondulazioni del
serpente». La talpa ha fatto il suo tempo. La sua estinzio-
26
ne, nell'ambito della zoologia politica, sarebbe causata
dalla sua cecita che la rende immune al calcolo. Eppure
se questo animale ispira simpatia e proprio perche inca-
pace di intrighi. Armata solo di testardaggine e guidata
dall'intuito, la talpa scava in continuazione, senza mai
perdersi d'animo, nella speranza di sbucare nel posto
giusto. II serpente, e tutt'altra bestia. Non scava, ma
striscia. Avanza con «ondulazioni», da destra a sinistra
e da sinistra a destra (immagine deH'opportunismo).
Inoltre, fin dai tempi di Adamo ed Eva, e noto per la sua
lingua biforcuta (simbolo della menzogna). Rappresenta
quindi al meglio la natura bifida dei due emissari e dei
loro padri putativi, prodighi di pacche sulle spalle e
di larghi sorrisi per i sudditi nella misura in cui questi
intendono rimanere tali.
Andate a lavorare!
Lo scopo dei due emissari e quello di convincere i
sudditi — che definiscono «moltitudine», termine neu-
tro di genere quantitativo ripreso da alcuni studiosi
del passato, utile per evitare l'imbarazzo di usare una
definizione qualitativa di parte — che, se e vero che
l'lmpero presenta molti difetti, e altresi vero che la sua
esistenza e frutto di una esigenza giusta e inevitabile.
Che se l'lmpero e l'Uno che rappresenta i Molti e solo
perche li esprime in una esatta somma aritmetica, non
perche li annulla al proprio interno. Che il suo operato
non e qualcosa che le moltitudini subiscono, ma che esse
stesse hanno intenzionalmente o meno determinate In
una parola, che il volere dell'Impero non si contrappone
affatto ai desideri della moltitudine ma che viceversa
ne e espressione e realizzazione, seppur manchevole
27
— motivo per cui non c'e ragione alcuna per volerne la
distruzione. Proprio cosi!
Ma consideriamo il modo in cui i due emissari liqui-
dano la critica di Etienne De La Boetie. Essi sono con-
sapevoli che «quando il principale vi saluta sulla soglia
del negozio o il preside nel corridoio del liceo, li si forma
una soggettivita. Le pratiche materiali con cui il soggetto
ha a che fare nel contesto dell'istituzione (che si tratti
di inginocchiarsi per pregare o di cambiare centinaia
di pannolini) sono altrettanti processi di produzione
della soggettivita», e che pertanto «le istituzioni della
societa moderna dovrebbero essere considerate come
un arcipelago di fabbriche della soggettivita». Ma nelle
azioni quotidiane, nella loro ripetizione seriale, nella
mortale abitudine che ci accompagna dalla nascita fino
alia morte, giorno dopo giorno, senza regalarci un attimo
di autonomia, i due emissari non denunciano affatto il
processo di riproduzione dell'esistente nella sua divi-
sione sociale, cio che distrugge l'unicita dell'individuo,
bensi salutano cio che costruisce la sua soggettivita.
Straordinaria forza mistificatrice delle parole! L'equivoco
viene creato mediante l'utilizzo del concetto di «sogget-
tivita», owiamente preferito a quello di «individualita».
In se le osservazioni dei due emissari sono esatte ma
il senso che se ne ricava e totalmente distorto, poiche
i sudditi sono portati a guardare con occhi benevoli
queste «fabbriche della soggettivita». In fondo, cosa c'e
di male? La soggettivita non e forse «la qualita di chi e
soggettivo»? E soggettivo non e forse «cid che e relativo
al soggetto, cio che deriva dal modo di sentire, pensare
e giudicare propri dell'individuo in quanto tale»? Un
qualsiasi dizionario e in grado di attestarlo senza incer-
28
tezze, ma andiamo pure avanti fino in fondo nella sua
consultazione. Che cos'e il soggetto? II soggetto e «la
persona o la cosa presa in considerazione», ma e anche
«chi e posto sotto, sottostante, sottomesso, sottoposto».
Questi termini hanno infatti un'unica radice, derivano
tutti dal latino subiectus, participio passato di subicere,
owero assoggettare. Affermare che soggettivo e relativo
all'individuo in quanto tale significa rendere naturale la
sottomissione, trasformare un fatto storico in un fatto
biologico. Dunque la soggettivita esprime la qualita di
chi e sotto, sottostante, sottomesso, sottoposto. E qual
e la qualita di chi e assoggettato se non quella di obbe-
dire, cosa che fara tanto piu volentieri se riterra che
questo rientra nella natura dell'individuo in quanto tale?
Ecco come attraverso la forza persuasiva della retorica
e possibile spingere i sudditi ad andare a lavorare in
queste «fabbriche della soggettivita», cioe della servitu,
piuttosto che dinamitarle.
Naturalmente una fabbrica e piu produttiva se fra gli
operai-sudditi regna la disciplina; ma c'e un problema.
Troppo spesso i sudditi hanno il brutto difetto di con-
siderare la disciplina una forma di addomesticamento.
Motivo per cui nel corso della storia hanno cercato in
tutti i modi di evitarla o di spezzarla. Perche mai, poi?
si domandano i due emissari, convinti che «la disciplina
non e una voce fuori campo che detta le nostre pratiche
sovrastandoci, come avrebbe detto Hobbes, bensi e
qualcosa di simile a una pulsione interiore, indistin-
guibile dalla nostra volonta, immanente e inseparabile
dalla nostra stessa soggettivita». Che la disciplina sia
inseparabile dalla nostra stessa soggettivita e innegabile
dato che, come abbiamo appena visto, la soggettivita
29
indica sottomissione. Ma che la stretta osservanza del-
le norme padronali da parte di uno schiavo sia dovuta
non tanto alia paura della frusta, quanto «a una pulsione
interiore, indistinguibile dalla nostra volonta», ecco cio
che i signori Hardt e Negri non possono sostenere senza
confessare da quale parte della barricatasi trovano: dalla
parte degli schiavisti. Tutta la loro ricostruzione storica
della nascita e dello sviluppo dell'Impero va in questa
stessa direzione. Lo schiavo desidera la propria catena
e se la costruisce. I sudditi desiderano l'lmpero e se lo
sono costruito. La sua costituzione e ineluttabile perche
esprime, contemporaneamente, il risultato biologico
della natura umana ed il risultato dialettico della storia
dell'umanita.
La preoccupazione di legittimare il determinismo
imperiale si manifesta anche nel noioso linguaggio
meccanicistico impiegato dai due emissari, persuasi
fino in fondo che l'essere umano debba scomparire
dietro l'ingranaggio, che l'autonomia debba lasciare
posto all'automatismo e la fantasia capitolare davanti
al funzionamento. Che cos'e l'lmpero? «LImpero appa-
re, cosi, come una vera e propria macchina high tech»
oppure, per essere piu chiari, «l'Impero e la fabbrica
ontologica». Che cosa sono i sudditi, la «moltitudine»?
«La moltitudine non usa solo le macchine per produrre,
ma essa stessa diviene, contemporaneamente, sempre
piu macchinica. Nello stesso modo, i mezzi di produzione
sono sempre piu integrati nelle menti e nei corpi della
moltitudine». Che cos'e il desiderio? II desiderio viene
definito un «motore ontologico». Che cos'e il linguaggio?
Immancabile arriva la risposta: «per linguaggio occorre
intendere macchine intelligenti continuamente rinnovate
30
dagli affetti e dal le passioni». Questi non sono che pochi
esempi del linguaggio tecnicistico — e in quanto tale al
di sopra delle parti — di cui e infarcito questo testo.
Ma presentare l'evoluzione della civilta come il mec-
canismo di una megamacchina non e sufficiente. Cosi
dicendo si giustifica la rassegnazione al cospetto del-
l'inquinamento sociale prodotto, ma non si neutralizza
la rabbia per essere diventati semplici ingranaggi. I due
emissari devono allora compiere uno sforzo in piu. Devo-
no fare comprendere ai sudditi che «in realta, siamo noi i
padroni del mondo, noi che lo generiamo continuamente
con il nostro desiderio e con il nostro lavoro», e che di
conseguenza abbiamo ben poco da lamentarci. Noi, i
padroni del mondo?
Il rovescio della medaglia
Nella nostra ineffabile ignoranza, pensavamo che
l'ambizione di ogni potere fosse quella di consolidarsi
ed espandersi al punto da assumere una vera e propria
connotazione imperiale, la cui realizzazione finale dipen-
de comunque dai rapporti di forza esistenti. E natural-
mente solo sapendo generare l'onda d'urto necessaria
per sbaragliare i propri awersari e possibile raggiungere
un simile obiettivo. Viceversa i due emissari dichiarano
che «la moltitudine ha evocato la nascita dell'Impero»
giacche «la lotta di classe, determinando l'abolizione
dello Stato-nazione e superandone i confini, pone all'or-
dine del giorno la costituzione dell'Impero come punto
di riferimento dell'analisi e del conflitto».
Pensavamo che il lavoro fosse sinonimo di attivita
umana solo all'interno della societa capitalista, un po'
come gli animali in cattivita sono sinonimo di natura
31
solo all'interno di uno zoo. Equazione decisamente
ripugnante tranne per chi pensa che «il lavoro rende
liberi», come annunciavano i nazisti all'entratadei campi
di concentramento, oppure per chi ritiene che le sbarre
di una gabbia servono per proteggere gli animali dai
pericoli esterni. Viceversa i due emissari non esitano a
sostenere che «il lavoro e il veicolo del possibile... il la-
voro si mostra oggi come attivita sociale generate, come
un eccesso produttivo nei confronti dell'ordine esistente
e delle leggi della sua riproduzione. L'eccesso produttivo
e il risultato immediato di una forza collettiva di emanci-
pazione...», motivo per cui «la nuova fenomenologia del
lavoro della moltitudine mostra che il lavoro e l'attivita
creativa fondamentale la quale, con la cooperazione,
supera qualsiasi ostacolo che le viene imposto e, con
cio, ricrea continuamente il mondo».
Pensavamo che l'identificazione della vita umana con
la produzione di merci fosse una delle piu insulse men-
zogne della Propaganda, inetta a concepire qualcosa di
differente dai suoi bilanci economici. E un simile inganno
che ha ridotto la poesia a diventare fonte di ispirazione
per la pubblicita. Viceversa i due emissari ci informano
che «il desiderio di esistere e il desiderio di produrre
sono la stessa cosa».
Pensavamo che l'egemonia conquistata dalle grandi
multinazionali sulla vita economica e politica internazio-
nale, con la conseguente trasformazione del mondo in un
unico immenso centro commerciale, avesse determinato
l'omologazione degli stili di vita nonche la scomparsa
di ogni singolarita. Come puntualizzava un noto giorna-
lista statunitense, oggi Falternativa e fra Coca e Pepsi.
Viceversa i due emissari awertono che «lungi dall'essere
32
unidimensionale, la ristrutturazione e l'unificazione im-
poste dai potere sulla produzione esplosero irradiando
innumerevoli sistemi produttivi. L'unificazione del mer-
cato mondiale si attuava, paradossalmente, accentuando
la diversita e la diversificazione».
Pensavamo che il ricatto a cui devono sottostare i
sudditi, lavorare per soprawivere o crepare di fame,
fosse l'elemento che costringeva milioni di persone
ad abbandonare la propria terra natale per andare in
cerca di un tozzo di pane. Nessuno e tanto imbecille da
confondere l'emigrazione causata dalla mancanza con
lo spirito di awentura nato dall'esuberanza. Viceversa
i due emissari ritengono che lo sradicamento e la mo-
bility costituiscano «potenti forme della lotta di classe
all'interno e contro la postmodernita imperiale», giacche
«attraverso la circolazione, la moltitudine si riappropria
dello spazio e si costituisce come un soggetto attivo».
Pensavamo che da oltre mezzo secolo il progresso
tecnologico venisse alimentato dalle ricerche condot-
te nei laboratori sperimentali militari e che solo in un
secondo tempo venisse sfruttato anche a scopi civili.
Attraverso di esso l'lmpero e in grado di rafforzare il
proprio apparato bellico, perfezionare il controllo socia-
le e massimizzare i profitti economici. Viceversa i due
emissari sono persuasi che solo le lotte «costringono il
capitale ad adottare livelli tecnologici sempre piu avan-
zati e, in tal modo, trasformano il processo lavorativo. Le
lotte costringono il capitale a riformare continuamente
i rapporti di produzione e a trasformare le relazioni di
dominio».
Pensavamo che Internet rappresentasse per l'lmpero
una specie di Nuovo Mondo, da un lato l'invenzione di
33
un ennesimo universo da colonizzare e dall'altro una
via per allentare le pressioni sociali interne. Navigando
nel limbo elettronico, i sudditi possono assaporare
una liberta virtuale in cambio dell'obbedienza reale.
Viceversa i due emissari si commuovono notando che
«nelle espressioni della sua potenza creativa, il lavoro
immateriale sembra quindi esprimere virtualmente un
comunismo spontaneo ed elementare».
Pensavamo che attraverso l'informatica l'lmpero fosse
riuscito ad imporre un linguaggio ridotto, basato sulle
esigenze della tecnica e non sulla ricchezza del signifi-
cato. Costretti a rinunciare ad incontrarsi in una piazza
reale, in comunicazione diretta, sostituita da una piazza
virtuale, in comunicazione mediata, i sudditi non sono
piu in grado di discutere esprimendo idee od emozioni,
con tutte le loro incalcolabili sfumature, ma solo di scam-
biarsi freddi dati e cifre. Viceversa i due emissari sono
felici di essere «partecipi della piu radicale e profonda
comunanza di cui si sia mai fatto esperienza nella storia
del capitalismo. II fatto e che siamo dentro a un universo
produttivo creato per la comunicazione sociale, per i ser-
vizi interattivi e per i linguaggi comuni. La nostra realta
economica e sociale non e piu esclusivamente dominata
daoggetti materiali prodotti per essere consumati, bensi
e pervasa dai servizi e dalle relazioni prodotte dalla coo-
perazione. Produrre significa, sempre di piu, costruire
cooperazione e comunanza comunicativa».
Pensavamo che le biotecnologie rappresentassero il
punto culminante del trionfo del capitale sulla natura,
l'irruzione della ragione economica all'interno del corpo
organico. Dietro le promesse di salute e felicita eterna
faceva capolino (ma ormai e entrato prepotentemente)
34
il proposito di riprogrammare geneticamente l'essere
umano, di sopprimerne le differenze in favore della nor-
malita dominante. Viceversa i due emissari non fanno
che applaudire a questa nuova conquista dato che «I1
biopotere — un orizzonte di ibridazioni tra naturale e
artificiale, bisogni e macchine, desiderio e organizza-
zione collettiva dell'economico e del sociale — deve
continuamente rigenerarsi per poter esistere».
Quanti altri pensieri inopportuni potrebbero essere
ancora espressi? Se da piu di una parte e stato fatto no-
tare come Marx, nonostante le sue critiche, non potesse
nascondere una certa ammirazione per l'operato della
borghesia, da parte loro i due emissari mostrano tutto
il loro sfrenato entusiasmo per il mondo nato dal trionfo
planetario del dominio del capitale, che spacciano per il
trionfo planetario della forza dei sudditi: «E possibile im-
maginare l'agricolturastatunitense e i servizi industriali
senza la forza lavoro dei migranti chicanos, o il petrolio
dell'Arabia Saudita senza Palestinesi e Pakistani? Ma,
soprattutto, che cosa ne sarebbe, in Europa, USA e Asia,
dei settori piu innovativi della produzione immateriale,
dal design alia moda, dall'elettronica alia scienza, senza
il lavoro delle grandi masse di "clandestini" attratti dai
radiosi orizzonti della ricchezza e della liberta capitalisti-
ca?». Nemmeno la grandezza delle piramidi egizie costi-
tuisce una valida giustificazione alle terribili sofferenze
patite dagli schiavi che le hanno costruite, figuriamoci se
possono esserlo il mais transgenico, i pozzi di petrolio,
le sfilate di moda o i microchip!
Ma ci sia concesso un ultimo sussulto. Pensavamo che
nel corso della storia i sudditi, di fronte alio strapotere
imperiale e all'arroganza pretoriana, avessero sempre
35
avuto ben poche alternative: obbedire o ribellarsi. Nel
momento in cui obbediscono, i sudditi non fanno che
riprodurre l'lmpero e garantirne la stabilita. Perche e
solo nei momenti di rivolta contro l'ordine dell'Impero
che possono cessare di essere tali e determinarsi come
individui liberi, andando all'assalto del cielo delle loro
aspirazioni. Questo i due emissari lo sanno bene, ma
sanno anche che loro compito e proprio mettere la rivol-
ta al servizio dell'Impero. Si tratta di mettere in pratica
l'indimenticata lezione di Hegel. Sono gli stessi emissari
ad ammettere che «l'Impero non fortifica i confini con
l'espulsione degli altri, bensi attraendoli, come in un
vortice, nel suo ordine pacifico». Quindi la dialettica
insegna che la tesi e l'lmpero ed il suo immondo ordine;
l'antitesi sono i sudditi, la «moltitudine», e le loro lotte;
la sintesi e la conciliazione, il superamento della con-
traddizione che cela in realta il ritorno alia tesi: l'ordine
dell'Impero arricchito dalla creativita espressa dalle
lotte dei sudditi. Uno schema che non si discosta poi
molto dall'interpretazione di Marx della dialettica ser-
vo-padrone, che si trova all'origine della sua concezione
della lotta di classe.
Cosi interpretando, il lungo processo che ha portato
alia costituzione dell'esistente ha la possibility di non ve-
nire piu percepito dai sudditi come addomesticamento,
bensi come liberazione. Go che e — che al tempo stesso
e anche cid che deve essere — non deve piu venire visto
come una miseria, ma come una ricchezza. Preso atto
che «la moltitudine e la reale forza produttiva del nostro
mondo, mentre l'lmpero e un mero apparato di cattura
che si alimenta della vitalita della moltitudine», se ne
deve dedurre che «il rifiuto dello sfruttamento — la resi-
36
stenza, il sabotaggio, l'insubordinazione e la rivoluzione
— e la forza motrice della realta in cui viviamo e, nello
stesso tempo, la sua vivente opposizione». La conclusio-
ne finale di un simile ragionamento si impone da se: «e il
proletariato che inventa le forme produttive e sociali che
il capitale sara costretto ad adottare in futuron. Insomma,
non e l'lmpero, attraverso l'esercizio del potere, ma sono
i sudditi, con le loro lotte contro il potere dell'Impero,
a creare il mondo che ci circonda. Grazie al loro proce-
dimento dialettico, i due emissari rovesciano la realta e
cercano di far passare le sconfitte dei sudditi per vittorie
in prospettiva. Cosi il paradiso si awicina.
Le teste dell'aquila
E pur vero che, cosi facendo, Hardt e Negri a volte
inciampano in qualche significativa contraddizione. Non
e sempre facile persuadere i sudditi che «l'organizzazio-
ne dei sindacati dell'operaio massa, la costruzione del
Welfare State e il riformismo socialdemocratico furono le
risultanti dei rapporti di forza definiti dall'operaio massa
e le forme della sovradeterminazione che seppe imporre
alio sviluppo capitalistico». Mentre in precedenza ave-
vano sostenuto che «contro il luogo comune secondo
il quale, a confronto con quello europeo, il proletariato
americano sarebbe inferiore a causa della debolezza
dei suoi partiti e delle sue rappresentanze sindacali,
dobbiamo invece riconoscere che la sua forza risiede
proprio in questi motivi».
Perche mai il proletariato avrebbe dovuto imporre al
capitale le sue forme rappresentative se si presuppone
che la sua forza sia maggiore senza di esse? Partendo
dalla considerazione che il sindacato ed i partiti sono
37
stati concessi dal potere in seguito alle lotte condotte
dai sudditi, i due emissari cercano di fare intendere che
siano stati imposti intenzionalmente da queste stesse
lotte. Malgrado l'apparenza, non si tratta affatto delta
stessa cosa. Nel primo caso l'istituzione della rappresen-
tanza e una vittoria del potere, un modo per vincere la
combattivita dei ribelli; nel secondo e una conquista di
questi ultimi, il raggiunto obiettivo delle loro battaglie.
Ma se il proletariate e piu forte senza sindacati e partiti,
come ammettono Hardt e Negri, allora a chi giova isti-
tuirli? Evidentemente a chi li ha concessi, cioe al potere,
che in questa maniera ferma la reale minaccia costituita
da una ribellione senza mediazioni.
II primo sindacato non apparve che dopo la seconda
meta del XIX secolo. Qualsiasi idea di lotta di classe, di
sowersione dell'ordine capitalista, gli era del tutto estra-
nea, avendo come unico proposito quello di conciliare
gli interessi dei lavoratori con quelli dei padroni. Orga-
nizzando i lavoratori sul piano della lotta rivendicativa,
cercando di limitare lo sfruttamento, di ottenere una
ripartizione della produzione meno svantaggiosa per
gli operai, il sindacato si batte per ottenere aumenti di
salario, lariduzione dell'orario di lavoro, garanzie contro
l'arbitrariato, eccetera. In altri termini, nel migliore dei
casi il sindacato mira ad ottenere una nuova divisione dei
beni, ma senza mettere in causa direttamente la natura
stessa dell'ordine sociale. La sua funzione consiste nel-
l'apportare dei correttivi alio sviluppo del capitalismo,
la cui inesauribile sete di profitto lo rende miope nella
valutazione delle possibili ricadute sociali provocate
dalle sue scelte. Ecco perche la natura del sindacato e
intrinsecamente riformista. Qualsiasi lotta economica
38
condotta entro i limiti della societa capitalista non per-
mette al lavoratore che di rimanere tale, perpetuandone
la schiavitu.
La musica non cambia se si esamina la funzione del
partito, la cui origine precede di pochi anni quella del
sindacato, entrambi sorti nel periodo dell'affermazio-
ne della classe borghese. In Inghilterra, il paese di piu
antiche tradizioni parlamentari, i partiti fecero la loro
comparsa con il Reform Act del 1832 il quale, allargando
il suffragio, permise ai ceti industriali e commerciali del
paese di partecipare assieme all'aristocrazia alia gestio-
ne degli affari pubblici; ascapito di chi, e inutile dirlo. La
reale funzione dei partiti appare in maniera ancora piu
macroscopica in Germania, dove nacquero per la prima
volta dopo i disordini sociali del 1848. Cio significa che
fu la sconfitta della rivoluzione a far nascere i partiti,
non la sua vittoria. Fu la paura di un nuovo possibile
sollevamento delle masse a indurre lo Stato ad allentare
la catena ai propri sudditi, "concedendo" l'istituzione
rappresentativa.
Ma, per quanto piu allungata, per quanto permetta
un maggiore movimento, una catena resta una catena.
Sempre la storia della Germania dimostra come il ri-
formismo socialdemocratico si sia diffuso proprio per
prevenire una soluzione rivoluzionaria alia questione
sociale: ad ammazzare Rosa Luxemburg furono gli sgher-
ri del socialdemocratico Noske, il quale, reprimendo la
rivoluzione dei Consigli, apri la strada per la conquista
del potere a Hitler.
I due emissari partono da una constatazione che si
puo definire corretta, ma ancora una volta ne ribaltano
il significato. Hanno perfettamente ragione nell'affermare
39
che la realta che ci circonda, tutto il mondo in cui vivia-
mo, sotto la cappa di grigio conformismo che l'awolge
porta il segno indelebile delle lotte sociali. Ma cio che
non dicono e che questo segno e solo in negativo. Siamo
circondati dalle rovine delle nostre sconfitte, non dai
monumenti alle nostre vittorie.
Un esempio per tutti. E indubbio che furono i moti ri-
voluzionari del 1848 a spingere il governo francese ad af-
fidare all'architetto Haussmann il compito di ridisegnare
l'urbanistica di Parigi, ma e altrettanto vero che i grandi
boulevard che oggi vengono percorsi da folle di turisti
estasiati non vennero progettati alio scopo di facilitare
il «nomadismo della moltitudine», bensi gli spostamenti
delle truppe e dei loro cannoni nell'eventualita di nuove
sommosse da reprimere!
E vero che i comportamenti illegali dei sudditi stimo-
lano l'applicazione dei risultati della ricerca scientifica,
ma le nostre strade si riempiono di telecamere per in-
crementare il controllo sociale, non certo per esprimere
la «comunanza macchinica» raggiunta dall'uomo con la
tecnologia. La ribellione spinge il dominio a rimodellare
costantemente il mondo, ma il risultato finale di questa
ristrutturazione corrisponde sempre agli interessi di chi
governa, mai di chi si ribella.
Se i due emissari da un lato esaltano le lotte dei sudditi
mentre dall'altro sostengono che i loro obiettivi vengono
realizzati dallo stesso Impero, e perche in questo modo
vogliono creare una dipendenza necessaria, un legame
indissolubile fra sudditi ed Impero. Persino le metafore
organiche che utilizzano sono indicative in proposito:
«l'emblema dell'impero austroungarico, un'aquila a
due teste, puo offrire una prima rappresentazione della
40
forma odierna dell'impero. Ma se, nell'antico emblema,
le due teste guardavano entrambe verso l'esterno per
esprimere la relativa autonomia e la coesistenza pacifi-
ca dei rispettivi territori, nel nostro caso le due teste si
rivolgerebbero l'una contro l'altra per attaccarsi». Come
a dire che, se pure le aspirazioni sono diverse, il corpo e
il medesimo. La struttura sociale imperiale non risponde
quindi alle esigenze della sola classe dominante, ma
anche di quella dominata. LImpero — con il suo eserci-
to, la sua polizia, i suoi tribunali, le sue prigioni, le sue
fabbriche, i suoi centri commerciali, la sua televisione,
le sue autostrade... — e voluto dall'imperatore come dai
sudditi. Si tratta solo di un problema di testa. Una volta
introiettato questo concetto, i sudditi impareranno che
10 scopo delle loro lotte e quello di apportare delle mi-
gliorie all'Impero scegliendo di seguire la testa giusta,
lasciando cosi inalterato il resto del corpo.
Lintera analisi di Hardt e Negri mira ad escludere ogni
spazio di rivolta autonoma, diretta a distruggere anche il
corpo dell'impero. Si tratta di una eventualita che i due
emissari non prendono nemmeno in considerazione, pur
di non evocare pericolosi fantasmi. Quando definiscono
11 territorio dell'impero un «mondo liscio» non fanno che
confermare al contrario quanto annotato a suo tempo
da Benjamin: «La celebrazione o apologia s'ingegna di
occultare i momenti rivoluzionari nel corso della storia.
Ad essa sta a cuore la fabbricazione di una continuity.
Essa conferisce valore solo a quegli elementi dell'opera
che sono gia entrati a far parte del suo influsso postumo.
Le sfuggono i punti in cui latradizione si tronca, e quindi
le asperita e gli spuntoni che offrono un appiglio a chi
voglia spingersi al di la di essa».
41
Le correzioni della libertA
L'Impero e giusto. L'Impero e necessario. Ma purtrop-
po l'lmpero non e perfetto. Le sue immense potenzialita
vengono frenate sia dalla soprawivenza di dogmi del
passato da cui non riescono a staccarsi alcuni funzio-
nari imperiali, sia dall'opposizione senza compromessi
portata avanti da quei sudditi che con maggiore deter-
minazione rifiutano di restare tali.
L'eccesso o l'assenza della volonta di potere rappre-
sentano entrambi degli ostacoli da rimuovere per chi ha
occhi solo per un giusto equilibrio del potere: «I1 primo
e costituito dall'arrogante metafisica borghese e, in
particolare, dall'illusione, infinitamente propagandata,
che il mercato e il regime capitalistico della produzione
siano eterni e insuperabili. [...] II secondo ostacolo e
costituito dalle numerose posizioni teoriche che non
vedono altra alternativa alle forme attuali del comando
che un cieco anarchismo e un misticismo del limite. Per
questa prospettiva ideologica, le sofferenze non sono in
grado di esprimersi, di divenire coscienti e di costituire
una base di rivolta. Questa posizione non produce altro
che cinismo e quietismo. L'illusione della naturalezza del
capitalismo e il radicalismo dei limiti attualmente sono
dunque perfettamente complementari. La loro compli-
city si esprime nell'impotenza».
E la lotta contro queste presunte e conviventi forme
di impotenza, accusate niente meno che di inibire una
fantomatica esperienza liberatoria del lavoro, che i due
emissari propongono ai sudditi, i quali devono si lottare
contro l'lmpero (cioe contro quei funzionari che lo ama-
no perse), ma devono anche lottare a favore deH'Impero
(cioe contro quei sudditi che lo odiano in se).
42
Per risolvere questo problema il contributo di Marx
diventa fondamentale. Cosi come Marx affermava che lo
sviluppo dell'industria voluto dalla borghesia avrebbe
portato alia vittoria del proletariate, alio stesso modo
Hardt e Negri sostengono che lo sviluppo dell'Impero
portera alia vittoria della «moltitudine»: «la teleologia
della moltitudine e teurgica: consiste nella possibility di
usare la tecnologia e la produzione per sua gioia e per
incrementare il suo potere. Per reperire i mezzi necessari
alia sua costituzione come soggetto politico, la moltitu-
dine non ha nessun motivo di guardare al di fuori della
sua storia e della sua attuale potenza produttiva». Motivo
per cui il miglior modo per combattere l'lmpero consiste,
paradossalmente, nell'agevolarne la crescita. Infatti i due
emissari si dicono certi del fatto che «il passaggio all'Im-
pero e i suoi processi di globalizzazione offrono nuove
possibility alle forze di liberazione. La globalizzazione
non e certo una realta semplice e i molteplici processi
con i quali la identifichiamo non sono unificati, e tanto
meno univoci. II nostro compito politico non e, per cosi
dire, semplicemente quello di resistere contro questi
processi, bensi quello di riorganizzarli, e di orientarli
verso nuove finalita. Le forze creative della moltitudine
che sostengono l'lmpero sono in grado di costruire
autonomamente un controlmpero, un'organizzazione
politica alternativa dei flussi e degli scambi globali. Le
lotte volte a contestare e sowertire l'lmpero, cosi come
quelle tese a costruire una reale alternativa, si svolge-
ranno sullo stesso terreno imperiale — in realta, queste
nuove lotte hanno gia iniziato a emergere. Attraverso
queste e altri tipi di lotte, la moltitudine sara chiamata
a inventare nuove forme di democrazia e un nuovo po-
43
tere costituente che, un giorno, ci condurra, attraverso
l'lmpero, fino al suo superamento».
Per superare l'lmpero, bisogna dunque passarci at-
traverso. Piu che resistere ai suoi processi, si tratta di
riorganizzarli, possibilmente affidando tale compito alle
persone giuste! La sua costituzione e un evento positivo,
perche offre a tutti infinite possibilita. Pensare di agire
altrimenti, di arrivare ad una rottura completa con l'uni-
verso imperiale, e un'illusione frutto dell'impotenza. «La
sola strategia adeguata a queste lotte e quella di un con-
tropotere costituente che emerge all'interno dell'Impe-
ro», martellano senza troppa fantasia i due emissari. Chi
non riconosce le note di questa canzone? Essa plagia fino
in fondo il lugubre ritornello del marxismo-leninismo:
contropotere delle moltitudini in opposizione al potere
imperiale, controlmpero in opposizione all'Impero, con-
troglobalizzazione opposta alia globalizzazione. Eppure,
chi puo ignorare come la folle convinzione secondo cui
lo Stato borghese doveva essere combattuto e sostituito
da uno Stato proletario non abbia fatto altro che portare
all'insediamento di regimi totalitari particolarmente
ripugnanti, dove i tribunali celebravano processi-farsa,
i soldati partecipavano a plotoni di esecuzione, i poli-
ziotti riempivano i gulag di dissidenti, la classe dirigente
formava una grottesca burocrazia, la popolazione subiva
una tremenda oppressione e miseria?
Ma i due emissari non badano a simili bagattelle, fidu-
ciosi nella capacita del modello imperiale di accogliere al
proprio interno le differenze espresse dalla «moltitudine»
senza livellarle. Basta avere la forma costituzionale giu-
sta. Non e un caso se il principale rovello che li affligge
e: «Cosa significa essere repubblicani oggi?». L'aspetto
44
incredibile e che indicano tale quesito come fondamen-
tale e imprescindibile per chiunque intenda combattere
l'lmpero. La risposta che si danno non ammette repliche:
«significa, innanzi tutto, lottare contro l'lmpero costruen-
do all'interno di esso, sul suo stesso terreno ibrido e
modulare. Occorre aggiungere, contro tutti i moralismi,
contro il risentimento e le nostalgie, che questo nuovo
terreno imperiale offre enormi possibilita creative e di
liberazione. La moltitudine, nella sua volonta di essere
contro e nel suo desiderio di liberazione, deve spingersi
dentro l'lmpero per uscirne fuori dall'altra parte». Ecco
che la sola cosa da fare e attraversare l'lmpero per uscire
da un'altra parte!
Del resto, gli stessi Deleuze e Guattari, i cui testi sono
discretamente frequentati dai nostri due emissari, so-
stengono che, invece di resistere alia globalizzazione
capitalistica, occorre accelerarne l'andatura. «Ma quale
via rivoluzionaria? — si chiedono costoro — Ce n'e forse
una? Ritirarsi dal mercato mondiale? Oppure andare
in senso contrario?». Hardt e Negri rincarano la dose:
«L'impero puo essere efficacemente contestato solo al
suo livello di generality, spingendo i suoi processi al di
la delle loro attuali limitazioni. Occorre accettare questa
sfida, imparare a pensare globalmente e ad agire altret-
tanto globalmente».
Questa loro lungimirante aspettativa assomiglia molto
da vicino a quella dei leninisti che giuravano e sper-
giuravano sulla prowisorieta della dittatura esercitata
dal partito e sull'imminente estinzione dello Stato (non
appena fosse entrato in loro possesso, naturalmente).
Bastava avere il programma comunista giusto. In realta
una volta assaporato il potere, con tutti gli enormi pri-
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vilegi connessi, nessuna classe dirigente vi rinuncera
mai volontariamente. Nessuno Stato si estinguera mai
di propria iniziativa, alio stesso modo nessun Impero
rispettera mai ed esprimera le molteplici differenze pre-
sents all'interno dei propri confini. Le potra al massimo
fagocitare e triturare come un Moloc, per poi risputarle
sotto forma di surrogati (un po' quello che sta facendo
l'impero economico di McDonald's che, nei suoi punti
vendita sparsi in giro per il mondo, accanto agli ham-
burger per cui e tristemente famoso, presenta piatti
tipici locali che di indigeno hanno solo il nome con cui
vengono pubblicizzati).
L'impero non e inclusivo, e esclusivo. Anche la storia
deH'Impero per eccellenza, quello romano, e significativa
in proposito. Ai territori conquistati non era concessa
nessuna autonomia. Lo straniero — anche quando il suo
paese era sotto il dominio romano — veniva privato di
ogni diritto in Roma. Basta pensare che nel linguaggio
degli antichi romani i due concetti di forestiero e ne-
mico venivano indicati da un solo vocabolo: hostis. La
convinzione che l'impero romano si interessasse solo
dello sfruttamento economico dei popoli soggetti e che
fosse guidato da idee cosmopolite nel loro trattamento
e completamente errata. A mano a mano che le divisioni
di pretoriani estendevano l'assoggettamento militare e
politico, anche la romanizzazione dei territori occupati
veniva realizzata con implacabile energia. L'impero ro-
mano non era che uno Stato, uno Stato intento ad erigere
una gigantesca centralizzazione di ogni energia sociale.
E annullare la differenza — attraverso la repressione o
l'omologazione — fa parte della logica di ogni Stato, di
ogni potere, che se vuole soprawivere deve per forza
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di cose tendere all'unificazione generate. Quale che sia
l'idea che rappresenta, quale che sia la struttura sociale
in cui si manifesta, quale che sia l'individuo o il gruppo di
individui che lo esercita, in ogni epoca ed in ogni conte-
sto sociale il potere e sempre sinonimo di sfruttamento
ed oppressione. Non potendo venire esercitato da tutti
gli individui indistintamente e contemporaneamente,
a pari titolo ed in condizione di assoluta reciprocity, il
potere e quindi forza decisionale concentrata nelle mani
di alcuni, attuata e protetta dalla forza armata. Che siano
pochi o molti, abili o inetti, questi alcuni finiranno per
imporre la propria volonta e far prevalere i propri inte-
ressi su tutti, finiranno col diventare oppressori.
Questo aspetto e talmente macroscopico, riscontrabi-
le in qualsiasi epoca e in qualsiasi agglomerato umano,
che i due emissari si guardano bene dall'ignorarlo. Anzi,
preferiscono affrontare il problema direttamente, per
quanto a modo loro: «Nel processo costitutivo della
sovranita sul piano di immanenza si profila un'espe-
rienza della finitezza prodotta dalla natura conflittuale
ed eterogenea della stessa moltitudine. II principio di
sovranita sembra aver prodotto il suo limite interno.
Per impedire che questi ostacoli disgreghino l'ordine
e svuotino il progetto costituzionale, il potere sovrano
deve esercitare un controllo. In altri termini, al momento
dell'affermazione succede una negazione dialettica del
potere costituente della moltitudine che ha il compito
di preservare la teleologia del progetto della sovranita.
Siamo forse al punto critico dell'elaborazione del prin-
cipio di sovranita? La trascendenza, che e stata respinta
in sede di definizione dell'origine del potere, fa dunque
ritorno dalla porta di servizio dell'esercizio del potere,
47
nel momento in cui la moltitudine, rappresentata nella
sua finitezza, percio stesso sembra necessitare di spe-
ciali strumenti di correzione e di controllo?».
Agli occhi innamorati dei due emissari l'esercizio
virtuoso del potere «sembra» imbattersi in un ostacolo
insormontabile: la «natura conflittuale ed eterogenea»
della moltitudine. Non potendo convivere con questa
liberta, che minaccia in ogni momento di distruggere
la sua opera, il potere «deve» correggerla e controllar-
la. Necessita inevitabile ma che «forse» contraddice la
sua virginale rettitudine. Non volendo uscire da questo
vicolo cieco con un atto di forza, i due emissari si vedo-
no costretti a ricorrere ad un atto di fede. Con grande
colpo di scena si convertono — rimasticandola — alia
vecchia illusione in una Costituzione americana senza
autorita, soluzione tecnico-giuridica ai «limiti intrinseci»
del potere: «Benche questa conseguenza rappresenti una
minaccia costante, tuttavia, dopo aver riconosciuto que-
sti limiti intrinseci, il principio della sovranita americana
si apre con straordinaria determinazione verso l'ester-
no, come se volesse espellere dalla sua Costituzione la
necessita del controllo e il momento della riflessione».
Conclusione dawero stupefacente se si pensa alia sorte
toccata ai nativi americani, le tribu indiane sterminate in
quanto il loro stile di vita era incompatibile con quello
dei giovani Stati Uniti d'America. II loro genocidio — li-
quidate dai due emissari come «una squallida vicenda»
— costituisce il migliore esempio della capacita di un
qualsivoglia pezzo di carta di accogliere, esprimere e
garantire i desideri della «moltitudine».
E chiaro che l'infinita molteplicita presente nell'ani-
mo umano non potra mai venire sollecitata, sviluppata
48
e protetta da alcuna forma di potere. II caso non ama
vedersi cucita addosso un'uniforme. La fantasia muore
non appena le viene applicato un codice. Anche tutte le
premure, le cautele, le indulgenze messe adisposizione
da un ipotetico contropotere maestro di tolleranza sono
solo chiacchiere televisive o speculazioni universitarie.
Nessuno pud piu fingere di ignorare che, nonostante le
sue supposte migliori intenzioni, finirebbe anch'esso per
liquidare i propri ribelli — ghigliottinandoli in piazza a
Parigi, abbattendoli come pernici sui bastioni di Kronsta-
dt, fucilandoli per le vie di Barcellona (o denunciandoli
alia polizia per i vicoli di Genova). La dismisura non puo
essere contenuta in alcuna unita di misura, per quanto
generosa possa apparire o essere. E per questo motivo
che l'lmpero va distrutto. Non riorganizzato, riorientato,
ridefinito, rimodellato — ma annientato fin nelle fonda-
menta. A modo loro, anche i due emissari devono affron-
tare il momento del declino imperiale e del suo crollo.
Giunti a questo punto, l'utilizzo dello stesso concetto
imperiale impone di fare i conti con i responsabili della
fine del piu celebre Impero della storia, quello romano.
E il momento di parlare dei barbari.
49
Si rimprovera ai giovani I'uso delta violenza. Ma
non ci troviamo forse in un eterno stato di violenza?
Dato che siamo nati e cresciuti in un carcere, non ci
accorgiamo piu di essere in gattabuia, con le mani
e i piedi incatenati e un bavaglio sulla bocca. Cos'e
che voi chiamate stato legale? Una legge che fa
delta gran massa dei cittadini un gregge assewito,
per soddisfare i bisogni innaturali di una minoranza
insignificante e corrotta?»
Georg Biichner
«Nella Civiltd vegeto; non sono ne felice, ne libero;
perche dunque dovrei desiderare che quest'ordine
omicida venga conservato? Non c'e piu nulla da
conservare di cid che la terra sopporta!»
Ernest Cceurderoy
«Non avremo demolito tutto
se non distruggiamo anche le rovine»
Alfred Jarry
Barbari
Impero ha le ore contate. Hardt e Negri non nu-
Ltrono dubbi in proposito, accarezzando la cer-
tezza che «Una nuova orda nomade, una nuova
razza di barbari, sorgera per invadere o per
evacuare l'Impero». Una volta annunciata la lieta no-
vella, non rimane loro che riproporre la domanda gia
formulata da Nietzsche — dove sono i barbari? Quesito
fondamentale, ma a cui e impossibile fornire una rispo-
sta se prima non si affronta un altro interrogativo — chi
sono i barbari?
A questo punto diventa necessario approfondire il
concetto di barbaro, la cui definizione racchiude piu di
un significato. Etimologicamente questo termine indica
lo straniero proveniente da un altro paese che, non
conoscendo la lingua della polis, era incapace di farsi
capire e si esprimeva balbettando. Storicamente indica
un individuo che si contraddistingue per la cieca violenza
devastatrice, per la selvaggia rozzezza. Barbaro e colui
che non parla la lingua della citta-Stato, nonche colui che
si scatena con furore. A prima vista non si comprende
bene come questa duplice interpretazione, in apparenza
illogica, possa convivere in un unico termine. Perche
mai colui che non parla la nostra lingua dovrebbe essere
51
un brutale selvaggio? Perche mai colui che ricorre alia
violenza piu feroce non sarebbe in grado di esprimersi
attraverso le nostre stesse parole?
In realta esiste un profondo legame fra la mancanza
di un linguaggio comune e la manifestazione di un in-
spiegabile comportamento violento. In una convivenza
una lingua comune permette alle parti di conoscersi, di
conciliare le differenze, di trovare un accordo. In caso di
conflitto consente agli awersari di discernere fra amici
e nemici, limitando l'uso della forza. Senza questa possi-
bility di intendersi non c'e spazio per la mediazione, ma
solo per la violenza incontrollata. Le forze contrapposte
possono scendere a patti a condizione d'essere capaci
di comunicare fra loro. Nel caso in cui si combattano, la
possibility di dialogare pone comunque un limite alia loro
violenza, stabilendo la soglia che non va oltrepassata per
non vanificare future trattative. Ma senza questo linguag-
gio comune, senza la possibility concreta di conoscere
qualcosa dell'altro — presupposto fondamentale per
scoprire cio che puo armonizzare gli interessi dei con-
tendenti — non resta che battersi fino all'ultimo sangue.
Nel riconoscere i tratti barbarici che caratterizzano
molte delle lotte sociali piu recenti, l'analisi dei due
emissari deH'Impero lascia trapelare una certa preoccu-
pazione per il loro possibile sviluppo. Dietro alle lusinghe
formali appare evidente il tentativo di civilizzare i bar-
bari, di educarli al linguaggio della polis-Impero al fine
di scongiurarne la violenza devastatrice e, soprattutto,
senza controllo. Hardt e Negri sono consapevoli che «le
lotte che si svolgono nelle varie parti del mondo, incluse
le proprie, sembrano scritte in un incomprensibile idio-
ma straniero», e che per questo motivo sono barbare. E
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in cio non scorgono alcun segno positivo, tutt'altro.
Non potendo ammettere la potenzialita sowersiva
di una simile estraneita, preferiscono denunciare che
«queste lotte non solo non sono riuscite a comunicare
con altri contesti, ma non sono neppure state in grado
di comunicare localmente e, cosi, spesso hanno avuto
una durata molto breve e limitata ai luoghi ove erano
nate, bruciandosi in un lampo». L'incomunicabilita dei
barbari — il famigerato «autismo» degli insorti moderni
che tanti fiumi di inchiostro ha fatto versare alia canea
giornalistica e sociologica — diventerebbe in ultima
analisi un fenomeno pericoloso non tanto per Flmpero
quanto per i barbari stessi, in quanto non permettereb-
be alia loro azione una maggiore diffusione nel tempo e
nello spazio. Ma sara poi questa la ragione che spinge
i due emissari a sostenere la necessity di «costruire un
nuovo linguaggio comune», la cui realizzazione viene
definita «un importante compito politico»? O non e per-
che «probabilmente, il fatto che tutte queste lotte siano
incomunicabili e impedite a propagarsi orizzontalmente
nella forma di un ciclo, le costringe a innalzarsi in verti-
cale e a toccare immediatamente il livello globale», cosa
pericolosissima poiche «piu il capitale allarga le sue reti
globali di produzione e controllo, piu potente diviene
ogni singolo punto della rivolta»?
Detto terra terra, se le lotte non si manifestassero in
modo tanto incontrollato — cioe non fossero irrecupe-
rabili in quanto incomunicabili — potrebbero estendersi
nel segno del quantitativo, benche meno significative
qualitativamente. E qui possibile toccare con mano il
reale interesse dei due emissari: meglio diffondere lotte
a bassa conflittualita, le eterne miserie del rivendicazio-
53
nismo, che sostenere lotte con caratteristiche radicali,
ad alta conflittualita. Insegnando ai barbari la lingua
dell'Impero (quella capace di esprimersi solo attraver-
so concetti quali Stato, partito, costituzione, politica,
produttivita, lavoro, democrazia, e via intristendo), i
due emissari li invitano si a moltiplicare le loro lotte in
orizzontale, ma solo perche sanno che una volta incivilite
queste risulteranno impoverite in verticale. Vogliono
incrementare la quantita della lotta, consapevoli che cio
awerra a scapito della sua qualita, in fedele osservanza
ad una ferrea legge del capitalismo.
Prendiamo gli esempi concreti avanzati da Hardt e
Negri. Se l'unificazione dei mercati ha superato ogni
barriera favorendo una libera circolazione delle merci,
essa deve infrangere anche ogni frontiera favorendo una
libera circolazione dei lavoratori. Tuttavia il «nomadismo
della moltitudine» conosce un ostacolo ben preciso:
varcare i confini puo pure in alcuni casi essere diven-
tato piu semplice, ma una volta arrivati a destinazione
cosa rispondere alia polizia che richiede i documenti?
Cosi la «cittadinanza globale» viene definita «un primo
elemento di un programma politico della moltitudine
globale». Una volta che ognuno di noi avra i documenti di
residenza, cioe sara riconosciuto come cittadino-suddito
dell'Impero, «tutti dovrebbero godere degli stessi diritti
di cittadinanza nel paese dove vivono e lavorano». Non
bisogna inf atti dimenticare che anche per i due emissari,
come per i nazisti, e il lavoro che rende liberi ed e proprio
l'accesso al lavoro che esige il riconoscimento di uno
statuto universale: «Nella postmodernita, questa richie-
sta politica di fatto fa leva su un fondamentale principio
costituzionale della modernita, che collega il diritto al la-
54
voro e che ricompensa, con la cittadinanza, il lavoratore
che crea il capitale». Nelle battaglie di tutti gli irregolari
e i clandestini che lavorano e che chiedono di venire
legalizzati, Hardt e Negri vedono la giusta rivendicazione
della ricompensa che spetta alio schiavo obbediente
agli ordini del proprio padrone. La sudditanza, quando
e accompagnata dall'assenso, merita la cittadinanza. Cio
che manca del tutto nel loro orizzonte e la possibility
che lo schiavo si ribelli agli ordini e cerchi di spezzare
le catene che lo imprigionano. Fra queste catene vanno
annoverati senz'altro i documenti di riconoscimento. I
due emissari si guardano bene dal considerare che la
liberta di movimento la si puo ottenere in due maniere,
fondamentalmente contrapposte. La prima e quella da
loro auspicata e che prevede documenti per tutti (magari
con le impronte di tutti!). La seconda e quella da loro non
contemplata e che non prevede documenti. La prima
ipotesi richiede la modernizzazione della burocrazia
dell'Impero, la seconda esige la sua distruzione. O ci si
mette in regola davanti alia polizia, o la si fa finita con
tutte le regole e con tutte le polizie.
Stesso discorso per l'altro cavallo di battaglia dei
due emissari, quello del salario sociale e del reddito
garantito per chiunque. «Una volta che la cittadinanza
e stata estesa a tutti, possiamo definire questo reddito
garantito un reddito di cittadinanza dovuto a ciascuno
in quanto membro della societa», propongono Hardt e
Negri, nella malcelata speranza che soddisfatti da una
retribuzione sociale — dovuta per il loro mero consenso,
a prescindere dall'attivita svolta — i sudditi la smettano
di rivoltarsi in quanto oppressi dall'Impero e si mettano a
lavorare in quanto membri della societa. Contrariamente
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a chi si ostina a pensare che il comunismo sia un mondo
senza denaro, i due emissari ritengono che esso debba
assumere inevitabilmente la forma di un mondo salariato
— vale a dire di un mondo capitalistico. Questa loro as-
soluta incapacity di immaginare l'esistenza umana al di
fuori dell'orbita tracciata dalle istituzioni imperiali non e
casuale: chi vuole comunicare con I'Impero deve imparare
a parlare come I'Impero, chi parla come I'Impero hnisce
col pensare come I'Impero.
L'lNSUFFICIENZA DEL No
La conversione dei barbari si gioca su tutti i piani.
Non solo devono imparare la lingua deH'Impero, devono
anche rinunciare alia propria violenza. Mase convincerli
ad andare a scuola e relativamente facile, basta promet-
tere un salto quantitativo, con quali argomentazioni si
puo invitare a deporre le spade chi considera l'uso della
forza una virtu? Attraverso un gioco di prestigio retorico
che ruota attorno all'inossidabile mito della Resisten-
za. Citando un partigiano antifascista, i due emissari
ricordano che «la resistenza nasce dalla diserzione».
Forti di questa verita storica, Hardt e Negri sostengono
che «mentre nell'era disciplinare era il sabotaggio a rap-
presentare la forma piu efficace di resistenza, nell'era
del controllo imperiale potrebbe essere la diserzione.
Mentre nella modernita essere contro significava, per lo
piu, un'opposizione diretta e/o dialetticatra forze, nella
postmodernita, l'efficacia dell'essere contro si manifesta
assumendo posizioni oblique e diagonali. Le battaglie
contro I'Impero possono essere vinte con la sottrazione e
la defezione. La diserzione non ha luogo: e l'evacuazione
dai luoghi del potere».
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Per quanto sciorinino tutto il loro repertorio di ma-
nipolatori della parola, in questo caso il trucco che
usano e fin troppo scadente. La resistenza nasce dalla
diserzione, ma non e diserzione. La diserzione comporta
solo una non-partecipazione, una non-collaborazione ai
progetti del nemico. Invece la resistenza e intervento
diretto, scontro frontale con il nemico. Al massimo si puo
dire che la diserzione sia stata una forma di resistenza
passiva, mentre la lotta partigiana e stata una forma di
resistenza attiva. Chi diventa consapevole di vivere in
una situazione sociale intollerabile, in un mondo fondato
sulla ricchezza dei pochi e sulla miseria dei molti, chi
non vuole piu sentirsi responsabile degli orrori quotidia-
namente commessi, puo smettere di fornire il proprio
contributo alia continuazione dell'esistente. Ad esempio,
non recandosi piu a votare oppure non acquistando le
merci delle grandi multinazionali. Ma questa scelta, per
quanto apprezzabile nelle intenzioni, risulta del tutto
insufficiente poiche in se non e in grado di mettere in
discussione concretamente l'ordinamento sociale, con-
cludendosi in un atteggiamento di rifiuto alquanto limi-
tato. Mette a tacere i sensi di colpa della coscienza, ma
non modifica la realta circostante. Per fermare il nemico,
non basta rifiutarsi di prestarvi servizio od astenersi
dal frequentarlo. Occorre fare un passo in piu, occorre
attaccarlo e colpirlo alio scopo di distruggerlo.
Sostenendo la diserzione a scapito del sabotaggio, i
due emissari non fanno altro che puntellare I'Impero.
Cosi come il nazismo continuava ad occupare e ad
opprimere l'ltalia, malgrado i suoi disertori, alio stesso
modo I'Impero continuera ad occupare e ad opprimere
l'intero pianeta, malgrado i suoi disertori. Tutta que-
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sta retorica sulla resistenza della diserzione persegue
maldestramente un unico scopo, quello di pacificare la
rabbia dei sudditi offrendo loro la valvola di sfogo dell'ab-
bandono e negando la necessita e l'urgenza dell'attacco
diretto contro l'lmpero. Attraverso questi sotterfugi da
ciarlatani, vengono invitati i barbari a prendere come
esempio non la determinazione dei disertori, quella che
poi li avrebbe condotti alia resistenza fattiva, bensi il loro
comportamento iniziale, vale a dire ad emulare il gesto
per cui diventarono famosi: quello di gettare via le armi,
di rifiutare di combattere.
E evidente che, una volta utilizzata la metafora impe-
riale, Hardt e Negri non possano che auspicare l'awento
dei «nuovi barbari». Basta solo che questi smettano di
essere tali: si ad un linguaggio comprensibile, no alia
violenza. Quest'ultima non serve piu: da un lato «la corru-
zione imperiale e gia minata dalla produttivita dei corpi,
dalla cooperazione e dai disegni della produttivita della
moltitudine. II solo evento che stiamo aspettando e la
costruzione — o meglio, l'insorgenza — di una potente
organizzazione»; mentre dall'altro «i militanti resistono
al comando dell'Impero creativamente. In altri termini,
la resistenza e immediatamente collegata con un inve-
stimento costitutivo nel mondo biopolitico, volto alia
creazione di dispositivi cooperativi di produzione e di
comunita». Per paura di essere fraintesi, i due emissari
sono qui costretti a spiegarsi con una certa chiarezza:
essi non auspicano affatto l'awento dell'orda barbarica,
bensi di una potente organizzazione di militanti! Non gra-
discono che si lotti con furore, ma che si lavori produtti-
vamente! Non chiedono che si segua la passione, ma che
si adempia al proprio dovere! Non vogliono che si faccia
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strage fra i nemici, ma che si resista creativamente!
Hardt e Negri apprezzano a tal punto l'lmpero, sono
talmente plasmati dai suoi valori, genuflessi davanti alia
sua organizzazione, obbedienti alle sue norme, assimilati
alia sua tecnologia, usi al suo linguaggio, da concludere
che «la militanza conosce solo un dentro, la vitale e
ineluttabile partecipazione al complesso delle strutture
sociali senza alcuna possibility di trascenderle». Siamo
qui di fronte ad un'ennesima acrobazia dialettica. Mentre
lanciano vibranti appelli ai sudditi affinche si incammi-
nino sulle strade dell'esodo, nel contempo affermano
piu volte che nell'Impero non esiste un altrove, un fuori
rispetto a un dentro.
Ma, se l'lmpero e ovunque, se non esistono piu i limes
che ne delimitano il territorio, dove si trovera mai questa
Terra Promessa verso cui indirizzare l'esodo della ((mol-
titudine)*? Esiste su questo pianeta una zona franca, un
luogo rimasto incontaminato dalla logica del profitto e
del potere? Malauguratamente il mondo e Uno ed e inte-
ramente sotto il dominio dell'Impero. Al suo interno non
e permessa alcuna alternativa sostanziale. Tutt'al piu ci
e concesso di rinunciare ad una esistenza nostra, il che
equivale a spegnerci, adeguandoci al suo ordinamento
— il quieto vivere della rassegnazione. Tutt'al piu ci e
possibile soprawivere alia meno peggio, inserendoci in
qualche suo interstizio.
Ecco perche chi desidera vivere, cioe determinare da
se il contenuto e la forma dei propri giorni su questa
terra, non ha che una carta da giocare. Prima d'essere
condizione preliminare indispensabile ad ogni sperimen-
tazione di liberta reale, l'insurrezione contro l'lmpero e
una questione di dignita.
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Senza una ragione
Oggi i barbari non si accampano piu alle porte della
Citta. Si trovano gia al suo interno, essendovi nati. Non
esistono piu le fredde terre del Nord o le brulle steppe
dell'Est da cui fare partire le invasioni. Bisogna prendere
atto che i barbari provengono dalle fila degli stessi suddi-
ti imperiali. Come a dire che i barbari sono dappertutto.
Per le orecchie abituate alFidioma della polis e facile
riconoscerli perche si esprimono balbettando. Ma non
bisogna lasciarsi ingannare dal suono incomprensibile
della loro voce, non bisogna confondere chi e senza una
lingua con chi parla una lingua diversa.
Molti barbari sono infatti privi di un linguaggio ricono-
scibile, resi analfabeti dalla soppressione della propria
coscienza individuale — conseguenza dello sterminio del
significato attuato dall'Impero. Se non si sa come dire, e
perche non si sa cosa dire; e viceversa. E non si sa cosa
e come dire perche tutto e stato banalizzato, ridotto a
mero segno, ad apparenza. Considerato una delle mag-
giori sorgenti della rivolta, fonte irradiante di energia,
nel corso degli ultimi decenni il significato e stato eroso
da tutta una schiera di funzionari imperiali (ad esempio
dalla scuola strutturalista francese tanto cara ai due
emissari) che lo hanno frantumato, polverizzato, sbricio-
lato in ogni ambito del sapere. Le idee che interpretano
ed incitano all'azione trasformatrice sono state can-
cellate e rimpiazzate dalle opinioni che commentano e
inchiodano alia contemplazione conservatrice. Laddove
prima c'era una giungla piena di insidie perche selvaggia
e rigogliosa, e stato fatto il deserto. E cosa dire, cosa fare
in mezzo al deserto? Privi di parole con cui esprimere
la rabbia per le sofferenze subite, privi di speranze con
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cui superare l'angoscia emozionale che devasta l'esi-
stenza quotidiana, privi di desideri con cui contrastare
la ragione istituzionale, privi di sogni a cui tendere per
spazzare via la reiterazione dell'esistente, molti sudditi
si imbarbariscono nei gesti. Una volta paralizzata la
lingua, sono le mani a fremere per trovare sollievo alia
frustrazione. Inibita nel manifestarsi, la pulsione alia gioia
di vivere si capovolge nel suo contrario, nell'istinto di
morte. La violenza esplode ed essendo senza significato
si manifesta in maniera cieca e furiosa, contro tutto e
tutti, travolgendo ogni rapporto sociale. Laddove non
c'e una guerra civile in corso, ci sono i sassi lanciati dai
cavalcavia oppure lo sterminio di parenti, amici o vicini.
Non e una rivoluzione, non e nemmeno una rivolta, e una
strage generalizzata compiuta da sudditi resi barbari
dalle ferite quotidiane inflitte sulla propria pelle da un
mondo senza senso perche a senso unico. Questa violen-
za cupa e disperata infastidisce Flmpero, turbato nella
sua presunzione di garantire la pace dei sensi, ma non
lo preoccupa. In se, non fa altro che alimentare e giusti-
ficare la richiesta di maggior ordine pubblico. Eppure,
per quanto facilmente recuperabile una volta affiorata in
superficie, essa mostra tutta l'inquietudine che agita in
profondita questa societa, tutta la precarieta della presa
imperiale sulle vicissitudini del mondo moderno.
E tuttavia esistono anche altri barbari, di natura diver-
sa. Barbari in quanto refrattari alle parole d'ordine, non
certo in quanto privi di coscienza. Se il loro linguaggio
risulta oscuro, noioso, balbettante e perche non coniu-
ga all'infinito il Verbo imperiale. Sono tutti coloro che
rifiutano deliberatamente di seguire l'itinerario istitu-
zionale. Hanno altri sentieri da percorrere, altri mondi
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da scoprire, altre esistenze da vivere. Alia virtualita
— intesa come finzione — della tecnologia che nasce in
sterili laboratori, oppongono la virtualita — intesa come
possibility — delle aspirazioni che nascono nei battiti del
cuore. Per dare forma e sostanza a queste aspirazioni,
per trasformarle da virtuali in reali, devono strappare
aH'Impero con la forza il tempo e lo spazio necessari alia
loro realizzazione. Devono, cioe, riuscire ad arrivare ad
una rottura integrale con l'lmpero.
Anche questi barbari sono violenti. Ma la loro violenza
non e cieca nei confronti di chi colpisce, quanto piuttosto
nei confronti della ragione imperiale. Questi barbari non
parlano e non capiscono la lingua della polis, ne vogliono
impararla. Non sanno cosa farsene della struttura sociale
dell'Impero, della costituzione americana, degli attuali
mezzi di produzione, dei documenti di riconoscimento
o del salario sociale a cui tanto tengono i due emissari.
Non hanno nulla da chiedere ai funzionari imperiali, non
hanno nulla da offrire loro. La politica del compromesso
e abortita in partenza, e non per un ridicolo processo
ideologico, ma per una totale inadeguatezza a questo
mondo. Sanno solo che per realizzare i propri desideri,
quali che siano, devono prima togliere di mezzo gli osta-
coli che incontrano sul proprio cammino. Non hanno
tempo di chiedersi come mai «il capitalismo e miracolo-
samente ancora vivo e vegeto e la sua accumulazione e
piu gagliarda che mai», come si attardano comicamente
a fare i due emissari, sconcertati che la storia si rifiuti
di funzionare assecondando gli oliati meccanismi di una
macchina. II «mistero della longevity del capitale» non
riesce ad appassionare questi barbari tanto quanto l'ur-
genza della sua morte. Per questo sono pronti a mettere
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a ferro e a fuoco le metropoli — con le loro banche, i loro
centri commerciali, la loro urbanistica poliziesca — in
qualsiasi momento, individualmente o collettivamente,
alia luce del sole o nei buio della notte. Se non hanno un
solo motivo per farlo, e perche li hanno tutti.
Contrariamente ai sudditi scontenti che vorrebbero
diventare sudditi contenti, a questi barbari non interessa
la possibility di un altro mondo. Preferiscono battersi
perche pensano che un mondo altro sia possibile. San-
no che "un altro mondo" sara come "un altro giorno",
la vuota e noiosa ripetizione di quello che lo ha prece-
duto. Ma un mondo altro e un mondo sconosciuto tutto
da fantasticare, da creare, da esplorare. Essendo nati e
cresciuti sotto il giogo imperiale, senza avere mai avuto
la possibility di sperimentare modi radicalmente diversi
di vivere, non e possibile immaginare questo mondo altro
se non in termini negativi, come un mondo senza denaro,
senza legge, senza lavoro, senza tecnologia e senza tutti
gli innumerevoli orrori prodotti dalla civilta capitalista.
Inetti a concepire un mondo senza padroni da servire,
i due emissari interpretano questa assenza come man-
canza. E questa loro ridicola persuasione che l'lmpero
sia il destino dell'umanita a far loro dire che «il rifiuto del
lavoro e dell'autorita — e in particolare, il rifiuto della
servitu volontaria — e l'inizio della liberazione politica
[...]. Questo rifiuto e certamente l'inizio della liberazione
politica, ma e solo l'inizio. In se stesso, il rifiuto e vuoto
[...]. In termini politici, il rifiuto, in quanto tale (del la-
voro, dell'autorita, e della servitu volontaria) conduce
a una sorta di suicidio sociale. Come dice Spinoza, se ci
limitiamo a separare la testa del tiranno dal corpo sociale
ci ritroveremo tra le braccia il cadavere mutilato della
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societa». II tiranno e la testa, la ragione che guida; i sud-
diti sono i muscoli, la forza che lavora. Piu che Spinoza, i
due emissari avrebbero dovuto citare i patrizi dell'antica
Roma, i quali facevano notare alia plebe in procinto di
ribellarsi che se i sudditi insorgono e mettono a morte
il tiranno commettono un suicidio, perche non si pud
vivere senza qualcuno che comanda.
L'eterna menzogna che regge ogni esercizio del potere
trova in Hardt e Negri due ferventi seguaci, disponibili
a sostenere che il rifiuto dell'autorita e un suicidio e
l'anarchismo e una forma di impotenza. In realta, come e
stato fatto notare piu volte e da piu parti, e la distruzione
ad aprire la porta alia creazione, il mero rifiuto non fa
altro che rendere fertile il terreno alia nuova affermazio-
ne. Contrariamente a quanto pensano i due emissari, il
tiranno — ed ogni struttura di potere e tirannica — non
e la testa del corpo sociale, bensi il parassita che ne av-
velena l'organismo. Ucciderlo e un atto di liberazione. I
club rivoluzionari parigini, cosi come i Consigli operai
russi, non hanno risentito della decapitazione del re
Luigi XVI, o della caduta dello zar Nicola II. Anzi e stata
proprio la liquidazione del potere, cioe il contesto in-
surrezionale che abbatte antiche abitudini e sprigiona
nuove energie, a permettere la loro nascita e diffusione.
Ed e stata proprio la reintroduzione del potere, in chiave
giacobina o bolscevica, a determinare lo stallo e la rovina
del processo di rigenerazione sociale, riportando cio che
e Ignoto a cio che e Stato.
Chi non parla con me e come me non ha nulla da dire.
Chi non agisce con me e come me e malato di impotenza.
Chi non vive con me e come me desidera suicidarsi. E
questo l'insegnamento che l'lmpero semina fra i suoi ne-
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mici per bocca dei suoi emissari. Ma i barbari sono sordi
a simili puerili moniti, le loro orecchie sono sensibili solo
alia voce che li chiama all'assalto dell'Impero, alia tabula
rasa dell'esistente. La loro furia incute terrore persino in
molti nemici dell'Impero, desiderosi si di vincerlo ma con
le buone maniere. Da bravi civilizzati, costoro condivido-
no il dissenso ma non l'odio; comprendono l'indignazione
ma non la rabbia; lanciano slogan di protesta ma non urla
di guerra; sono pronti a versare saliva ma non sangue.
Anch'essi — sia chiaro — vogliono la fine dell'Impero,
pero si aspettano che awenga spontaneamente, come un
fenomeno naturale. Spinti dalla certezza che l'lmpero e
gravemente malato, i suoi piu educati nemici si augurano
che un collasso liberi al piu presto l'umanita dalla sua
ingombrante presenza.
D'altronde nessuno puo negare che e assai meno peri-
coloso ottenere la liberta in seguito alia placida dipartita
del padrone, come una sorte di eredita, piuttosto che
conquistarla in battaglia. Questa indiscutibile consta-
tazione li porta a sedere sulla riva del fiume, in attesa
di veder passare il cadavere del loro nemico trascinato
dalla corrente.
Ben diversa e la natura barbara, che non conosce
questa soave pazienza. I barbari infatti sono persuasi
che sia vano attendere la morte dell'Impero, la quale
oltre tutto potrebbe non essere cosi imminente come
si augurano i suoi civili nemici. Inoltre, tutto lascia sup-
porre che nel momento del suo crollo l'lmpero seppellira
tutti, ma proprio tutti, sotto le sue macerie. Allora, a
che pro aspettare? Non e meglio andare a cercarselo,
il nemico, e fare il possibile per sbarazzarsene? Questa
barbara determinazione suscita orrore. Inorriditi sono
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i due emissari, secondo cui l'identificazione del nemico
e «il problema fondamentale della filosofia politica» e in
quanto tale non puo riguardare i barbari, che nella loro
rozzezza sono in grado al massimo di «muoversi in tondo
tracciando una serie di cerchi paradossali».
Ma inorriditi sono anche i nemici perbene dell'Impero
i quali, abituati a consumare i propri giorni nell'attesa
di poter cominciare a vivere, scambiano l'immediatezza
barbara per sete di sangue. E come potrebbe essere di-
versamente? Essi sono del tutto incapaci di comprendere
in favore di cosa si battono i barbari, il cui linguaggio
e incomprensibile anche per le loro orecchie. Troppo
infantili le loro urla, troppo gratuito il loro ardire. Di
fronte ai barbari costoro si sentono impotenti come un
adulto alle prese con dei bambini scatenati. In effetti per
gli antichi Greci il barbaro era assai simile al bambino,
mentre in russo i due concetti si esprimono con lo stes-
so vocabolo (e pensiamo al latino infans, infante, che
significa letteralmente non parlante).
Ebbene, cio che piu viene rimproverato ai non parlanti,
ai balbuzienti, e la mancanza di serieta, di ragionevolez-
za, di maturita. Per i barbari, come per i bambini, la cui
natura non e stata ancora o del tutto addomesticata, la
liberta non comincia con l'elaborazione di un programma
ideale ma col rumore inconfondibile di cocci rotti. E qui
che si alzano le proteste di chi pensa, con Lenin, che
l'estremismo non sia che «una malattia infantile». Con-
tro la malattia senile della politica, i barbari affermano
che e la liberta il bisogno piu urgente e piu terrificante
della natura umana. E la liberta sfrenata dispone di tutti
i prodotti del mondo, di tutti gli oggetti da trattare come
giocattoli.
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Ma i figli della dea Ragione non ammettono una tra-
sformazione sociale che non si fondi suH'edificazione del
Bene Pubblico, si tratti del ritorno ad un passato mitico
(l'illusione primitivista) o del compimento di un futuro
radioso (l'illusione messianica). Quanto ai barbari, non
amano ne i sospiri di nostalgia, ne le lauree in architet-
tura. Cid che e non va distrutto in nome di cid che era o
di cid che sara, ma per dare finalmente vita a tutto cio
che potrebbe essere, nelle sue smisurate possibility, qui
ed ora. Adesso.
Per farla finita
E inutile cercare di insegnare a parlare a chi non ha
una lingua. E inutile spaventarsi di fronte a suoni guttu-
rali e a gesti inconsulti. E inutile proporre mediazioni a
chi vuole l'impossibile. E inutile implorare liberta a chi
impone schiavitu. Lasciamo la pedagogia ai due emissari,
assieme al loro spirito poliziesco e missionario. Che i
barbari si scatenino. Che affilino le spade, che brandi-
scano le asce, che colpiscano senza pieta i propri nemici.
Che l'odio prenda il posto della tolleranza, che il furore
prenda il posto della rassegnazione, che l'oltraggio pren-
da il posto del rispetto. Che le orde barbariche vadano
all'assalto, autonomamente, nei modi che decideranno, e
che dopo il loro passaggio non cresca piu un parlamento,
un istituto di credito, un supermercato, una caserma,
una fabbrica. Di fronte al cemento che prende a schiaffi
il cielo e all'inquinamento che lo sporca si puo ben dire,
con Dejacque, che «Non sono le tenebre questa volta che
i Barbari porteranno al mondo, e la luce».
La distruzione dell'Impero difficilmente potra assume-
re le consuete forme della rivoluzione sociale, cosi come
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ci e dato conoscerle dai libri di storia (la conquista del
Palazzo d'Inverno, la reazione popolare a un golpe, lo
sciopero generale selvaggio).
Non ci sono piu nobili Idee in grado di smuovere
grandi masse proletarie, non ci sono piu dolci Utopie
pronte ad essere fecondate dai loro amanti, non ci sono
piu radicali Teorie che aspettano solo di essere messe in
pratica. Tutto cio e stato sommerso, spazzato via dalla
melma imperiale. C'e solo il disgusto, la disperazione, la
ripugnanza di trascinare la propria esistenza nel sangue
sparso dai potere e nel fango sollevato dall'obbedienza.
Eppure e in mezzo a questo stesso sangue e al fango che
puo nascere la volonta — confusa in alcuni, piu nitida in
altri — di farla finita una volta per sempre con Flmpero
ed il suo ordine letale.
«E allora, tutte le sofferenze, tutto il passato, tutti gli orrori
ed i tormenti che hanno segnato il mio corpo, li gettavo al
vento come se fossero di altri tempi, e mi abbandonavo
allegramente a sogni di avventura vedendo con la febbre
dell'immaginazione un mondo diverso da quello in cui ero
vissuto, ma che desideravo; un mondo dove nessuno di
noi aveva vissuto, ma che molti di noi avevano sognato. E
il tempo passava volando, e le fatiche non entravano nel
mio corpo, e il mio entusiasmo aumentava, e diventavo
temerario e al mattino uscivo in ricognizione per scoprire
il nemico, e... tutto per cambiare la vita; per imprimere un
altro ritmo a questa nostra vita; perche gli uomini, ed io tra
loro, possono essere fratelli; perche iallegria, almeno una
volta, esplodendo nei nostri petti esplodesse sulla terra.. .»
Un incontrollato della Colonna di Ferro
marzo 1937, Spagna
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INDICE
Introduzione Pag. 5
Parte Prima
Impero
Impero 15
A malincuore 18
Andate a lavorare! 27
II rovescio della medaglia 31
Le teste dell'aquila 37
Le correzioni della liberta 42
Parte Seconda
Barbari
Barbari 51
Linsufficienza del No 56
Senza una ragione 60
Per farla finita 67
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