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martedì 11 dicembre 2018

Barbari / L'insorgenza disordinata

uno dei libretti più divertenti e significanti, diciamo che lo usavamo 
come critica a chi ci criticava.
buona lettura, grazie al buon cuore che l'ha linkato su fasbuk, 
non potevo non copiare e incollare per il blog;
non un saggio ma filosofia pura, 
o comunque quel che garba a chi ha sete di vita
 
 Barbari / L'insorgenza disordinata
 
Crisso / Odoteo
 
Introduzione 

Qualcuno ha notato che una delle maggiori astuzie di Marx 
e stata quella di aver inventato il marxismo come lingua franca. 
Fin dall'antichita e risaputo che I'arte della persuasione consiste 
nel saper determinare, parlando o scrivendo, un preciso effetto 
psicologico in chi legge o ascolta, ben al di la dei contenuti del 
ragionamento svolto. 
I Greci dicevano che persuadere significa «condurre a se gli animi». 
Molte espressioni marxia-ne - e, si 
potrebbe dire, lo stesso «rumore sottile» della sua prosa - hanno 
affascinato, terrorizzato, reso emuli migliaia di lettori. 
 
Locuzioni 
quali «Condizioni sociali storicamente determinate, estrazione 
del plusvalore, elemento oggettivamente controrivoluzionario, 
...», certe tecniche giornalistiche e poi le famose inversioni 
del genitivo («f ilosof ia della miseria, miseria della f ilosof ia»): 
questo gergo ha fornito a molti aspiranti burocrati e a veri 
dittatori un serbatoio di frasi fatte con cui giustificare il proprio 
potere e a tanti socialdemocratici una cortina fumogena con cui 
soddisfare chi si accontenta che alia capitolazione nella pratica 
si accompagni la radicalita nello stile. L'importante era ed e 
assumere I'atteggiamento di chi sa con scientifica precisione 
di cosa sta parlando. 

Lo stesso ruolo giocano oggi, siparva licet, i testi di Antonio 
Negri. Due sono infatti, attualmente, le "centrali teoriche" di 
quello che la neolingua giornalistica ha definito movimento 
no-global: il collettivo di Le monde diplomatique e il nostro 
professore padovano, appunto. Al primo si deve I'omonimo 
mensile, I'organizzazione di conferenze e seminari, la pubbli- 
cazione di libri e la creazione del cosiddetto movimento per la 



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Tobin Tax (Attac), di cui esistono ormai diverse sezioni italiane. 
Al secondo, fra i fondatori prima di Potere Operaio e poi di 
Autonomia Operaia, si deve molto dell'ideologia operaista 
italiana e, oggi, la teoria di cui le Tute bianche, i Disobbedienti 
e tanti altri cittadini globali sono i soldatini. Si legga un qual- 
siasi volantino di un qualsiasi social forum e vi si troveranno, a 
colpo sicuro, le seguenti espressioni: societa civile, moltitudine, 
movimento dei movimenti, reddito di cittadinanza, dittatura 
del mercato, esodo, disobbedienza (civile o civica), globalizza- 
zione dal basso, e cosi via. Pur avendo una storia piu o meno 
lunga, questi concetti variamente assemblati costituiscono 
I'attuale bignami del recuperatore alternative e del perfetto 
riformista. Uno dei direttori di questa «fabbrica ontologica», 
uno dei tecnici di questa «macchina linguistica» e, ancora una 
volta, Toni Negri. 

Non incorreremo nell'errore banale di credere che siano 
certe teorie a influenzare unilateralmente i movimenti. Le 
teo-rie si diffondono in quanto servono determinati interessi e 
rispondono a determinate esigenze. Impero di Negri e Hardt e, 
in tal senso, un libro esemplare. Assieme alle elaborazioni dei 
cugini "diplomatici" francesi, le sue pagine offrono la versione 
piu intelligente del programma di sinistra del capitale. I gruppi 
che ad esse si richiamano sono la versione globalizzata della 
vecchia socialdemocrazia e la variante gassosa - che alia rigida 
gerarchia dei funzionari ha sostituito il modello della rete (o 
del rizoma) in cui il potere dei leader appare piu fluido - della 
burocrazia stalinista. Insomma, il partito comunista del terzo 
millennio, la pacificazione del presente, la controrivoluzione del 
future Costruita sul declino del movimento operaio e delle sue 
forme di rappresentanza, questa nuova maniera di far politica 
non ha piu campi privilegiati di intervento (come la fabbrica 
o il quartiere) e offre alle ambizioni degli aspiranti dirigenti 
un terreno piu immediato di quello delle vecchie segreterie di 



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partito: il rapporto coi mass media. Per questo partiti e sindacati 
di sinistra si pongono come suoi alleati e vanno sovente a rimor- 
chio delle sue iniziative, ben sapendo che, al di la dei piercing di 
qualche piccolo leader e di certi slogan da retorica guerrigliera, 
la politica disobbediente rappresenta la base (anche elettorale) 
del potere democratico a venire. Dello stalinismo essa mantiene 
intatto il ruolo, ma il suo futuro si inscrive soprattutto nella sua 
capacita di porsi come forza di mediazione fra le tensioni sov- 
versive e le esigenze dell'ordine sociale, portando i movimenti 
nell'alveo istituzionale e attuando un'opera di denuncia degli 
elementi che sfuggono al suo controllo. 

D'altra parte lo Stato, dopo aver progressivamente assor- 
bito il sociale, si e reso conto di soffocare ogni creativita sotto 
il fardello istituzionale; costretto a riespellerlo, ha chiamato 
questo scarto societa civile, abbellendolo con tutte le ideologie 
della classe media: umanitarismo, volontariato, ambientalismo, 
pacifismo, antirazzismo democratico. II consenso, nella dila- 
gante passivita, ha bisogno di continue iniezioni di politica. A 
questo servono i politici disobbedienti con i loro cittadini. Per 
gli orfani della classe operaia, infatti, e la figura astratta del 
cittadino ad avere oggi tutte le virtu. Giocando abilmente sui 
signif icati della parola (il cittadino e alio stesso tempo il suddito 
di uno Stato, il borghese, il citoyen della rivoluzione francese, 
il soggetto della polis, il sostenitore della democrazia diretta), 
questi democratici si rivolgono a tutte le classi. I cittadini della 
societa civile si oppongono alia passivita dei consumatori quan- 
to alia rivolta aperta degli sfruttati contro I'ordine costituito. 
Sono I'anima buona delle istituzioni statali (o pubbliche, come 
preferiscono dire), quelli che in una Genova qualsiasi inviteran- 
no sempre, per dovere civico, la polizia a «isolare i violenti». 
Con la complicity delle mobilitazioni democratiche dei "disob- 
bedienti", lo Stato puo dare cosi maggiore forza e credibility 
al suo ultimatum: o si dialoga con le istituzioni oppure si e 



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"terrorists da perseguire (si leggano, in tal senso, i vari accordi 
internazionali firmati dopo l'1 1 settembre). II «movimento dei 
movimenti» e un potere costituente, cioe un'eccedenza sociale 
rispetto al potere costituito, una forza politica istituente che 
si scontra e interloquisce con la politica istituita - nell'idea di 
Negri, la versione militante del concetto spinoziano di potenza. 
La strategia e quella della progressiva conquista di spazi istitu- 
zionali, di un consenso politico e sindacale sempre piu allargato, 
di una legittimita ottenuta offrendo al potere la propria forza 
di mediazione e la propria cauzione morale. 

Nel racconto negriano, il vero soggetto della storia e uno 
strano essere dalle mille metamorfosi (prima operaio-massa, 
poi operaio sociale, ora moltitudine) e dalle mille astuzie. E 
lui, infatti, ad avere il potere anche quando tutto parrebbe 
testimoniare il contrario. Tutto cio che il dominio impone 
e lui, in realta, ad averlo voluto e conquistato. L'apparato 
tecnologico incorpora il suo sapere collettivo (non la sua alie- 
nazione). II potere politico asseconda le sue spinte dal basso 
(non il suo recupero). II Diritto formalizza il suo rapporto di 
forza con le istituzioni (non la sua integrazione repressiva). In 
questa visione edificante della storia, tutto avviene secondo 
gli schemi del marxismo piu ortodosso. Lo sviluppo delle forze 
produttive - autentico fattore di progresso - entra continua- 
mente in contraddizione con i rapporti sociali, modificando 
I'assetto della societa nel senso deU'emancipazione. L'impianto 
e lo stesso della socialdemocrazia tedesca classica, cui si deve 
I'irref utabile privilegio di aver stroncato nel sangue un assalto 
rivoluzionario e poi gettato i proletari nelle mani del nazismo. 
E socialdemocratica e I'illusione di opporre al potere delle 
multinazionali quello delle istituzioni politiche, illusione che 
Negri condivide con gli statalisti di sinistra de Le monde diplo- 
matique. Se entrambi denunciano tanto spesso il «capitalismo 
selvaggio», i «paradisi fiscali», la «dittatura dei mercati», e 



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perche vogliono nuove regole politiche, un nuovo governo 
della globalizzazione, un altro New Deal. In questo senso va 
letta la proposta di un reddito universale di cittadinanza, che 
i negriani meno "dialettici" non hanno scrupoli a presentare 
apertamente come un rilancio del capitalismo. 

Nonostante due decenni di duri conflitti sociali, il capitali- 
smo e riuscito ad aggirare la minaccia rivoluzionaria, attraverso 
un processo giunto a compimento alia fine degli anni Settanta, 
con lo smantellamento dei centri produttivi e la loro diffusione 
sul territorio, e col completo assoggettamento della scienza al 
dominio. A questa conquista di ogni spazio sociale corrisponde, 
quale ulteriore frontiera da varcare, I'entrata del capitale nel 
corpo umano attraverso il dominio degli stessi processi vitali 
della specie: le necrotecnologie sono I'ultimo esempio del suo 
vagheggiamento di un mondo interamente artificiale. Ma per 
Negri tutto do e espressione della creativita della moltitudine. 
La subordinazione totale della scienza al capitale, I'investimento 
nei servizi, nel sapere e nella comunicazione (la nascita delle 
«risorse umane», secondo il linguaggio manageriale), per lui 
esprime il «divenir-donna» del lavoro, cioe la forza produttiva 
dei corpi e della sensibilita. Nell'epoca del «lavoro immateriale» 
i mezzi di produzione di cui la moltitudine deve assicurarsi la 
proprieta comune sono i cervelli. La tecnologia, in tal senso, 
democratizza sempre piu la societa, poiche il sapere che il 
capitalismo mette a profitto oltrepassa ogni ambito salariale, 
coincidendo di fatto con I'esistenza stessa degli esseri umani. 
Ecco cosa significa, allora, la rivendicazione di un reddito 
minimo garantito: se il capitale ci fa produrre in ogni istante, 
che ci paghi anche se non siamo impiegati come salariati e gli 
renderemo il denaro consumando. 

Le conclusioni di Negri e soci sono il perfetto rovesciamento 
delle idee di chi, gia negli anni Settanta, sosteneva che la rivo- 
luzione passa attraverso il corpo, che la condizione proletaria 



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e sempre piu universale e che la vita quotidiana e il luogo 
autentico della guerra sociale. II fine dei recuperatori e sempre 

10 stesso. Negli anni Settanta, per conquistarsi un posto al sole 
parlavano di sabotaggio e di guerra di classe; oggi propongono 
la costituzione di liste civiche, I'accordo con i partiti, I'entrata 
nelle istituzioni. II loro gergo e le loro acrobazie linguistiche 
mostrano che la dialettica marxista e capace di ogni prodezza; 
passando da Che Guevara a Massimo Cacciari, dai contadini del 
Chiapas alia piccola impresa veneta, oggi giustifica la delazione 
come ieri teorizzava la dissociazione. D'altronde, come essi stessi 
riconoscono, I'importante non sono le idee ne i metodi, bensi 
«le parole d'ordine perentorie». 

Per i teorici "disobbedienti" le istituzioni politiche sono 
ostaggio del capitale multinazionale, semplici camere di regi- 
strazione di processi economici globali. In realta, dal nucleare 
alia cibernetica, dallo studio dei nuovi materiali all'ingegneria 
genetica, dall'elettronica alle telecomunicazioni, lo sviluppo 
della potenza tecnica - base materiale di quella che viene 
definita globalizzazione - e legato alia fusione dell'apparato 
industriale e scientifico con quello militare. Senza il settore ae- 
rospaziale, senza I'Alta velocita ferroviaria, senza i collegamenti 
attraverso i cavi a fibre ottiche, senza i porti e gli aeroporti, 
come potrebbe esistere un mercato globale? Aggiungiamo 

11 ruolo fondamentale delle operazioni di guerra, lo scambio 
continuo di dati fra il sistema bancario, assicurativo, medico 
e poliziesco, la gestione statale delle nocivita ambientali, la 
sorveglianza sempre piu capillare, e si cogliera come sia mistifi- 
catorio parlare di declino dello Stato. Quella che sta cambiando 
e semplicemente una certa forma statale. 

A differenza di altri socialdemocratici, per Negri non 
e piu possibile la difesa dello Stato "sociale" nazionale, in 
quanto costituzione politica ormai superata. Si apre pero una 
prospettiva ancora piu ambiziosa: la democrazia europea. Da 



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un lato il potere si pone infatti il problema di come pacificare 
le tensioni sociali, stante la crisi della politica rappresentativa. 
Dall'altro i "disobbedienti" cercano nuove strade per rendere 
piu democratiche le istituzioni, rendendo piu istituzionali i 
movimenti. Ecco il possibile incontro: «Chi ha dunque interesse 
all'Europa politica unita? Chi e il soggetto europeo! Sono quelle 
popolazioni e quegli strati sociali che vogliono costruire una 
democrazia assoluta a livello di Impero. Che si propongono 
come contro-lmpero. [...] II nuovo soggetto europeo non rifiuta 
dunque la globalizzazione, anzi, costruisce I'Europa politica 
come luogo dal quale parlare contro la globalizzazione, nella 
globalizzazione, qualificandosi (a partire dallo spazio europeo) 
come contropotere rispetto all'egemonia capitalistica dell'lm- 
pero» (da Europa politica. Ragioni di una necessita, a cura di 
H. Friese, A. Negri, P. Wagner, 2002). 

Siamo giunti alia fine. Sotto una fitta cortina fumogena 
di slogan e di frasi ad effetto, sotto un gergo che ammicca e 
terrorizza, ecco ora definito un programma semplice per il ca- 
pitale e grandioso per la moltitudine. Cerchiamo di riassumerlo. 
Grazie ad un reddito garantito, i poveri possono essere flessibili 
nella produzione di ricchezza e nella riproduzione della vita, 
e rilanciare cosl I'economia; grazie alia proprieta comune dei 
nuovi mezzi di produzione (i cervelli), il «proletariato immate- 
riale» puo «cominciare attraverso I'Europa una lunga marcia 
zapatista della forza-lavoro intellettuale»; grazie a nuovi diritti 
universali di cittadinanza, il dominio puo attraversare la crisi 
dello Stato-nazione e includere socialmente gli sfruttati. I pa- 
droni non lo sanno ma, lasciati finalmente liberi di svilupparsi, 
i nuovi mezzi di produzione realizzeranno di fatto cio che 
contengono gia in potenza: il comunismo. Occorre solo fare i 
conti coi capitalisti ottusi, reazionari, neoliberisti (insomma, con 
la "cattiva" globalizzazione). Tutto cio sembra essere concepito 
apposta per confermare quello che Walter Benjamin consta- 

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tava oltre sessant'anni fa, qualche settimana dopo il patto di 
non aggressione fra Stalin e Hitler: «Non c'e nulla che abbia 
corrotto i lavoratori tedeschi quanto la persuasione di nuotare 
con la corrente. Per loro lo sviluppo tecnico era il favore della 
corrente con cui pensavano di nuotare». 

Ma le acque agitate della corrente nascondono insidie peri- 
colose, come avverte lo stesso Negri: «adesso ci troviamo in una 
costituzione imperiale nella quale monarchia ed aristocrazia 
lottano tra loro, ma i comizi della plebe sono assenti. Cio de- 
termina una situazione di squilibrio, dal momento che la forma 
imperiale puo esistere in maniera pacificata solo quando questi 
tre elementi si equilibrano tra loro» (da MicroMega, maggio 
2001). Insomma, cari senatori, Roma e in pericolo. Senza "dia- 
lettica" fra movimenti sociali e istituzioni, i governi sono "ill e- 
gittimi", quindi insicuri. Come hanno dimostrato mirabilmente 
prima Tito Livio e poi Machiavelli, I'istituzione del tribunato 
della plebe serviva a controbilanciare la continua espansione 
imperiale romana con I'illusione della partecipazione popolare 
alia politica. Ma il celebre apologo di Menenio Agrippa - che 
apostrofava la plebe ammutinata dicendole che solo grazie 
ad essa Roma viveva, come un corpo vive solo grazie alle sue 
membra - rischia in effetti di concludersi. L'lmpero sembra aver 
sempre meno bisogno dei poveri che produce, lasciati a marcire 
a milioni nelle riserve del paradiso mercantile. D'altra parte, la 
plebe potrebbe farsi minacciosa, come un'orda di barbari - e 
scendere si dal colle verso la citta, ma con le peggiori inten- 
zioni. Per gli sfruttati irrequieti e irragionevoli la mediazione 
dei nuovi dirigenti potrebbe essere odiosa quanto il potere in 
carica e inefficace quanto una lezione di civismo fatta a chi ha 
gia i piedi sul tavolo. La polizia, anche in tuta bianca, potrebbe 
non bastare. 



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Aspettando i barbari 

Cosa aspettiamo qui riuniti al Foro? 
Oggi devono arrivare i barbari. 
Perche tanta inerzia al Senato? 
E i senatori perche non legiferano? 

Oggi arrivano i barbari. 
Che leggi possono fare i senatori? 
Venendo i barbari le faranno loro. 
Perche Vimperatore si e alzato di buon'ora 
e sta alia porta grande della citta, solenne 
in trono, con la corona sulla fronte? 
Oggi arrivano i barbari e il sovrano 
e in attesa della visita del loro capo; 
anzi, ha gia pronta la pergamena 

da offrire in dono 
dove gli conferisce nomi e titoli. 
Perche i nostri due Consoli e i Pretori 
stamane sono usciti in toga rossa ricamata? 
perche portano bracciali con tante ametiste 
e anelli con smeraldi che mandano barbagli? 
perche hanno in mano le rare bacchette 
tutte d'oro e d'argento rifinito? 
Oggi arrivano i barbari 
e queste cose ai barbari fan colpo. 
Perche non vengono anche i degni 
oratori a perorare come sempre? 
Oggi arrivano i barbari 
e i barbari disdegnano eloquenza e arringhe. 
Tutto a un tratto perche questa inquietudine 
e questa agitazione? (oh, come i visi si son fatti gravi). 
Perche si svuotano le vie e le piazze 
e tutti fanno ritorno a casa preoccupati? 
Perche e gia notte e i barbari non vengono. 
E arrivato qualcuno dai confini 
a dire che di barbari non ce ne sono piu. 

Come faremo adesso senza i barbari? 
Dopotutto, quella gente era una soluzione. 

Costantino Kavafis 



"II sogno della costituzione di un impero mondiale non 
si ritrova soltanto nella storia antica: e il risultato logico 
di tutte le attivita di potere, e non e limitato a nessun 
determinato periodo. La visione del dominio mondiale, 
benche sia passata attraverso le molte variazioni 
connesse con I'insorgere di nuove condizioni sociali, 
non e mai scomparsa dall'orizzonte politico..." 

Rudolf Rocker 

«La servitu a cui erano sottoposti i sudditi di Roma non 
tardo ad estendersi agli stessi Romani. [...] Non c'era 
modo di evitare la servitu, e quelli che erano chiamati 
cittadini erano pronti a mettersi in ginocchio ancora 
prima di avere un padrone. [...] 
A Roma non era davanti all'imperatore in quanto 
uomo, ma davanti all'Impero che tutti si piegavano; e 
la forza dell'Impero era costituita dal meccanismo di 
un'amministrazione molto centralizzata, perfettamente 
organizzata, da un numeroso esercito permanente 
per lo piu disciplinato, da un sistema di controllo che 
si estendeva ovunque. In altri termini lo Stato, non il 
sovrano, era la fonte del potere» 
Simone Weil 

«Una sola legge, la legge imposta da Roma, regnava 
sull'Impero. Questo Impero non era in nessun modo una 
societa di cittadini, ma soltanto una mandria di sudditi. 
Fino ad oggi il legislatore e I'autoritario ammirano 
I'unita di questo Impero, lo spirito unitario delle sue 
leggi, la bellezza — a loro dire — e I'armonia 
di questa organizzazione» 
Petr Kropotkin 



Impero 



Un incubo tormenta i servitori dell'Impero — l'in- 
cubo del suo possibile crollo. Tutti i cortigiani 
sparsi per il mondo, personaggi politici e gene- 
rali, amministratori delegati e pubblicitari, gior- 
nalisti ed intellettuali, vanno interrogandosi su come 
scongiurare questa spaventosa minaccia. 

L'Impero e presente dappertutto, ma non governa da 
nessuna parte. La sua invincibilita militare luccica al sole, 
abbacinando i suoi ossequiosi ammiratori. Ma le sue 
fondamenta sono marce. L'ordine sociale dentro i suoi 
confini viene continuamente messo in discussione. Nel 
1989 l'abbattimento del muro di Berlino venne presenta- 
to come l'atto simbolico che avrebbe sancito la fine della 
"guerra fredda" fra le due superpotenze contrapposte, 
l'alba di una nuova era di pace e di stabilita. Lunifica- 
zione del pianeta sotto un unico modello di vita, quello 
capitalistico privato, doveva garantire la definitiva messa 
al bando di ogni conflittualita. In un certo senso, si puo 
dire che e accaduto esattamente l'opposto. Nella storia 
moderna non si erano mai visti cosi tanti conflitti bellici 
insanguinare il mondo come dopo il 1989. Se fino ad allo- 
ra i vari eserciti erano in uno stato di allarme permanen- 
te, oggi sono in continua mobilitazione. Le forze militari 



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non trascorrono piu il loro tempo ad addestrarsi, ma a 
combattere sul campo. La guerra da fredda e diventata 
calda, in alcuni posti bollente, e si sta generalizzando. 
Solo che adesso il massacro dettato dalla ragione di 
Stato non viene piu chiamato guerra, bensi operazione 
dipolizia. Essendosi esteso dappertutto, l'lmpero non ha 
piu nemici esterni da cui difendersi, solo nemici interni 
da controllare e reprimere. Non esiste piu un fuori, come 
amano ricordare i servitori dell'Impero, esiste solo un 
dentro. Ma questo dentro sta letteralmente implodendo. 

Per farsi spazio, l'lmpero ha spazzato via il vecchio 
modello dello Stato-nazione. Ma come si fa a convincere 
intere popolazioni finora tenute assieme e rese mansue- 
te dal vischio dell'identita popolare che — ad esempio 
— non esistono piu serbi e kosovari, o israeliani e pale- 
stinesi, ma solo sudditi resi simili dall'obbedienza ad un 
unico sistemasociale? Cosi, nel momento del suo trionfo, 
l'lmpero accende e rinnova feroci guerre civili. 

Per consolidarsi, l'lmpero ha fuso il potere politico e 
quello economico, il potere scientifico e quello militare in 
un unico apparato. Ma come puo fare a meno dell'azione 
politicaspecificaindispensabile per mantenere il proprio 
equilibrio — la mediazione che e innanzi tutto mode- 
razione — senza lanciarsi a briglie sciolte nella ricerca 
sfrenata del massimo profitto? Cosi, nel momento del suo 
trionfo, l'lmpero scatena forti tensioni sociali. 

Per radicarsi, l'lmpero ha imposto in ogni dove la 
religione del denaro. Ma come e pensabile che la trascen- 
denza di tradizioni e riti millenari, dopo aver impregnato 
a fondo ogni ambito della vita sociale e dato un senso 
all'esistenza di milioni di devoti, possa lasciare il posto 
all'immanenza della merce senza sollevare ribellioni? Lo 



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stesso libro sacro del cristianesimo, la Bibbia, ricorda 
la furia di Cristo davanti alia presenza dei mercanti nel 
tempio ed il loro violento allontanamento: «Sta scritto: 
La casa mia sara chiamata casa di preghiera, ma voi ne 
avete fatta una spelonca di ladri» (Mt 21,13). Cosi, nel 
momento del suo trionfo, l'lmpero eccita fondamenta- 
lismi religiosi. 

Ci troviamo di fronte ad una situazione paradossale. 
Da un lato il regno del capitale e riuscito a conquistare 
un dominio assoluto, ad unire Occidente ed Oriente sotto 
un'unica bandiera, ad annullare ogni visione dell'esisten- 
za umana che non sia fondata sulle leggi dell'economia; 
ma dall'altro lato, con tutto il potere acquisito, coi suoi 
pretoriani sparsi in ogni angolo a protezione degli incas- 
si, il capitalismo sta dimostrando di non essere in grado 
di controllare nulla. L'lmpero e temuto, ma non e amato. E 
subito, non scelto. Possiede la forza, non il consenso. Se 
vuole allontanare il piu possibile la minaccia di un crollo, 
ha un'unica strada da percorrere: farsi accettare non 
attraverso l'imposizione ma attraverso l'adesione, venire 
riconosciuto come giusto, necessario, inevitabile. 

Ma come puo l'lmpero — sinonimo di un ordinamento 
sociale basato sul sopruso e l'arroganza, causa di crudel- 
ta e sofferenza — riuscire a farsi amare dai suoi sudditi? II 
controllo lo si impone con le armi. II consenso lo si ottie- 
ne con le lusinghe. Se l'lmpero vuole insinuare le proprie 
ragioni fra i propri sudditi al fine di farle accettare ed 
apprezzare, deve giocare d'astuzia ricorrendo all'ausilio 
di emissari. Fra questi i piu scaltri non sono di certo co- 
loro che brillano solo nell'arte dell'adulazione, giacche 
verrebbero immediatamente smascherati per quel che 
sono — servi fra i servi. No, un compito talmente com- 



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plesso e delicato puo essere portato a termine solo da 
chi sa mettere in mostra i limiti dell'ordine imperiale. Le 
osservazioni pungenti sul conto dell'Impero affascinano 
sempre i sudditi riottosi che, coinvolti da questi emis- 
sari in una complicity fittizia, non si awedono di come 
lo scopo della critica dell'imperfezione sia funzionale al 
raggiungimento della perfezione, trasformando l'lmpero 
da qualcosa di cui sbarazzarsi in qualcosa da correggere 
ma di cui non poter fare a meno. 

A dimostrazione dell'urgenza con cui devono venire 
eseguiti i lavori di ristrutturazione e di ampliamento 
deU'edificio imperiale, i suoi emissari si stanno facendo 
sempre piu numerosi. Due di loro, Michael Hardt ed An- 
tonio Negri, hanno da poco pubblicato un libro che sta 
riscuotendo un discreto successo. Sfoggiando il proprio 
gergo universitario per assoggettare l'ignoranza dei 
sudditi, la solita stantia e spuntata arma intimidatoria 
del terrorismo intellettuale in cerca di approvazione, 
questi due cattedratici mettono il dito sulle tante pia- 
ghe purulente dell'Impero cercando al tempo stesso di 
spiegare ai propri lettori perche non sipossa proprio fare 
a meno di accettarlo. II titolo di questo capolavoro del 
dissenso filoimperiale e un omaggio al proprio adorato 
genitore: Impero. 

A MALINCUORE 

Come si puo fare accettare una condizione di sposses- 
samento, di alienazione, di sfruttamento, senzasuscitare 
qualche moto di rabbia e ribellione? La risposta e solo 
apparentemente impossibile. Basta introiettare in chi la 
subisce la persuasione che cio che sta vivendo e inelut- 
tabile, governato da una tragica quanto fatale necessita. 



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L'introiezione dei valori dominanti costituisce infatti la 
base della riproduzione sociale. Etienne De La Boetie, 
nel suo immortale Discorso sulla servitu volontaria, fa 
notare come la supina accettazione dei molti al potere 
dei pochi vada fatta risalire al coutume, il cui significato 
oscilla fra quello di consuetudine storico-tradizionale 
e quello di abitudine psicologica: esso sta ad indicare 
un processo di adattamento alia forma di societa in cui 
l'uomo si trova inserito e che finisce per determinarlo 
in gran parte dei suoi comportamenti. 

La ragione principale per cui gli uomini accettano di 
sottomettersi al potere e perche nascono servi e sono 
allevati come tali. «E pur vero — sostiene La Boetie — che 
all'inizio l'uomo serve a malincuore, costretto da forza 
maggiore; ma quelli che vengono dopo, non avendo mai 
visto la liberta e non sapendo neppure cosa sia, servono 
senza alcun rincrescimento e fanno volentieri cio che i 
loro padri hanno fatto per forza. E cosi gli uomini che 
nascono con il giogo sul collo, nutriti e allevati nella 
servitu, senza sollevare lo sguardo un poco in avanti si 
accontentano di vivere come sono nati, e non riuscendo 
a immaginare altri beni e altri diritti da quelli che si sono 
trovati dinnanzi prendono per naturale la condizione 
in cui sono nati». Cio significa che possiamo diventare 
consapevoli della mancanza di liberta solo avendo avu- 
to modo di sperimentarla o di conoscerla. L'esperienza 
della prigionia rappresenta un dramma solo se siamo in 
grado di paragonarla con quella della liberta, per quanto 
vigilata e condizionata essa sia, a cui siamo stati strappa- 
ti al momento della cattura. Dalla profonda differenza che 
intercorre fra queste due esperienze vissute scaturisce 
il nostro desiderio di evasione, di rivolta. Mase fossimo 



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nati e cresciuti in un carcere, se le mura di una prigione 
costituissero tutto il nostro orizzonte, riempissero tutti 
i nostri sogni, ritmassero tutte le nostre azioni, come 
potremmo desiderare una liberta mai conosciuta? Essen- 
do la detenzione la nostra unica ed abituale condizione 
di vita, forse la considereremmo naturale, finendo per 
accettarla di buon grado. O anche per pensare, come 
denunciava Orwell, che la liberta e la schiavitu. 

L'Impero, come ogni altra forma di dominio, fonda la 
propria continuity sulla pretesa naturalita del potere 
che esercita. La critica dell'Impero in quanto tale, nella 
sua totalita e non nei suoi singoli aspetti, viene fatta 
apparire come una forma di follia o di aberrazione. Ma 
questa oggettivazione del dominio necessita di ulteriori 
sostegni, piu solidi e convincenti, oltre a quello della 
consuetudine. Come ricorda lo stesso La Boetie, «non c'e 
erede tanto spensierato e incurante che qualche volta 
non dia un'occhiata ai registri di famiglia per vedere se 
gode di tutti i diritti di successione o se invece non sia 
awenuta qualche macchinazione contro di lui o contro 
i suoi predecessori». La consuetudine da sola non basta. 
Qualcuno potrebbe finire con l'annoiarsi ed abbandona- 
re questo meccanismo psicologico individuate. Bisogna 
percio truccare i «registri di famiglia» con un meccanismo 
storico collettivo, in maniera che la loro lettura decreti un 
risultato univoco e definitivo per tutti. Ma come? 

E facile comprendere che una censura totale dei nostri 
diritti, una nostra esclusione dai registri ad esclusivo 
profitto di chi detiene il potere, risulterebbe quanto 
meno sospetta e potrebbe provocare una furibonda rea- 
zione: e noi chi siamo? se non ci date niente, ci prendere- 
mo tutto! Piu intelligente e invece includerci nel lascito, 



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integrarci attribuendoci la responsabilita per quanto 
accade, lusingarci con la richiesta di partecipazione alle 
vicissitudini della famiglia, in modo tale da farci perce- 
pire la realta che ci circonda non come qualcosa che ci 
sovrasta, che dobbiamo subire, ma come un prodotto 
da noi risolutamente voluto e a cui abbiamo concorso 
direttamente con la nostra attivita, e che di conseguenza 
ci appartiene. Se «quando lo Stato si prepara ad assas- 
sinare si fa chiamare patria», come diceva Diirrenmatt, 
e perche vuole che i suoi "cittadini" combattano pen- 
sando di farlo per se stessi, senza accorgersi di morire 
«per le camere blindate delle banche» (Anatole France). 
Alio stesso modo il motivo per cui quando il padrone si 
prepara a guadagnare si fa chiamare azienda e perche 
vuole che i propri "dipendenti" lavorino pensando di 
farlo per se stessi, senza accorgersi di essere sfruttati a 
suo esclusivo beneficio. L'obbedienza diventa assoluta, 
messa al riparo da ogni dubbio, quando non viene piu 
vissuta come coercizione o tara ereditaria ma come 
espressione di una volonta sociale. 

A questo proposito, i due emissari dell'Impero si mo- 
strano oltremodo schivi nell'affermare che «flirtando con 
Hegel, si potrebbe dire che la costruzione dell'Impero 
e buona in se, ma non per se». In realta il loro rapporto 
con il padre della dialettica non e mera civetteria, e 
un'autentica storia d'amore. La loro analisi dell'Impero 
viene condotta in conformita con la dialettica hegeliana. 
Non e un caso. Hegel era persuaso che la propria filosofia 
rappresentasse lo spirito del tempo in cui era sorta. Da 
questo convincimento si sentiva spinto ad attribuirle il 
compito di dimostrare, grazie alia propria superiority 
sulle filosofie del passato, che la societa in cui scaturiva 



21 



(cioe la realta storica dello Stato prussiano) costituiva 
l'apice di tutte le civilta anteriori. Si tratta, a ben vedere, 
della stessa ambizione che anima i due emissari contem- 
poranei nei riguardi dell'Impero. 

Una peculiarity di Hegel, quella per cui dovrebbe 
essere ricordato con riconoscenza dai piu accorti fun- 
zionari del dominio, consiste nella sua comprensione 
che l'unita — a cui aspira qualsiasi forma di potere — ri- 
sulterebbe invincibile se, anziche venire fondata sulla 
esclusione della molteplicita — cioe dell'opposizione 
— , trovasse la propria realizzazione neH'assimilazione 
di quest'ultima. In altre parole, per Hegel l'unita con- 
creta si puo raggiungere conciliando le differenze, non 
sterminandole. E solamente attraverso le differenze dei 
molteplici e attraverso i loro conflitti che si puo arrivare 
ad un'unita concreta duratura. Per Hegel, quindi, l'unita 
scaturisce proprio dalla lotta continua fra i molteplici 
che la compongono. La sua menzogna e manifesta: se 
questa unita non sopprime il molteplice, essa non lo 
realizza neppure giacche si limita ad addomesticarlo per 
metterlo al servizio della tesi iniziale. E questo il senso 
della dialettica a cui Hegel affida il compito di svelare i 
processi piu intimi della realta. Nel processo dialettico 
hegeliano, l'affermazione di un concetto costituisce la 
tesi; la sua negazione costituisce l'antitesi. Dal conflitto 
tra tesi e antitesi nascera la sintesi, che accoglie tesi e 
antitesi in una unita superiore in cui entrambe vengono 
conservate come momenti diversi. Ma la sintesi rap- 
presenta in un certo qual modo un ritorno alia tesi, pur 
trattandosi di un ritorno arricchito di tutto cid che e stato 
apportato dall'antitesi. Risulta chiaro che la pura esi- 
stenza di due opposti non basta a generare un rapporto 



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dialettico. A tale fine occorre qualcosa di piu: occorre 
che i due opposti vengano mediati fra loro. Mediare due 
opposti significa sottrarne l'irriducibilita, collegarli l'uno 
all'altro, creare tra loro un ponte comunicativo. Significa 
pacificarli attraverso la conciliazione, ma a vantaggio di 
un'unica parte — quella iniziale del piu forte. 

Secondo Hegel la dialettica non era solamente «la 
natura stessa del pensiero». Sostenendo l'identita di 
razionale e reale, egli interpretava la dialettica anche 
come la legge della realta. Tutta la realta si muoverebbe 
dialetticamente, seguendo un meccanismo oggettivo. In 
tal modo cid che e costituisce al tempo stesso cid che 
deve essere, cioe si auto-giustifica in tutte le sue manife- 
stazioni che pertanto sono «necessarie», nel senso di non 
poter essere diverse da quello che sono. Contrapporre 
alia realta di cio che e qualcosa d'altro significa, per 
Hegel, abbandonare la ragione a favore dell'interesse o 
dell'arbitrio individuale, cosa del tutto dissennata poiche 
a suo awiso solo il razionale e reale. Sotto gli ingranaggi 
di questo meccanismo determinista, la storia diventa la 
realizzazione di un piano prowidenziale e lo Stato niente 
meno che l'incarnazione dello Spirito del mondo — una 
sorta di realizzazione di Dio nel mondo. 

Cio che Hegel, da bravo suddito dello Stato prussiano, 
non prese mai in considerazione e la possibility concreta 
di una opposizione del tutto autonoma, sovrana, irridu- 
cibile — di una molteplicita che non si lascia arruolare 
in alcuna sintesi. 

Bisogna ammettere che Hegel fu un ottimo emissario 
dell'Impero. II suo riconoscimento del ruolo svolto dal- 
l'opposizione nella produzione della realta lo rendeva 
simpatico a sinistra. La sua sintesi che mediava gli 



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opposti a profitto della tesi iniziale, cioe dell'esistente, 
lo rendeva simpatico a destra. Questo allegro borghese 
insegnava all'universita di Berlino per graziosa conces- 
sione del re, non mancando di festeggiare ogni anno 
con una bottiglia di vino l'anniversario della caduta 
della Bastiglia. Resta il fatto che la dinamica interna 
della dialettica come da lui concepita e inseparable 
dal proposito ideologico di giustificazione dello status 
quo — basta pensare all'ironica osservazione di Bataille 
secondo cui «non e la poesia romantica, ma il "servizio 
militare obbligatorio" che parve [ad Hegel] garantire il 
ritorno a quella vita comune, senza la quale non vi era, 
a suo awiso, sapere possibile». II superamento hegelia- 
no non e altro che un movimento di conservazione, di 
convalida, di ratifica del passato. In poche parole, Hegel 
e stato un importante filosofo del recupero: il potere 
diventa piu forte se, anziche chiudersi nel proprio ca- 
stello e mettere a morte i dissidenti — cieca intolleranza 
capace solo di fomentare l'odio sociale — , ne accoglie 
le idee innovative e le mette anche parzialmente in atto, 
dopo opportuna sterilizzazione, al fine di rafforzare la 
propria legittimita. 

Hardt e Negri sono scrupolosi discepoli di Hegel, come 
vedremo. Ma la loro analisi trae ispirazione anche da 
altri pensatori, alcuni dei quali passati alia storia come 
sowersivi, sebbene nella loro opera sia palese lo sforzo 
di giustificare la necessita e dell'autorita e dell'ordine da 
essa imposto. II piu celebre allievo di Hegel, quel Marx 
cosi persuaso che «la borghesia ha avuto nella storia 
una funzione sommamente rivoluzionaria», e un altro 
punto di riferimento costante per i due emissari dell'Im- 
pero, specialmente nell'elaborazione delle prospettive 



24 



politiche. Infatti Marx, interpretando tutta la storia 
dell'umanita alia luce del meccanismo filosofico deter- 
minista hegeliano, sosteneva apertamente la progressiva 
crescita del capitalismo come unica via per arrivare al 
comunismo: «lo sviluppo della grande industria toglie 
dunque da sotto ai piedi della borghesia il terreno stesso 
sul quale essa produce i prodotti e se ne appropria. Essa 
produce anzitutto i propri becchini. II suo tramonto e la 
vittoria del proletariato sono ugualmente inevitabili». 

Per Marx e per il suo compare Engels, la rivoluzione 
non costituiva la negazione della civilta del capitale, un 
punto di rottura nella sua mortale progressione, bensi il 
suo felice esito finale. Nella certezza che il trionfo della 
borghesia avrebbe provocato automaticamente il trionfo 
del proletariato, egli finiva col sostenere lo sviluppo del 
capitalismo e col battersi contro coloro che vi si oppo- 
nevano. Questa sorta di fatalismo mascherato lo aveva 
portato ad assumere posizioni alquanto reazionarie 
come, ad esempio, auspicare la vittoria della Prussia in 
guerra con la Francia, nella convinzione che la fonda- 
zione deH'impero tedesco da parte di Bismarck avrebbe 
determinato la centralizzazione economica e politica 
della Germania, fattore che a suo awiso avrebbe costi- 
tuito la condizione iniziale per l'awento del socialismo. 
Inoltre questa sua idea della trasformazione sociale come 
compimento anziche come frattura, lo spingeva a propu- 
gnare la necessita di modellare mezzi e fini della lotta 
proletaria su quelli del proprio awersario, teorizzando 
che gli operai avrebbero dovuto organizzarsi in partito 
politico per conquistare il potere dello Stato. 

Da questo punto di vista, l'analisi dei due emissari e 
rigorosamente marxista. E, data la natura della loro mis- 



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sione, essi non potevano certo fare a meno dei preziosi 
suggerimenti del consigliere del Principe, quel «demo- 
cratico Machiavelli» considerato il padre della politica 
moderna, vale a dire della Ragione di Stato, esperto 
nell'ingannare il popolo e nel tenerlo alia catena, di cui 
tessono le lodi omettendo di ricordare la sua massima 
secondo cui «nessuna cosa essere piu vana e insolente 
della moltitudine». Anche un teologo in odore di eresia 
come Spinoza torna loro utile, sia per le sue riflessioni 
filosofiche sul concetto di potenza, sia per quelle teologi- 
co- politiche sul rapporto fra democrazia e moltitudine. 
II quadro di famiglia si conclude con i filosofi conosciuti 
come post-strutturalisti, quei pensatori francesi che per 
difendere la societa dal sowertimento causato dalla 
morte di Dio — che nel maggio '68 ha avuto modo di 
concretizzarsi nel loro paese nelle vesti del piu grande 
sciopero selvaggio della storia — hanno annunciato in 
ogni ambito la morte dell'uomo, al fine di diffondere la 
rassegnazione facendo dell'individuo un mero grumo 
delle pratiche e dei dispositivi sociali, politici, tecno- 
logici e linguistici. In particolare, forte e l'influsso delle 
«macchine desideranti» di Deleuze e Guattari. 

Sorprende nei due emissari una certa involontaria 
sincerita circa la reale natura della propria missione 
quando, a proposito di una possibile trasformazione 
sociale, invitano ad abbandonare la vecchia metafora 
della talpa rivoluzionaria in favore del serpente. Essi 
infatti spiegano di nutrire il sospetto «che la vecchia 
talpa di Marx sia morta. Ci pare infatti che nel passaggio 
contemporaneo all'Impero, i cunicoli strutturati dalla 
talpa siano stati sostituiti dalle infinite ondulazioni del 
serpente». La talpa ha fatto il suo tempo. La sua estinzio- 



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ne, nell'ambito della zoologia politica, sarebbe causata 
dalla sua cecita che la rende immune al calcolo. Eppure 
se questo animale ispira simpatia e proprio perche inca- 
pace di intrighi. Armata solo di testardaggine e guidata 
dall'intuito, la talpa scava in continuazione, senza mai 
perdersi d'animo, nella speranza di sbucare nel posto 
giusto. II serpente, e tutt'altra bestia. Non scava, ma 
striscia. Avanza con «ondulazioni», da destra a sinistra 
e da sinistra a destra (immagine deH'opportunismo). 
Inoltre, fin dai tempi di Adamo ed Eva, e noto per la sua 
lingua biforcuta (simbolo della menzogna). Rappresenta 
quindi al meglio la natura bifida dei due emissari e dei 
loro padri putativi, prodighi di pacche sulle spalle e 
di larghi sorrisi per i sudditi nella misura in cui questi 
intendono rimanere tali. 

Andate a lavorare! 

Lo scopo dei due emissari e quello di convincere i 
sudditi — che definiscono «moltitudine», termine neu- 
tro di genere quantitativo ripreso da alcuni studiosi 
del passato, utile per evitare l'imbarazzo di usare una 
definizione qualitativa di parte — che, se e vero che 
l'lmpero presenta molti difetti, e altresi vero che la sua 
esistenza e frutto di una esigenza giusta e inevitabile. 
Che se l'lmpero e l'Uno che rappresenta i Molti e solo 
perche li esprime in una esatta somma aritmetica, non 
perche li annulla al proprio interno. Che il suo operato 
non e qualcosa che le moltitudini subiscono, ma che esse 
stesse hanno intenzionalmente o meno determinate In 
una parola, che il volere dell'Impero non si contrappone 
affatto ai desideri della moltitudine ma che viceversa 
ne e espressione e realizzazione, seppur manchevole 



27 



— motivo per cui non c'e ragione alcuna per volerne la 
distruzione. Proprio cosi! 

Ma consideriamo il modo in cui i due emissari liqui- 
dano la critica di Etienne De La Boetie. Essi sono con- 
sapevoli che «quando il principale vi saluta sulla soglia 
del negozio o il preside nel corridoio del liceo, li si forma 
una soggettivita. Le pratiche materiali con cui il soggetto 
ha a che fare nel contesto dell'istituzione (che si tratti 
di inginocchiarsi per pregare o di cambiare centinaia 
di pannolini) sono altrettanti processi di produzione 
della soggettivita», e che pertanto «le istituzioni della 
societa moderna dovrebbero essere considerate come 
un arcipelago di fabbriche della soggettivita». Ma nelle 
azioni quotidiane, nella loro ripetizione seriale, nella 
mortale abitudine che ci accompagna dalla nascita fino 
alia morte, giorno dopo giorno, senza regalarci un attimo 
di autonomia, i due emissari non denunciano affatto il 
processo di riproduzione dell'esistente nella sua divi- 
sione sociale, cio che distrugge l'unicita dell'individuo, 
bensi salutano cio che costruisce la sua soggettivita. 
Straordinaria forza mistificatrice delle parole! L'equivoco 
viene creato mediante l'utilizzo del concetto di «sogget- 
tivita», owiamente preferito a quello di «individualita». 
In se le osservazioni dei due emissari sono esatte ma 
il senso che se ne ricava e totalmente distorto, poiche 
i sudditi sono portati a guardare con occhi benevoli 
queste «fabbriche della soggettivita». In fondo, cosa c'e 
di male? La soggettivita non e forse «la qualita di chi e 
soggettivo»? E soggettivo non e forse «cid che e relativo 
al soggetto, cio che deriva dal modo di sentire, pensare 
e giudicare propri dell'individuo in quanto tale»? Un 
qualsiasi dizionario e in grado di attestarlo senza incer- 



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tezze, ma andiamo pure avanti fino in fondo nella sua 
consultazione. Che cos'e il soggetto? II soggetto e «la 
persona o la cosa presa in considerazione», ma e anche 
«chi e posto sotto, sottostante, sottomesso, sottoposto». 
Questi termini hanno infatti un'unica radice, derivano 
tutti dal latino subiectus, participio passato di subicere, 
owero assoggettare. Affermare che soggettivo e relativo 
all'individuo in quanto tale significa rendere naturale la 
sottomissione, trasformare un fatto storico in un fatto 
biologico. Dunque la soggettivita esprime la qualita di 
chi e sotto, sottostante, sottomesso, sottoposto. E qual 
e la qualita di chi e assoggettato se non quella di obbe- 
dire, cosa che fara tanto piu volentieri se riterra che 
questo rientra nella natura dell'individuo in quanto tale? 
Ecco come attraverso la forza persuasiva della retorica 
e possibile spingere i sudditi ad andare a lavorare in 
queste «fabbriche della soggettivita», cioe della servitu, 
piuttosto che dinamitarle. 

Naturalmente una fabbrica e piu produttiva se fra gli 
operai-sudditi regna la disciplina; ma c'e un problema. 
Troppo spesso i sudditi hanno il brutto difetto di con- 
siderare la disciplina una forma di addomesticamento. 
Motivo per cui nel corso della storia hanno cercato in 
tutti i modi di evitarla o di spezzarla. Perche mai, poi? 
si domandano i due emissari, convinti che «la disciplina 
non e una voce fuori campo che detta le nostre pratiche 
sovrastandoci, come avrebbe detto Hobbes, bensi e 
qualcosa di simile a una pulsione interiore, indistin- 
guibile dalla nostra volonta, immanente e inseparabile 
dalla nostra stessa soggettivita». Che la disciplina sia 
inseparabile dalla nostra stessa soggettivita e innegabile 
dato che, come abbiamo appena visto, la soggettivita 



29 



indica sottomissione. Ma che la stretta osservanza del- 
le norme padronali da parte di uno schiavo sia dovuta 
non tanto alia paura della frusta, quanto «a una pulsione 
interiore, indistinguibile dalla nostra volonta», ecco cio 
che i signori Hardt e Negri non possono sostenere senza 
confessare da quale parte della barricatasi trovano: dalla 
parte degli schiavisti. Tutta la loro ricostruzione storica 
della nascita e dello sviluppo dell'Impero va in questa 
stessa direzione. Lo schiavo desidera la propria catena 
e se la costruisce. I sudditi desiderano l'lmpero e se lo 
sono costruito. La sua costituzione e ineluttabile perche 
esprime, contemporaneamente, il risultato biologico 
della natura umana ed il risultato dialettico della storia 
dell'umanita. 

La preoccupazione di legittimare il determinismo 
imperiale si manifesta anche nel noioso linguaggio 
meccanicistico impiegato dai due emissari, persuasi 
fino in fondo che l'essere umano debba scomparire 
dietro l'ingranaggio, che l'autonomia debba lasciare 
posto all'automatismo e la fantasia capitolare davanti 
al funzionamento. Che cos'e l'lmpero? «LImpero appa- 
re, cosi, come una vera e propria macchina high tech» 
oppure, per essere piu chiari, «l'Impero e la fabbrica 
ontologica». Che cosa sono i sudditi, la «moltitudine»? 
«La moltitudine non usa solo le macchine per produrre, 
ma essa stessa diviene, contemporaneamente, sempre 
piu macchinica. Nello stesso modo, i mezzi di produzione 
sono sempre piu integrati nelle menti e nei corpi della 
moltitudine». Che cos'e il desiderio? II desiderio viene 
definito un «motore ontologico». Che cos'e il linguaggio? 
Immancabile arriva la risposta: «per linguaggio occorre 
intendere macchine intelligenti continuamente rinnovate 



30 



dagli affetti e dal le passioni». Questi non sono che pochi 
esempi del linguaggio tecnicistico — e in quanto tale al 
di sopra delle parti — di cui e infarcito questo testo. 

Ma presentare l'evoluzione della civilta come il mec- 
canismo di una megamacchina non e sufficiente. Cosi 
dicendo si giustifica la rassegnazione al cospetto del- 
l'inquinamento sociale prodotto, ma non si neutralizza 
la rabbia per essere diventati semplici ingranaggi. I due 
emissari devono allora compiere uno sforzo in piu. Devo- 
no fare comprendere ai sudditi che «in realta, siamo noi i 
padroni del mondo, noi che lo generiamo continuamente 
con il nostro desiderio e con il nostro lavoro», e che di 
conseguenza abbiamo ben poco da lamentarci. Noi, i 
padroni del mondo? 

Il rovescio della medaglia 

Nella nostra ineffabile ignoranza, pensavamo che 
l'ambizione di ogni potere fosse quella di consolidarsi 
ed espandersi al punto da assumere una vera e propria 
connotazione imperiale, la cui realizzazione finale dipen- 
de comunque dai rapporti di forza esistenti. E natural- 
mente solo sapendo generare l'onda d'urto necessaria 
per sbaragliare i propri awersari e possibile raggiungere 
un simile obiettivo. Viceversa i due emissari dichiarano 
che «la moltitudine ha evocato la nascita dell'Impero» 
giacche «la lotta di classe, determinando l'abolizione 
dello Stato-nazione e superandone i confini, pone all'or- 
dine del giorno la costituzione dell'Impero come punto 
di riferimento dell'analisi e del conflitto». 

Pensavamo che il lavoro fosse sinonimo di attivita 
umana solo all'interno della societa capitalista, un po' 
come gli animali in cattivita sono sinonimo di natura 



31 



solo all'interno di uno zoo. Equazione decisamente 
ripugnante tranne per chi pensa che «il lavoro rende 
liberi», come annunciavano i nazisti all'entratadei campi 
di concentramento, oppure per chi ritiene che le sbarre 
di una gabbia servono per proteggere gli animali dai 
pericoli esterni. Viceversa i due emissari non esitano a 
sostenere che «il lavoro e il veicolo del possibile... il la- 
voro si mostra oggi come attivita sociale generate, come 
un eccesso produttivo nei confronti dell'ordine esistente 
e delle leggi della sua riproduzione. L'eccesso produttivo 
e il risultato immediato di una forza collettiva di emanci- 
pazione...», motivo per cui «la nuova fenomenologia del 
lavoro della moltitudine mostra che il lavoro e l'attivita 
creativa fondamentale la quale, con la cooperazione, 
supera qualsiasi ostacolo che le viene imposto e, con 
cio, ricrea continuamente il mondo». 

Pensavamo che l'identificazione della vita umana con 
la produzione di merci fosse una delle piu insulse men- 
zogne della Propaganda, inetta a concepire qualcosa di 
differente dai suoi bilanci economici. E un simile inganno 
che ha ridotto la poesia a diventare fonte di ispirazione 
per la pubblicita. Viceversa i due emissari ci informano 
che «il desiderio di esistere e il desiderio di produrre 
sono la stessa cosa». 

Pensavamo che l'egemonia conquistata dalle grandi 
multinazionali sulla vita economica e politica internazio- 
nale, con la conseguente trasformazione del mondo in un 
unico immenso centro commerciale, avesse determinato 
l'omologazione degli stili di vita nonche la scomparsa 
di ogni singolarita. Come puntualizzava un noto giorna- 
lista statunitense, oggi Falternativa e fra Coca e Pepsi. 
Viceversa i due emissari awertono che «lungi dall'essere 



32 



unidimensionale, la ristrutturazione e l'unificazione im- 
poste dai potere sulla produzione esplosero irradiando 
innumerevoli sistemi produttivi. L'unificazione del mer- 
cato mondiale si attuava, paradossalmente, accentuando 
la diversita e la diversificazione». 

Pensavamo che il ricatto a cui devono sottostare i 
sudditi, lavorare per soprawivere o crepare di fame, 
fosse l'elemento che costringeva milioni di persone 
ad abbandonare la propria terra natale per andare in 
cerca di un tozzo di pane. Nessuno e tanto imbecille da 
confondere l'emigrazione causata dalla mancanza con 
lo spirito di awentura nato dall'esuberanza. Viceversa 
i due emissari ritengono che lo sradicamento e la mo- 
bility costituiscano «potenti forme della lotta di classe 
all'interno e contro la postmodernita imperiale», giacche 
«attraverso la circolazione, la moltitudine si riappropria 
dello spazio e si costituisce come un soggetto attivo». 

Pensavamo che da oltre mezzo secolo il progresso 
tecnologico venisse alimentato dalle ricerche condot- 
te nei laboratori sperimentali militari e che solo in un 
secondo tempo venisse sfruttato anche a scopi civili. 
Attraverso di esso l'lmpero e in grado di rafforzare il 
proprio apparato bellico, perfezionare il controllo socia- 
le e massimizzare i profitti economici. Viceversa i due 
emissari sono persuasi che solo le lotte «costringono il 
capitale ad adottare livelli tecnologici sempre piu avan- 
zati e, in tal modo, trasformano il processo lavorativo. Le 
lotte costringono il capitale a riformare continuamente 
i rapporti di produzione e a trasformare le relazioni di 
dominio». 

Pensavamo che Internet rappresentasse per l'lmpero 
una specie di Nuovo Mondo, da un lato l'invenzione di 



33 



un ennesimo universo da colonizzare e dall'altro una 
via per allentare le pressioni sociali interne. Navigando 
nel limbo elettronico, i sudditi possono assaporare 
una liberta virtuale in cambio dell'obbedienza reale. 
Viceversa i due emissari si commuovono notando che 
«nelle espressioni della sua potenza creativa, il lavoro 
immateriale sembra quindi esprimere virtualmente un 
comunismo spontaneo ed elementare». 

Pensavamo che attraverso l'informatica l'lmpero fosse 
riuscito ad imporre un linguaggio ridotto, basato sulle 
esigenze della tecnica e non sulla ricchezza del signifi- 
cato. Costretti a rinunciare ad incontrarsi in una piazza 
reale, in comunicazione diretta, sostituita da una piazza 
virtuale, in comunicazione mediata, i sudditi non sono 
piu in grado di discutere esprimendo idee od emozioni, 
con tutte le loro incalcolabili sfumature, ma solo di scam- 
biarsi freddi dati e cifre. Viceversa i due emissari sono 
felici di essere «partecipi della piu radicale e profonda 
comunanza di cui si sia mai fatto esperienza nella storia 
del capitalismo. II fatto e che siamo dentro a un universo 
produttivo creato per la comunicazione sociale, per i ser- 
vizi interattivi e per i linguaggi comuni. La nostra realta 
economica e sociale non e piu esclusivamente dominata 
daoggetti materiali prodotti per essere consumati, bensi 
e pervasa dai servizi e dalle relazioni prodotte dalla coo- 
perazione. Produrre significa, sempre di piu, costruire 
cooperazione e comunanza comunicativa». 

Pensavamo che le biotecnologie rappresentassero il 
punto culminante del trionfo del capitale sulla natura, 
l'irruzione della ragione economica all'interno del corpo 
organico. Dietro le promesse di salute e felicita eterna 
faceva capolino (ma ormai e entrato prepotentemente) 



34 



il proposito di riprogrammare geneticamente l'essere 
umano, di sopprimerne le differenze in favore della nor- 
malita dominante. Viceversa i due emissari non fanno 
che applaudire a questa nuova conquista dato che «I1 
biopotere — un orizzonte di ibridazioni tra naturale e 
artificiale, bisogni e macchine, desiderio e organizza- 
zione collettiva dell'economico e del sociale — deve 
continuamente rigenerarsi per poter esistere». 

Quanti altri pensieri inopportuni potrebbero essere 
ancora espressi? Se da piu di una parte e stato fatto no- 
tare come Marx, nonostante le sue critiche, non potesse 
nascondere una certa ammirazione per l'operato della 
borghesia, da parte loro i due emissari mostrano tutto 
il loro sfrenato entusiasmo per il mondo nato dal trionfo 
planetario del dominio del capitale, che spacciano per il 
trionfo planetario della forza dei sudditi: «E possibile im- 
maginare l'agricolturastatunitense e i servizi industriali 
senza la forza lavoro dei migranti chicanos, o il petrolio 
dell'Arabia Saudita senza Palestinesi e Pakistani? Ma, 
soprattutto, che cosa ne sarebbe, in Europa, USA e Asia, 
dei settori piu innovativi della produzione immateriale, 
dal design alia moda, dall'elettronica alia scienza, senza 
il lavoro delle grandi masse di "clandestini" attratti dai 
radiosi orizzonti della ricchezza e della liberta capitalisti- 
ca?». Nemmeno la grandezza delle piramidi egizie costi- 
tuisce una valida giustificazione alle terribili sofferenze 
patite dagli schiavi che le hanno costruite, figuriamoci se 
possono esserlo il mais transgenico, i pozzi di petrolio, 
le sfilate di moda o i microchip! 

Ma ci sia concesso un ultimo sussulto. Pensavamo che 
nel corso della storia i sudditi, di fronte alio strapotere 
imperiale e all'arroganza pretoriana, avessero sempre 



35 



avuto ben poche alternative: obbedire o ribellarsi. Nel 
momento in cui obbediscono, i sudditi non fanno che 
riprodurre l'lmpero e garantirne la stabilita. Perche e 
solo nei momenti di rivolta contro l'ordine dell'Impero 
che possono cessare di essere tali e determinarsi come 
individui liberi, andando all'assalto del cielo delle loro 
aspirazioni. Questo i due emissari lo sanno bene, ma 
sanno anche che loro compito e proprio mettere la rivol- 
ta al servizio dell'Impero. Si tratta di mettere in pratica 
l'indimenticata lezione di Hegel. Sono gli stessi emissari 
ad ammettere che «l'Impero non fortifica i confini con 
l'espulsione degli altri, bensi attraendoli, come in un 
vortice, nel suo ordine pacifico». Quindi la dialettica 
insegna che la tesi e l'lmpero ed il suo immondo ordine; 
l'antitesi sono i sudditi, la «moltitudine», e le loro lotte; 
la sintesi e la conciliazione, il superamento della con- 
traddizione che cela in realta il ritorno alia tesi: l'ordine 
dell'Impero arricchito dalla creativita espressa dalle 
lotte dei sudditi. Uno schema che non si discosta poi 
molto dall'interpretazione di Marx della dialettica ser- 
vo-padrone, che si trova all'origine della sua concezione 
della lotta di classe. 

Cosi interpretando, il lungo processo che ha portato 
alia costituzione dell'esistente ha la possibility di non ve- 
nire piu percepito dai sudditi come addomesticamento, 
bensi come liberazione. Go che e — che al tempo stesso 
e anche cid che deve essere — non deve piu venire visto 
come una miseria, ma come una ricchezza. Preso atto 
che «la moltitudine e la reale forza produttiva del nostro 
mondo, mentre l'lmpero e un mero apparato di cattura 
che si alimenta della vitalita della moltitudine», se ne 
deve dedurre che «il rifiuto dello sfruttamento — la resi- 



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stenza, il sabotaggio, l'insubordinazione e la rivoluzione 
— e la forza motrice della realta in cui viviamo e, nello 
stesso tempo, la sua vivente opposizione». La conclusio- 
ne finale di un simile ragionamento si impone da se: «e il 
proletariato che inventa le forme produttive e sociali che 
il capitale sara costretto ad adottare in futuron. Insomma, 
non e l'lmpero, attraverso l'esercizio del potere, ma sono 
i sudditi, con le loro lotte contro il potere dell'Impero, 
a creare il mondo che ci circonda. Grazie al loro proce- 
dimento dialettico, i due emissari rovesciano la realta e 
cercano di far passare le sconfitte dei sudditi per vittorie 
in prospettiva. Cosi il paradiso si awicina. 

Le teste dell'aquila 

E pur vero che, cosi facendo, Hardt e Negri a volte 
inciampano in qualche significativa contraddizione. Non 
e sempre facile persuadere i sudditi che «l'organizzazio- 
ne dei sindacati dell'operaio massa, la costruzione del 
Welfare State e il riformismo socialdemocratico furono le 
risultanti dei rapporti di forza definiti dall'operaio massa 
e le forme della sovradeterminazione che seppe imporre 
alio sviluppo capitalistico». Mentre in precedenza ave- 
vano sostenuto che «contro il luogo comune secondo 
il quale, a confronto con quello europeo, il proletariato 
americano sarebbe inferiore a causa della debolezza 
dei suoi partiti e delle sue rappresentanze sindacali, 
dobbiamo invece riconoscere che la sua forza risiede 
proprio in questi motivi». 

Perche mai il proletariato avrebbe dovuto imporre al 
capitale le sue forme rappresentative se si presuppone 
che la sua forza sia maggiore senza di esse? Partendo 
dalla considerazione che il sindacato ed i partiti sono 



37 



stati concessi dal potere in seguito alle lotte condotte 
dai sudditi, i due emissari cercano di fare intendere che 
siano stati imposti intenzionalmente da queste stesse 
lotte. Malgrado l'apparenza, non si tratta affatto delta 
stessa cosa. Nel primo caso l'istituzione della rappresen- 
tanza e una vittoria del potere, un modo per vincere la 
combattivita dei ribelli; nel secondo e una conquista di 
questi ultimi, il raggiunto obiettivo delle loro battaglie. 
Ma se il proletariate e piu forte senza sindacati e partiti, 
come ammettono Hardt e Negri, allora a chi giova isti- 
tuirli? Evidentemente a chi li ha concessi, cioe al potere, 
che in questa maniera ferma la reale minaccia costituita 
da una ribellione senza mediazioni. 

II primo sindacato non apparve che dopo la seconda 
meta del XIX secolo. Qualsiasi idea di lotta di classe, di 
sowersione dell'ordine capitalista, gli era del tutto estra- 
nea, avendo come unico proposito quello di conciliare 
gli interessi dei lavoratori con quelli dei padroni. Orga- 
nizzando i lavoratori sul piano della lotta rivendicativa, 
cercando di limitare lo sfruttamento, di ottenere una 
ripartizione della produzione meno svantaggiosa per 
gli operai, il sindacato si batte per ottenere aumenti di 
salario, lariduzione dell'orario di lavoro, garanzie contro 
l'arbitrariato, eccetera. In altri termini, nel migliore dei 
casi il sindacato mira ad ottenere una nuova divisione dei 
beni, ma senza mettere in causa direttamente la natura 
stessa dell'ordine sociale. La sua funzione consiste nel- 
l'apportare dei correttivi alio sviluppo del capitalismo, 
la cui inesauribile sete di profitto lo rende miope nella 
valutazione delle possibili ricadute sociali provocate 
dalle sue scelte. Ecco perche la natura del sindacato e 
intrinsecamente riformista. Qualsiasi lotta economica 



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condotta entro i limiti della societa capitalista non per- 
mette al lavoratore che di rimanere tale, perpetuandone 
la schiavitu. 

La musica non cambia se si esamina la funzione del 
partito, la cui origine precede di pochi anni quella del 
sindacato, entrambi sorti nel periodo dell'affermazio- 
ne della classe borghese. In Inghilterra, il paese di piu 
antiche tradizioni parlamentari, i partiti fecero la loro 
comparsa con il Reform Act del 1832 il quale, allargando 
il suffragio, permise ai ceti industriali e commerciali del 
paese di partecipare assieme all'aristocrazia alia gestio- 
ne degli affari pubblici; ascapito di chi, e inutile dirlo. La 
reale funzione dei partiti appare in maniera ancora piu 
macroscopica in Germania, dove nacquero per la prima 
volta dopo i disordini sociali del 1848. Cio significa che 
fu la sconfitta della rivoluzione a far nascere i partiti, 
non la sua vittoria. Fu la paura di un nuovo possibile 
sollevamento delle masse a indurre lo Stato ad allentare 
la catena ai propri sudditi, "concedendo" l'istituzione 
rappresentativa. 

Ma, per quanto piu allungata, per quanto permetta 
un maggiore movimento, una catena resta una catena. 
Sempre la storia della Germania dimostra come il ri- 
formismo socialdemocratico si sia diffuso proprio per 
prevenire una soluzione rivoluzionaria alia questione 
sociale: ad ammazzare Rosa Luxemburg furono gli sgher- 
ri del socialdemocratico Noske, il quale, reprimendo la 
rivoluzione dei Consigli, apri la strada per la conquista 
del potere a Hitler. 

I due emissari partono da una constatazione che si 
puo definire corretta, ma ancora una volta ne ribaltano 
il significato. Hanno perfettamente ragione nell'affermare 



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che la realta che ci circonda, tutto il mondo in cui vivia- 
mo, sotto la cappa di grigio conformismo che l'awolge 
porta il segno indelebile delle lotte sociali. Ma cio che 
non dicono e che questo segno e solo in negativo. Siamo 
circondati dalle rovine delle nostre sconfitte, non dai 
monumenti alle nostre vittorie. 

Un esempio per tutti. E indubbio che furono i moti ri- 
voluzionari del 1848 a spingere il governo francese ad af- 
fidare all'architetto Haussmann il compito di ridisegnare 
l'urbanistica di Parigi, ma e altrettanto vero che i grandi 
boulevard che oggi vengono percorsi da folle di turisti 
estasiati non vennero progettati alio scopo di facilitare 
il «nomadismo della moltitudine», bensi gli spostamenti 
delle truppe e dei loro cannoni nell'eventualita di nuove 
sommosse da reprimere! 

E vero che i comportamenti illegali dei sudditi stimo- 
lano l'applicazione dei risultati della ricerca scientifica, 
ma le nostre strade si riempiono di telecamere per in- 
crementare il controllo sociale, non certo per esprimere 
la «comunanza macchinica» raggiunta dall'uomo con la 
tecnologia. La ribellione spinge il dominio a rimodellare 
costantemente il mondo, ma il risultato finale di questa 
ristrutturazione corrisponde sempre agli interessi di chi 
governa, mai di chi si ribella. 

Se i due emissari da un lato esaltano le lotte dei sudditi 
mentre dall'altro sostengono che i loro obiettivi vengono 
realizzati dallo stesso Impero, e perche in questo modo 
vogliono creare una dipendenza necessaria, un legame 
indissolubile fra sudditi ed Impero. Persino le metafore 
organiche che utilizzano sono indicative in proposito: 
«l'emblema dell'impero austroungarico, un'aquila a 
due teste, puo offrire una prima rappresentazione della 



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forma odierna dell'impero. Ma se, nell'antico emblema, 
le due teste guardavano entrambe verso l'esterno per 
esprimere la relativa autonomia e la coesistenza pacifi- 
ca dei rispettivi territori, nel nostro caso le due teste si 
rivolgerebbero l'una contro l'altra per attaccarsi». Come 
a dire che, se pure le aspirazioni sono diverse, il corpo e 
il medesimo. La struttura sociale imperiale non risponde 
quindi alle esigenze della sola classe dominante, ma 
anche di quella dominata. LImpero — con il suo eserci- 
to, la sua polizia, i suoi tribunali, le sue prigioni, le sue 
fabbriche, i suoi centri commerciali, la sua televisione, 
le sue autostrade... — e voluto dall'imperatore come dai 
sudditi. Si tratta solo di un problema di testa. Una volta 
introiettato questo concetto, i sudditi impareranno che 

10 scopo delle loro lotte e quello di apportare delle mi- 
gliorie all'Impero scegliendo di seguire la testa giusta, 
lasciando cosi inalterato il resto del corpo. 

Lintera analisi di Hardt e Negri mira ad escludere ogni 
spazio di rivolta autonoma, diretta a distruggere anche il 
corpo dell'impero. Si tratta di una eventualita che i due 
emissari non prendono nemmeno in considerazione, pur 
di non evocare pericolosi fantasmi. Quando definiscono 

11 territorio dell'impero un «mondo liscio» non fanno che 
confermare al contrario quanto annotato a suo tempo 
da Benjamin: «La celebrazione o apologia s'ingegna di 
occultare i momenti rivoluzionari nel corso della storia. 
Ad essa sta a cuore la fabbricazione di una continuity. 
Essa conferisce valore solo a quegli elementi dell'opera 
che sono gia entrati a far parte del suo influsso postumo. 
Le sfuggono i punti in cui latradizione si tronca, e quindi 
le asperita e gli spuntoni che offrono un appiglio a chi 
voglia spingersi al di la di essa». 



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Le correzioni della libertA 

L'Impero e giusto. L'Impero e necessario. Ma purtrop- 
po l'lmpero non e perfetto. Le sue immense potenzialita 
vengono frenate sia dalla soprawivenza di dogmi del 
passato da cui non riescono a staccarsi alcuni funzio- 
nari imperiali, sia dall'opposizione senza compromessi 
portata avanti da quei sudditi che con maggiore deter- 
minazione rifiutano di restare tali. 

L'eccesso o l'assenza della volonta di potere rappre- 
sentano entrambi degli ostacoli da rimuovere per chi ha 
occhi solo per un giusto equilibrio del potere: «I1 primo 
e costituito dall'arrogante metafisica borghese e, in 
particolare, dall'illusione, infinitamente propagandata, 
che il mercato e il regime capitalistico della produzione 
siano eterni e insuperabili. [...] II secondo ostacolo e 
costituito dalle numerose posizioni teoriche che non 
vedono altra alternativa alle forme attuali del comando 
che un cieco anarchismo e un misticismo del limite. Per 
questa prospettiva ideologica, le sofferenze non sono in 
grado di esprimersi, di divenire coscienti e di costituire 
una base di rivolta. Questa posizione non produce altro 
che cinismo e quietismo. L'illusione della naturalezza del 
capitalismo e il radicalismo dei limiti attualmente sono 
dunque perfettamente complementari. La loro compli- 
city si esprime nell'impotenza». 

E la lotta contro queste presunte e conviventi forme 
di impotenza, accusate niente meno che di inibire una 
fantomatica esperienza liberatoria del lavoro, che i due 
emissari propongono ai sudditi, i quali devono si lottare 
contro l'lmpero (cioe contro quei funzionari che lo ama- 
no perse), ma devono anche lottare a favore deH'Impero 
(cioe contro quei sudditi che lo odiano in se). 



42 



Per risolvere questo problema il contributo di Marx 
diventa fondamentale. Cosi come Marx affermava che lo 
sviluppo dell'industria voluto dalla borghesia avrebbe 
portato alia vittoria del proletariate, alio stesso modo 
Hardt e Negri sostengono che lo sviluppo dell'Impero 
portera alia vittoria della «moltitudine»: «la teleologia 
della moltitudine e teurgica: consiste nella possibility di 
usare la tecnologia e la produzione per sua gioia e per 
incrementare il suo potere. Per reperire i mezzi necessari 
alia sua costituzione come soggetto politico, la moltitu- 
dine non ha nessun motivo di guardare al di fuori della 
sua storia e della sua attuale potenza produttiva». Motivo 
per cui il miglior modo per combattere l'lmpero consiste, 
paradossalmente, nell'agevolarne la crescita. Infatti i due 
emissari si dicono certi del fatto che «il passaggio all'Im- 
pero e i suoi processi di globalizzazione offrono nuove 
possibility alle forze di liberazione. La globalizzazione 
non e certo una realta semplice e i molteplici processi 
con i quali la identifichiamo non sono unificati, e tanto 
meno univoci. II nostro compito politico non e, per cosi 
dire, semplicemente quello di resistere contro questi 
processi, bensi quello di riorganizzarli, e di orientarli 
verso nuove finalita. Le forze creative della moltitudine 
che sostengono l'lmpero sono in grado di costruire 
autonomamente un controlmpero, un'organizzazione 
politica alternativa dei flussi e degli scambi globali. Le 
lotte volte a contestare e sowertire l'lmpero, cosi come 
quelle tese a costruire una reale alternativa, si svolge- 
ranno sullo stesso terreno imperiale — in realta, queste 
nuove lotte hanno gia iniziato a emergere. Attraverso 
queste e altri tipi di lotte, la moltitudine sara chiamata 
a inventare nuove forme di democrazia e un nuovo po- 



43 



tere costituente che, un giorno, ci condurra, attraverso 
l'lmpero, fino al suo superamento». 

Per superare l'lmpero, bisogna dunque passarci at- 
traverso. Piu che resistere ai suoi processi, si tratta di 
riorganizzarli, possibilmente affidando tale compito alle 
persone giuste! La sua costituzione e un evento positivo, 
perche offre a tutti infinite possibilita. Pensare di agire 
altrimenti, di arrivare ad una rottura completa con l'uni- 
verso imperiale, e un'illusione frutto dell'impotenza. «La 
sola strategia adeguata a queste lotte e quella di un con- 
tropotere costituente che emerge all'interno dell'Impe- 
ro», martellano senza troppa fantasia i due emissari. Chi 
non riconosce le note di questa canzone? Essa plagia fino 
in fondo il lugubre ritornello del marxismo-leninismo: 
contropotere delle moltitudini in opposizione al potere 
imperiale, controlmpero in opposizione all'Impero, con- 
troglobalizzazione opposta alia globalizzazione. Eppure, 
chi puo ignorare come la folle convinzione secondo cui 
lo Stato borghese doveva essere combattuto e sostituito 
da uno Stato proletario non abbia fatto altro che portare 
all'insediamento di regimi totalitari particolarmente 
ripugnanti, dove i tribunali celebravano processi-farsa, 
i soldati partecipavano a plotoni di esecuzione, i poli- 
ziotti riempivano i gulag di dissidenti, la classe dirigente 
formava una grottesca burocrazia, la popolazione subiva 
una tremenda oppressione e miseria? 

Ma i due emissari non badano a simili bagattelle, fidu- 
ciosi nella capacita del modello imperiale di accogliere al 
proprio interno le differenze espresse dalla «moltitudine» 
senza livellarle. Basta avere la forma costituzionale giu- 
sta. Non e un caso se il principale rovello che li affligge 
e: «Cosa significa essere repubblicani oggi?». L'aspetto 



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incredibile e che indicano tale quesito come fondamen- 
tale e imprescindibile per chiunque intenda combattere 
l'lmpero. La risposta che si danno non ammette repliche: 
«significa, innanzi tutto, lottare contro l'lmpero costruen- 
do all'interno di esso, sul suo stesso terreno ibrido e 
modulare. Occorre aggiungere, contro tutti i moralismi, 
contro il risentimento e le nostalgie, che questo nuovo 
terreno imperiale offre enormi possibilita creative e di 
liberazione. La moltitudine, nella sua volonta di essere 
contro e nel suo desiderio di liberazione, deve spingersi 
dentro l'lmpero per uscirne fuori dall'altra parte». Ecco 
che la sola cosa da fare e attraversare l'lmpero per uscire 
da un'altra parte! 

Del resto, gli stessi Deleuze e Guattari, i cui testi sono 
discretamente frequentati dai nostri due emissari, so- 
stengono che, invece di resistere alia globalizzazione 
capitalistica, occorre accelerarne l'andatura. «Ma quale 
via rivoluzionaria? — si chiedono costoro — Ce n'e forse 
una? Ritirarsi dal mercato mondiale? Oppure andare 
in senso contrario?». Hardt e Negri rincarano la dose: 
«L'impero puo essere efficacemente contestato solo al 
suo livello di generality, spingendo i suoi processi al di 
la delle loro attuali limitazioni. Occorre accettare questa 
sfida, imparare a pensare globalmente e ad agire altret- 
tanto globalmente». 

Questa loro lungimirante aspettativa assomiglia molto 
da vicino a quella dei leninisti che giuravano e sper- 
giuravano sulla prowisorieta della dittatura esercitata 
dal partito e sull'imminente estinzione dello Stato (non 
appena fosse entrato in loro possesso, naturalmente). 
Bastava avere il programma comunista giusto. In realta 
una volta assaporato il potere, con tutti gli enormi pri- 



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vilegi connessi, nessuna classe dirigente vi rinuncera 
mai volontariamente. Nessuno Stato si estinguera mai 
di propria iniziativa, alio stesso modo nessun Impero 
rispettera mai ed esprimera le molteplici differenze pre- 
sents all'interno dei propri confini. Le potra al massimo 
fagocitare e triturare come un Moloc, per poi risputarle 
sotto forma di surrogati (un po' quello che sta facendo 
l'impero economico di McDonald's che, nei suoi punti 
vendita sparsi in giro per il mondo, accanto agli ham- 
burger per cui e tristemente famoso, presenta piatti 
tipici locali che di indigeno hanno solo il nome con cui 
vengono pubblicizzati). 

L'impero non e inclusivo, e esclusivo. Anche la storia 
deH'Impero per eccellenza, quello romano, e significativa 
in proposito. Ai territori conquistati non era concessa 
nessuna autonomia. Lo straniero — anche quando il suo 
paese era sotto il dominio romano — veniva privato di 
ogni diritto in Roma. Basta pensare che nel linguaggio 
degli antichi romani i due concetti di forestiero e ne- 
mico venivano indicati da un solo vocabolo: hostis. La 
convinzione che l'impero romano si interessasse solo 
dello sfruttamento economico dei popoli soggetti e che 
fosse guidato da idee cosmopolite nel loro trattamento 
e completamente errata. A mano a mano che le divisioni 
di pretoriani estendevano l'assoggettamento militare e 
politico, anche la romanizzazione dei territori occupati 
veniva realizzata con implacabile energia. L'impero ro- 
mano non era che uno Stato, uno Stato intento ad erigere 
una gigantesca centralizzazione di ogni energia sociale. 
E annullare la differenza — attraverso la repressione o 
l'omologazione — fa parte della logica di ogni Stato, di 
ogni potere, che se vuole soprawivere deve per forza 



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di cose tendere all'unificazione generate. Quale che sia 
l'idea che rappresenta, quale che sia la struttura sociale 
in cui si manifesta, quale che sia l'individuo o il gruppo di 
individui che lo esercita, in ogni epoca ed in ogni conte- 
sto sociale il potere e sempre sinonimo di sfruttamento 
ed oppressione. Non potendo venire esercitato da tutti 
gli individui indistintamente e contemporaneamente, 
a pari titolo ed in condizione di assoluta reciprocity, il 
potere e quindi forza decisionale concentrata nelle mani 
di alcuni, attuata e protetta dalla forza armata. Che siano 
pochi o molti, abili o inetti, questi alcuni finiranno per 
imporre la propria volonta e far prevalere i propri inte- 
ressi su tutti, finiranno col diventare oppressori. 

Questo aspetto e talmente macroscopico, riscontrabi- 
le in qualsiasi epoca e in qualsiasi agglomerato umano, 
che i due emissari si guardano bene dall'ignorarlo. Anzi, 
preferiscono affrontare il problema direttamente, per 
quanto a modo loro: «Nel processo costitutivo della 
sovranita sul piano di immanenza si profila un'espe- 
rienza della finitezza prodotta dalla natura conflittuale 
ed eterogenea della stessa moltitudine. II principio di 
sovranita sembra aver prodotto il suo limite interno. 
Per impedire che questi ostacoli disgreghino l'ordine 
e svuotino il progetto costituzionale, il potere sovrano 
deve esercitare un controllo. In altri termini, al momento 
dell'affermazione succede una negazione dialettica del 
potere costituente della moltitudine che ha il compito 
di preservare la teleologia del progetto della sovranita. 
Siamo forse al punto critico dell'elaborazione del prin- 
cipio di sovranita? La trascendenza, che e stata respinta 
in sede di definizione dell'origine del potere, fa dunque 
ritorno dalla porta di servizio dell'esercizio del potere, 



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nel momento in cui la moltitudine, rappresentata nella 
sua finitezza, percio stesso sembra necessitare di spe- 
ciali strumenti di correzione e di controllo?». 

Agli occhi innamorati dei due emissari l'esercizio 
virtuoso del potere «sembra» imbattersi in un ostacolo 
insormontabile: la «natura conflittuale ed eterogenea» 
della moltitudine. Non potendo convivere con questa 
liberta, che minaccia in ogni momento di distruggere 
la sua opera, il potere «deve» correggerla e controllar- 
la. Necessita inevitabile ma che «forse» contraddice la 
sua virginale rettitudine. Non volendo uscire da questo 
vicolo cieco con un atto di forza, i due emissari si vedo- 
no costretti a ricorrere ad un atto di fede. Con grande 
colpo di scena si convertono — rimasticandola — alia 
vecchia illusione in una Costituzione americana senza 
autorita, soluzione tecnico-giuridica ai «limiti intrinseci» 
del potere: «Benche questa conseguenza rappresenti una 
minaccia costante, tuttavia, dopo aver riconosciuto que- 
sti limiti intrinseci, il principio della sovranita americana 
si apre con straordinaria determinazione verso l'ester- 
no, come se volesse espellere dalla sua Costituzione la 
necessita del controllo e il momento della riflessione». 
Conclusione dawero stupefacente se si pensa alia sorte 
toccata ai nativi americani, le tribu indiane sterminate in 
quanto il loro stile di vita era incompatibile con quello 
dei giovani Stati Uniti d'America. II loro genocidio — li- 
quidate dai due emissari come «una squallida vicenda» 
— costituisce il migliore esempio della capacita di un 
qualsivoglia pezzo di carta di accogliere, esprimere e 
garantire i desideri della «moltitudine». 

E chiaro che l'infinita molteplicita presente nell'ani- 
mo umano non potra mai venire sollecitata, sviluppata 



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e protetta da alcuna forma di potere. II caso non ama 
vedersi cucita addosso un'uniforme. La fantasia muore 
non appena le viene applicato un codice. Anche tutte le 
premure, le cautele, le indulgenze messe adisposizione 
da un ipotetico contropotere maestro di tolleranza sono 
solo chiacchiere televisive o speculazioni universitarie. 
Nessuno pud piu fingere di ignorare che, nonostante le 
sue supposte migliori intenzioni, finirebbe anch'esso per 
liquidare i propri ribelli — ghigliottinandoli in piazza a 
Parigi, abbattendoli come pernici sui bastioni di Kronsta- 
dt, fucilandoli per le vie di Barcellona (o denunciandoli 
alia polizia per i vicoli di Genova). La dismisura non puo 
essere contenuta in alcuna unita di misura, per quanto 
generosa possa apparire o essere. E per questo motivo 
che l'lmpero va distrutto. Non riorganizzato, riorientato, 
ridefinito, rimodellato — ma annientato fin nelle fonda- 
menta. A modo loro, anche i due emissari devono affron- 
tare il momento del declino imperiale e del suo crollo. 
Giunti a questo punto, l'utilizzo dello stesso concetto 
imperiale impone di fare i conti con i responsabili della 
fine del piu celebre Impero della storia, quello romano. 
E il momento di parlare dei barbari. 



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Si rimprovera ai giovani I'uso delta violenza. Ma 
non ci troviamo forse in un eterno stato di violenza? 
Dato che siamo nati e cresciuti in un carcere, non ci 
accorgiamo piu di essere in gattabuia, con le mani 
e i piedi incatenati e un bavaglio sulla bocca. Cos'e 
che voi chiamate stato legale? Una legge che fa 
delta gran massa dei cittadini un gregge assewito, 
per soddisfare i bisogni innaturali di una minoranza 

insignificante e corrotta?» 

Georg Biichner 

«Nella Civiltd vegeto; non sono ne felice, ne libero; 
perche dunque dovrei desiderare che quest'ordine 
omicida venga conservato? Non c'e piu nulla da 
conservare di cid che la terra sopporta!» 

Ernest Cceurderoy 

«Non avremo demolito tutto 
se non distruggiamo anche le rovine» 

Alfred Jarry 



Barbari 



Impero ha le ore contate. Hardt e Negri non nu- 

Ltrono dubbi in proposito, accarezzando la cer- 
tezza che «Una nuova orda nomade, una nuova 
razza di barbari, sorgera per invadere o per 
evacuare l'Impero». Una volta annunciata la lieta no- 
vella, non rimane loro che riproporre la domanda gia 
formulata da Nietzsche — dove sono i barbari? Quesito 
fondamentale, ma a cui e impossibile fornire una rispo- 
sta se prima non si affronta un altro interrogativo — chi 
sono i barbari? 

A questo punto diventa necessario approfondire il 
concetto di barbaro, la cui definizione racchiude piu di 
un significato. Etimologicamente questo termine indica 
lo straniero proveniente da un altro paese che, non 
conoscendo la lingua della polis, era incapace di farsi 
capire e si esprimeva balbettando. Storicamente indica 
un individuo che si contraddistingue per la cieca violenza 
devastatrice, per la selvaggia rozzezza. Barbaro e colui 
che non parla la lingua della citta-Stato, nonche colui che 
si scatena con furore. A prima vista non si comprende 
bene come questa duplice interpretazione, in apparenza 
illogica, possa convivere in un unico termine. Perche 
mai colui che non parla la nostra lingua dovrebbe essere 



51 



un brutale selvaggio? Perche mai colui che ricorre alia 
violenza piu feroce non sarebbe in grado di esprimersi 
attraverso le nostre stesse parole? 

In realta esiste un profondo legame fra la mancanza 
di un linguaggio comune e la manifestazione di un in- 
spiegabile comportamento violento. In una convivenza 
una lingua comune permette alle parti di conoscersi, di 
conciliare le differenze, di trovare un accordo. In caso di 
conflitto consente agli awersari di discernere fra amici 
e nemici, limitando l'uso della forza. Senza questa possi- 
bility di intendersi non c'e spazio per la mediazione, ma 
solo per la violenza incontrollata. Le forze contrapposte 
possono scendere a patti a condizione d'essere capaci 
di comunicare fra loro. Nel caso in cui si combattano, la 
possibility di dialogare pone comunque un limite alia loro 
violenza, stabilendo la soglia che non va oltrepassata per 
non vanificare future trattative. Ma senza questo linguag- 
gio comune, senza la possibility concreta di conoscere 
qualcosa dell'altro — presupposto fondamentale per 
scoprire cio che puo armonizzare gli interessi dei con- 
tendenti — non resta che battersi fino all'ultimo sangue. 

Nel riconoscere i tratti barbarici che caratterizzano 
molte delle lotte sociali piu recenti, l'analisi dei due 
emissari deH'Impero lascia trapelare una certa preoccu- 
pazione per il loro possibile sviluppo. Dietro alle lusinghe 
formali appare evidente il tentativo di civilizzare i bar- 
bari, di educarli al linguaggio della polis-Impero al fine 
di scongiurarne la violenza devastatrice e, soprattutto, 
senza controllo. Hardt e Negri sono consapevoli che «le 
lotte che si svolgono nelle varie parti del mondo, incluse 
le proprie, sembrano scritte in un incomprensibile idio- 
ma straniero», e che per questo motivo sono barbare. E 



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in cio non scorgono alcun segno positivo, tutt'altro. 

Non potendo ammettere la potenzialita sowersiva 
di una simile estraneita, preferiscono denunciare che 
«queste lotte non solo non sono riuscite a comunicare 
con altri contesti, ma non sono neppure state in grado 
di comunicare localmente e, cosi, spesso hanno avuto 
una durata molto breve e limitata ai luoghi ove erano 
nate, bruciandosi in un lampo». L'incomunicabilita dei 
barbari — il famigerato «autismo» degli insorti moderni 
che tanti fiumi di inchiostro ha fatto versare alia canea 
giornalistica e sociologica — diventerebbe in ultima 
analisi un fenomeno pericoloso non tanto per Flmpero 
quanto per i barbari stessi, in quanto non permettereb- 
be alia loro azione una maggiore diffusione nel tempo e 
nello spazio. Ma sara poi questa la ragione che spinge 
i due emissari a sostenere la necessity di «costruire un 
nuovo linguaggio comune», la cui realizzazione viene 
definita «un importante compito politico»? O non e per- 
che «probabilmente, il fatto che tutte queste lotte siano 
incomunicabili e impedite a propagarsi orizzontalmente 
nella forma di un ciclo, le costringe a innalzarsi in verti- 
cale e a toccare immediatamente il livello globale», cosa 
pericolosissima poiche «piu il capitale allarga le sue reti 
globali di produzione e controllo, piu potente diviene 
ogni singolo punto della rivolta»? 

Detto terra terra, se le lotte non si manifestassero in 
modo tanto incontrollato — cioe non fossero irrecupe- 
rabili in quanto incomunicabili — potrebbero estendersi 
nel segno del quantitativo, benche meno significative 
qualitativamente. E qui possibile toccare con mano il 
reale interesse dei due emissari: meglio diffondere lotte 
a bassa conflittualita, le eterne miserie del rivendicazio- 



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nismo, che sostenere lotte con caratteristiche radicali, 
ad alta conflittualita. Insegnando ai barbari la lingua 
dell'Impero (quella capace di esprimersi solo attraver- 
so concetti quali Stato, partito, costituzione, politica, 
produttivita, lavoro, democrazia, e via intristendo), i 
due emissari li invitano si a moltiplicare le loro lotte in 
orizzontale, ma solo perche sanno che una volta incivilite 
queste risulteranno impoverite in verticale. Vogliono 
incrementare la quantita della lotta, consapevoli che cio 
awerra a scapito della sua qualita, in fedele osservanza 
ad una ferrea legge del capitalismo. 

Prendiamo gli esempi concreti avanzati da Hardt e 
Negri. Se l'unificazione dei mercati ha superato ogni 
barriera favorendo una libera circolazione delle merci, 
essa deve infrangere anche ogni frontiera favorendo una 
libera circolazione dei lavoratori. Tuttavia il «nomadismo 
della moltitudine» conosce un ostacolo ben preciso: 
varcare i confini puo pure in alcuni casi essere diven- 
tato piu semplice, ma una volta arrivati a destinazione 
cosa rispondere alia polizia che richiede i documenti? 
Cosi la «cittadinanza globale» viene definita «un primo 
elemento di un programma politico della moltitudine 
globale». Una volta che ognuno di noi avra i documenti di 
residenza, cioe sara riconosciuto come cittadino-suddito 
dell'Impero, «tutti dovrebbero godere degli stessi diritti 
di cittadinanza nel paese dove vivono e lavorano». Non 
bisogna inf atti dimenticare che anche per i due emissari, 
come per i nazisti, e il lavoro che rende liberi ed e proprio 
l'accesso al lavoro che esige il riconoscimento di uno 
statuto universale: «Nella postmodernita, questa richie- 
sta politica di fatto fa leva su un fondamentale principio 
costituzionale della modernita, che collega il diritto al la- 



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voro e che ricompensa, con la cittadinanza, il lavoratore 
che crea il capitale». Nelle battaglie di tutti gli irregolari 
e i clandestini che lavorano e che chiedono di venire 
legalizzati, Hardt e Negri vedono la giusta rivendicazione 
della ricompensa che spetta alio schiavo obbediente 
agli ordini del proprio padrone. La sudditanza, quando 
e accompagnata dall'assenso, merita la cittadinanza. Cio 
che manca del tutto nel loro orizzonte e la possibility 
che lo schiavo si ribelli agli ordini e cerchi di spezzare 
le catene che lo imprigionano. Fra queste catene vanno 
annoverati senz'altro i documenti di riconoscimento. I 
due emissari si guardano bene dal considerare che la 
liberta di movimento la si puo ottenere in due maniere, 
fondamentalmente contrapposte. La prima e quella da 
loro auspicata e che prevede documenti per tutti (magari 
con le impronte di tutti!). La seconda e quella da loro non 
contemplata e che non prevede documenti. La prima 
ipotesi richiede la modernizzazione della burocrazia 
dell'Impero, la seconda esige la sua distruzione. O ci si 
mette in regola davanti alia polizia, o la si fa finita con 
tutte le regole e con tutte le polizie. 

Stesso discorso per l'altro cavallo di battaglia dei 
due emissari, quello del salario sociale e del reddito 
garantito per chiunque. «Una volta che la cittadinanza 
e stata estesa a tutti, possiamo definire questo reddito 
garantito un reddito di cittadinanza dovuto a ciascuno 
in quanto membro della societa», propongono Hardt e 
Negri, nella malcelata speranza che soddisfatti da una 
retribuzione sociale — dovuta per il loro mero consenso, 
a prescindere dall'attivita svolta — i sudditi la smettano 
di rivoltarsi in quanto oppressi dall'Impero e si mettano a 
lavorare in quanto membri della societa. Contrariamente 



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a chi si ostina a pensare che il comunismo sia un mondo 
senza denaro, i due emissari ritengono che esso debba 
assumere inevitabilmente la forma di un mondo salariato 
— vale a dire di un mondo capitalistico. Questa loro as- 
soluta incapacity di immaginare l'esistenza umana al di 
fuori dell'orbita tracciata dalle istituzioni imperiali non e 
casuale: chi vuole comunicare con I'Impero deve imparare 
a parlare come I'Impero, chi parla come I'Impero hnisce 
col pensare come I'Impero. 

L'lNSUFFICIENZA DEL No 

La conversione dei barbari si gioca su tutti i piani. 
Non solo devono imparare la lingua deH'Impero, devono 
anche rinunciare alia propria violenza. Mase convincerli 
ad andare a scuola e relativamente facile, basta promet- 
tere un salto quantitativo, con quali argomentazioni si 
puo invitare a deporre le spade chi considera l'uso della 
forza una virtu? Attraverso un gioco di prestigio retorico 
che ruota attorno all'inossidabile mito della Resisten- 
za. Citando un partigiano antifascista, i due emissari 
ricordano che «la resistenza nasce dalla diserzione». 
Forti di questa verita storica, Hardt e Negri sostengono 
che «mentre nell'era disciplinare era il sabotaggio a rap- 
presentare la forma piu efficace di resistenza, nell'era 
del controllo imperiale potrebbe essere la diserzione. 
Mentre nella modernita essere contro significava, per lo 
piu, un'opposizione diretta e/o dialetticatra forze, nella 
postmodernita, l'efficacia dell'essere contro si manifesta 
assumendo posizioni oblique e diagonali. Le battaglie 
contro I'Impero possono essere vinte con la sottrazione e 
la defezione. La diserzione non ha luogo: e l'evacuazione 
dai luoghi del potere». 



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Per quanto sciorinino tutto il loro repertorio di ma- 
nipolatori della parola, in questo caso il trucco che 
usano e fin troppo scadente. La resistenza nasce dalla 
diserzione, ma non e diserzione. La diserzione comporta 
solo una non-partecipazione, una non-collaborazione ai 
progetti del nemico. Invece la resistenza e intervento 
diretto, scontro frontale con il nemico. Al massimo si puo 
dire che la diserzione sia stata una forma di resistenza 
passiva, mentre la lotta partigiana e stata una forma di 
resistenza attiva. Chi diventa consapevole di vivere in 
una situazione sociale intollerabile, in un mondo fondato 
sulla ricchezza dei pochi e sulla miseria dei molti, chi 
non vuole piu sentirsi responsabile degli orrori quotidia- 
namente commessi, puo smettere di fornire il proprio 
contributo alia continuazione dell'esistente. Ad esempio, 
non recandosi piu a votare oppure non acquistando le 
merci delle grandi multinazionali. Ma questa scelta, per 
quanto apprezzabile nelle intenzioni, risulta del tutto 
insufficiente poiche in se non e in grado di mettere in 
discussione concretamente l'ordinamento sociale, con- 
cludendosi in un atteggiamento di rifiuto alquanto limi- 
tato. Mette a tacere i sensi di colpa della coscienza, ma 
non modifica la realta circostante. Per fermare il nemico, 
non basta rifiutarsi di prestarvi servizio od astenersi 
dal frequentarlo. Occorre fare un passo in piu, occorre 
attaccarlo e colpirlo alio scopo di distruggerlo. 

Sostenendo la diserzione a scapito del sabotaggio, i 
due emissari non fanno altro che puntellare I'Impero. 
Cosi come il nazismo continuava ad occupare e ad 
opprimere l'ltalia, malgrado i suoi disertori, alio stesso 
modo I'Impero continuera ad occupare e ad opprimere 
l'intero pianeta, malgrado i suoi disertori. Tutta que- 



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sta retorica sulla resistenza della diserzione persegue 
maldestramente un unico scopo, quello di pacificare la 
rabbia dei sudditi offrendo loro la valvola di sfogo dell'ab- 
bandono e negando la necessita e l'urgenza dell'attacco 
diretto contro l'lmpero. Attraverso questi sotterfugi da 
ciarlatani, vengono invitati i barbari a prendere come 
esempio non la determinazione dei disertori, quella che 
poi li avrebbe condotti alia resistenza fattiva, bensi il loro 
comportamento iniziale, vale a dire ad emulare il gesto 
per cui diventarono famosi: quello di gettare via le armi, 
di rifiutare di combattere. 

E evidente che, una volta utilizzata la metafora impe- 
riale, Hardt e Negri non possano che auspicare l'awento 
dei «nuovi barbari». Basta solo che questi smettano di 
essere tali: si ad un linguaggio comprensibile, no alia 
violenza. Quest'ultima non serve piu: da un lato «la corru- 
zione imperiale e gia minata dalla produttivita dei corpi, 
dalla cooperazione e dai disegni della produttivita della 
moltitudine. II solo evento che stiamo aspettando e la 
costruzione — o meglio, l'insorgenza — di una potente 
organizzazione»; mentre dall'altro «i militanti resistono 
al comando dell'Impero creativamente. In altri termini, 
la resistenza e immediatamente collegata con un inve- 
stimento costitutivo nel mondo biopolitico, volto alia 
creazione di dispositivi cooperativi di produzione e di 
comunita». Per paura di essere fraintesi, i due emissari 
sono qui costretti a spiegarsi con una certa chiarezza: 
essi non auspicano affatto l'awento dell'orda barbarica, 
bensi di una potente organizzazione di militanti! Non gra- 
discono che si lotti con furore, ma che si lavori produtti- 
vamente! Non chiedono che si segua la passione, ma che 
si adempia al proprio dovere! Non vogliono che si faccia 



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strage fra i nemici, ma che si resista creativamente! 

Hardt e Negri apprezzano a tal punto l'lmpero, sono 
talmente plasmati dai suoi valori, genuflessi davanti alia 
sua organizzazione, obbedienti alle sue norme, assimilati 
alia sua tecnologia, usi al suo linguaggio, da concludere 
che «la militanza conosce solo un dentro, la vitale e 
ineluttabile partecipazione al complesso delle strutture 
sociali senza alcuna possibility di trascenderle». Siamo 
qui di fronte ad un'ennesima acrobazia dialettica. Mentre 
lanciano vibranti appelli ai sudditi affinche si incammi- 
nino sulle strade dell'esodo, nel contempo affermano 
piu volte che nell'Impero non esiste un altrove, un fuori 
rispetto a un dentro. 

Ma, se l'lmpero e ovunque, se non esistono piu i limes 
che ne delimitano il territorio, dove si trovera mai questa 
Terra Promessa verso cui indirizzare l'esodo della ((mol- 
titudine)*? Esiste su questo pianeta una zona franca, un 
luogo rimasto incontaminato dalla logica del profitto e 
del potere? Malauguratamente il mondo e Uno ed e inte- 
ramente sotto il dominio dell'Impero. Al suo interno non 
e permessa alcuna alternativa sostanziale. Tutt'al piu ci 
e concesso di rinunciare ad una esistenza nostra, il che 
equivale a spegnerci, adeguandoci al suo ordinamento 
— il quieto vivere della rassegnazione. Tutt'al piu ci e 
possibile soprawivere alia meno peggio, inserendoci in 
qualche suo interstizio. 

Ecco perche chi desidera vivere, cioe determinare da 
se il contenuto e la forma dei propri giorni su questa 
terra, non ha che una carta da giocare. Prima d'essere 
condizione preliminare indispensabile ad ogni sperimen- 
tazione di liberta reale, l'insurrezione contro l'lmpero e 
una questione di dignita. 



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Senza una ragione 

Oggi i barbari non si accampano piu alle porte della 
Citta. Si trovano gia al suo interno, essendovi nati. Non 
esistono piu le fredde terre del Nord o le brulle steppe 
dell'Est da cui fare partire le invasioni. Bisogna prendere 
atto che i barbari provengono dalle fila degli stessi suddi- 
ti imperiali. Come a dire che i barbari sono dappertutto. 
Per le orecchie abituate alFidioma della polis e facile 
riconoscerli perche si esprimono balbettando. Ma non 
bisogna lasciarsi ingannare dal suono incomprensibile 
della loro voce, non bisogna confondere chi e senza una 
lingua con chi parla una lingua diversa. 

Molti barbari sono infatti privi di un linguaggio ricono- 
scibile, resi analfabeti dalla soppressione della propria 
coscienza individuale — conseguenza dello sterminio del 
significato attuato dall'Impero. Se non si sa come dire, e 
perche non si sa cosa dire; e viceversa. E non si sa cosa 
e come dire perche tutto e stato banalizzato, ridotto a 
mero segno, ad apparenza. Considerato una delle mag- 
giori sorgenti della rivolta, fonte irradiante di energia, 
nel corso degli ultimi decenni il significato e stato eroso 
da tutta una schiera di funzionari imperiali (ad esempio 
dalla scuola strutturalista francese tanto cara ai due 
emissari) che lo hanno frantumato, polverizzato, sbricio- 
lato in ogni ambito del sapere. Le idee che interpretano 
ed incitano all'azione trasformatrice sono state can- 
cellate e rimpiazzate dalle opinioni che commentano e 
inchiodano alia contemplazione conservatrice. Laddove 
prima c'era una giungla piena di insidie perche selvaggia 
e rigogliosa, e stato fatto il deserto. E cosa dire, cosa fare 
in mezzo al deserto? Privi di parole con cui esprimere 
la rabbia per le sofferenze subite, privi di speranze con 



60 



cui superare l'angoscia emozionale che devasta l'esi- 
stenza quotidiana, privi di desideri con cui contrastare 
la ragione istituzionale, privi di sogni a cui tendere per 
spazzare via la reiterazione dell'esistente, molti sudditi 
si imbarbariscono nei gesti. Una volta paralizzata la 
lingua, sono le mani a fremere per trovare sollievo alia 
frustrazione. Inibita nel manifestarsi, la pulsione alia gioia 
di vivere si capovolge nel suo contrario, nell'istinto di 
morte. La violenza esplode ed essendo senza significato 
si manifesta in maniera cieca e furiosa, contro tutto e 
tutti, travolgendo ogni rapporto sociale. Laddove non 
c'e una guerra civile in corso, ci sono i sassi lanciati dai 
cavalcavia oppure lo sterminio di parenti, amici o vicini. 
Non e una rivoluzione, non e nemmeno una rivolta, e una 
strage generalizzata compiuta da sudditi resi barbari 
dalle ferite quotidiane inflitte sulla propria pelle da un 
mondo senza senso perche a senso unico. Questa violen- 
za cupa e disperata infastidisce Flmpero, turbato nella 
sua presunzione di garantire la pace dei sensi, ma non 
lo preoccupa. In se, non fa altro che alimentare e giusti- 
ficare la richiesta di maggior ordine pubblico. Eppure, 
per quanto facilmente recuperabile una volta affiorata in 
superficie, essa mostra tutta l'inquietudine che agita in 
profondita questa societa, tutta la precarieta della presa 
imperiale sulle vicissitudini del mondo moderno. 

E tuttavia esistono anche altri barbari, di natura diver- 
sa. Barbari in quanto refrattari alle parole d'ordine, non 
certo in quanto privi di coscienza. Se il loro linguaggio 
risulta oscuro, noioso, balbettante e perche non coniu- 
ga all'infinito il Verbo imperiale. Sono tutti coloro che 
rifiutano deliberatamente di seguire l'itinerario istitu- 
zionale. Hanno altri sentieri da percorrere, altri mondi 



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da scoprire, altre esistenze da vivere. Alia virtualita 
— intesa come finzione — della tecnologia che nasce in 
sterili laboratori, oppongono la virtualita — intesa come 
possibility — delle aspirazioni che nascono nei battiti del 
cuore. Per dare forma e sostanza a queste aspirazioni, 
per trasformarle da virtuali in reali, devono strappare 
aH'Impero con la forza il tempo e lo spazio necessari alia 
loro realizzazione. Devono, cioe, riuscire ad arrivare ad 
una rottura integrale con l'lmpero. 

Anche questi barbari sono violenti. Ma la loro violenza 
non e cieca nei confronti di chi colpisce, quanto piuttosto 
nei confronti della ragione imperiale. Questi barbari non 
parlano e non capiscono la lingua della polis, ne vogliono 
impararla. Non sanno cosa farsene della struttura sociale 
dell'Impero, della costituzione americana, degli attuali 
mezzi di produzione, dei documenti di riconoscimento 
o del salario sociale a cui tanto tengono i due emissari. 
Non hanno nulla da chiedere ai funzionari imperiali, non 
hanno nulla da offrire loro. La politica del compromesso 
e abortita in partenza, e non per un ridicolo processo 
ideologico, ma per una totale inadeguatezza a questo 
mondo. Sanno solo che per realizzare i propri desideri, 
quali che siano, devono prima togliere di mezzo gli osta- 
coli che incontrano sul proprio cammino. Non hanno 
tempo di chiedersi come mai «il capitalismo e miracolo- 
samente ancora vivo e vegeto e la sua accumulazione e 
piu gagliarda che mai», come si attardano comicamente 
a fare i due emissari, sconcertati che la storia si rifiuti 
di funzionare assecondando gli oliati meccanismi di una 
macchina. II «mistero della longevity del capitale» non 
riesce ad appassionare questi barbari tanto quanto l'ur- 
genza della sua morte. Per questo sono pronti a mettere 



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a ferro e a fuoco le metropoli — con le loro banche, i loro 
centri commerciali, la loro urbanistica poliziesca — in 
qualsiasi momento, individualmente o collettivamente, 
alia luce del sole o nei buio della notte. Se non hanno un 
solo motivo per farlo, e perche li hanno tutti. 

Contrariamente ai sudditi scontenti che vorrebbero 
diventare sudditi contenti, a questi barbari non interessa 
la possibility di un altro mondo. Preferiscono battersi 
perche pensano che un mondo altro sia possibile. San- 
no che "un altro mondo" sara come "un altro giorno", 
la vuota e noiosa ripetizione di quello che lo ha prece- 
duto. Ma un mondo altro e un mondo sconosciuto tutto 
da fantasticare, da creare, da esplorare. Essendo nati e 
cresciuti sotto il giogo imperiale, senza avere mai avuto 
la possibility di sperimentare modi radicalmente diversi 
di vivere, non e possibile immaginare questo mondo altro 
se non in termini negativi, come un mondo senza denaro, 
senza legge, senza lavoro, senza tecnologia e senza tutti 
gli innumerevoli orrori prodotti dalla civilta capitalista. 

Inetti a concepire un mondo senza padroni da servire, 
i due emissari interpretano questa assenza come man- 
canza. E questa loro ridicola persuasione che l'lmpero 
sia il destino dell'umanita a far loro dire che «il rifiuto del 
lavoro e dell'autorita — e in particolare, il rifiuto della 
servitu volontaria — e l'inizio della liberazione politica 
[...]. Questo rifiuto e certamente l'inizio della liberazione 
politica, ma e solo l'inizio. In se stesso, il rifiuto e vuoto 
[...]. In termini politici, il rifiuto, in quanto tale (del la- 
voro, dell'autorita, e della servitu volontaria) conduce 
a una sorta di suicidio sociale. Come dice Spinoza, se ci 
limitiamo a separare la testa del tiranno dal corpo sociale 
ci ritroveremo tra le braccia il cadavere mutilato della 



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societa». II tiranno e la testa, la ragione che guida; i sud- 
diti sono i muscoli, la forza che lavora. Piu che Spinoza, i 
due emissari avrebbero dovuto citare i patrizi dell'antica 
Roma, i quali facevano notare alia plebe in procinto di 
ribellarsi che se i sudditi insorgono e mettono a morte 
il tiranno commettono un suicidio, perche non si pud 
vivere senza qualcuno che comanda. 

L'eterna menzogna che regge ogni esercizio del potere 
trova in Hardt e Negri due ferventi seguaci, disponibili 
a sostenere che il rifiuto dell'autorita e un suicidio e 
l'anarchismo e una forma di impotenza. In realta, come e 
stato fatto notare piu volte e da piu parti, e la distruzione 
ad aprire la porta alia creazione, il mero rifiuto non fa 
altro che rendere fertile il terreno alia nuova affermazio- 
ne. Contrariamente a quanto pensano i due emissari, il 
tiranno — ed ogni struttura di potere e tirannica — non 
e la testa del corpo sociale, bensi il parassita che ne av- 
velena l'organismo. Ucciderlo e un atto di liberazione. I 
club rivoluzionari parigini, cosi come i Consigli operai 
russi, non hanno risentito della decapitazione del re 
Luigi XVI, o della caduta dello zar Nicola II. Anzi e stata 
proprio la liquidazione del potere, cioe il contesto in- 
surrezionale che abbatte antiche abitudini e sprigiona 
nuove energie, a permettere la loro nascita e diffusione. 
Ed e stata proprio la reintroduzione del potere, in chiave 
giacobina o bolscevica, a determinare lo stallo e la rovina 
del processo di rigenerazione sociale, riportando cio che 
e Ignoto a cio che e Stato. 

Chi non parla con me e come me non ha nulla da dire. 
Chi non agisce con me e come me e malato di impotenza. 
Chi non vive con me e come me desidera suicidarsi. E 
questo l'insegnamento che l'lmpero semina fra i suoi ne- 



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mici per bocca dei suoi emissari. Ma i barbari sono sordi 
a simili puerili moniti, le loro orecchie sono sensibili solo 
alia voce che li chiama all'assalto dell'Impero, alia tabula 
rasa dell'esistente. La loro furia incute terrore persino in 
molti nemici dell'Impero, desiderosi si di vincerlo ma con 
le buone maniere. Da bravi civilizzati, costoro condivido- 
no il dissenso ma non l'odio; comprendono l'indignazione 
ma non la rabbia; lanciano slogan di protesta ma non urla 
di guerra; sono pronti a versare saliva ma non sangue. 
Anch'essi — sia chiaro — vogliono la fine dell'Impero, 
pero si aspettano che awenga spontaneamente, come un 
fenomeno naturale. Spinti dalla certezza che l'lmpero e 
gravemente malato, i suoi piu educati nemici si augurano 
che un collasso liberi al piu presto l'umanita dalla sua 
ingombrante presenza. 

D'altronde nessuno puo negare che e assai meno peri- 
coloso ottenere la liberta in seguito alia placida dipartita 
del padrone, come una sorte di eredita, piuttosto che 
conquistarla in battaglia. Questa indiscutibile consta- 
tazione li porta a sedere sulla riva del fiume, in attesa 
di veder passare il cadavere del loro nemico trascinato 
dalla corrente. 

Ben diversa e la natura barbara, che non conosce 
questa soave pazienza. I barbari infatti sono persuasi 
che sia vano attendere la morte dell'Impero, la quale 
oltre tutto potrebbe non essere cosi imminente come 
si augurano i suoi civili nemici. Inoltre, tutto lascia sup- 
porre che nel momento del suo crollo l'lmpero seppellira 
tutti, ma proprio tutti, sotto le sue macerie. Allora, a 
che pro aspettare? Non e meglio andare a cercarselo, 
il nemico, e fare il possibile per sbarazzarsene? Questa 
barbara determinazione suscita orrore. Inorriditi sono 



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i due emissari, secondo cui l'identificazione del nemico 
e «il problema fondamentale della filosofia politica» e in 
quanto tale non puo riguardare i barbari, che nella loro 
rozzezza sono in grado al massimo di «muoversi in tondo 
tracciando una serie di cerchi paradossali». 

Ma inorriditi sono anche i nemici perbene dell'Impero 
i quali, abituati a consumare i propri giorni nell'attesa 
di poter cominciare a vivere, scambiano l'immediatezza 
barbara per sete di sangue. E come potrebbe essere di- 
versamente? Essi sono del tutto incapaci di comprendere 
in favore di cosa si battono i barbari, il cui linguaggio 
e incomprensibile anche per le loro orecchie. Troppo 
infantili le loro urla, troppo gratuito il loro ardire. Di 
fronte ai barbari costoro si sentono impotenti come un 
adulto alle prese con dei bambini scatenati. In effetti per 
gli antichi Greci il barbaro era assai simile al bambino, 
mentre in russo i due concetti si esprimono con lo stes- 
so vocabolo (e pensiamo al latino infans, infante, che 
significa letteralmente non parlante). 

Ebbene, cio che piu viene rimproverato ai non parlanti, 
ai balbuzienti, e la mancanza di serieta, di ragionevolez- 
za, di maturita. Per i barbari, come per i bambini, la cui 
natura non e stata ancora o del tutto addomesticata, la 
liberta non comincia con l'elaborazione di un programma 
ideale ma col rumore inconfondibile di cocci rotti. E qui 
che si alzano le proteste di chi pensa, con Lenin, che 
l'estremismo non sia che «una malattia infantile». Con- 
tro la malattia senile della politica, i barbari affermano 
che e la liberta il bisogno piu urgente e piu terrificante 
della natura umana. E la liberta sfrenata dispone di tutti 
i prodotti del mondo, di tutti gli oggetti da trattare come 
giocattoli. 



66 



Ma i figli della dea Ragione non ammettono una tra- 
sformazione sociale che non si fondi suH'edificazione del 
Bene Pubblico, si tratti del ritorno ad un passato mitico 
(l'illusione primitivista) o del compimento di un futuro 
radioso (l'illusione messianica). Quanto ai barbari, non 
amano ne i sospiri di nostalgia, ne le lauree in architet- 
tura. Cid che e non va distrutto in nome di cid che era o 
di cid che sara, ma per dare finalmente vita a tutto cio 
che potrebbe essere, nelle sue smisurate possibility, qui 
ed ora. Adesso. 

Per farla finita 

E inutile cercare di insegnare a parlare a chi non ha 
una lingua. E inutile spaventarsi di fronte a suoni guttu- 
rali e a gesti inconsulti. E inutile proporre mediazioni a 
chi vuole l'impossibile. E inutile implorare liberta a chi 
impone schiavitu. Lasciamo la pedagogia ai due emissari, 
assieme al loro spirito poliziesco e missionario. Che i 
barbari si scatenino. Che affilino le spade, che brandi- 
scano le asce, che colpiscano senza pieta i propri nemici. 
Che l'odio prenda il posto della tolleranza, che il furore 
prenda il posto della rassegnazione, che l'oltraggio pren- 
da il posto del rispetto. Che le orde barbariche vadano 
all'assalto, autonomamente, nei modi che decideranno, e 
che dopo il loro passaggio non cresca piu un parlamento, 
un istituto di credito, un supermercato, una caserma, 
una fabbrica. Di fronte al cemento che prende a schiaffi 
il cielo e all'inquinamento che lo sporca si puo ben dire, 
con Dejacque, che «Non sono le tenebre questa volta che 
i Barbari porteranno al mondo, e la luce». 

La distruzione dell'Impero difficilmente potra assume- 
re le consuete forme della rivoluzione sociale, cosi come 



67 



ci e dato conoscerle dai libri di storia (la conquista del 
Palazzo d'Inverno, la reazione popolare a un golpe, lo 
sciopero generale selvaggio). 

Non ci sono piu nobili Idee in grado di smuovere 
grandi masse proletarie, non ci sono piu dolci Utopie 
pronte ad essere fecondate dai loro amanti, non ci sono 
piu radicali Teorie che aspettano solo di essere messe in 
pratica. Tutto cio e stato sommerso, spazzato via dalla 
melma imperiale. C'e solo il disgusto, la disperazione, la 
ripugnanza di trascinare la propria esistenza nel sangue 
sparso dai potere e nel fango sollevato dall'obbedienza. 
Eppure e in mezzo a questo stesso sangue e al fango che 
puo nascere la volonta — confusa in alcuni, piu nitida in 
altri — di farla finita una volta per sempre con Flmpero 
ed il suo ordine letale. 

«E allora, tutte le sofferenze, tutto il passato, tutti gli orrori 
ed i tormenti che hanno segnato il mio corpo, li gettavo al 
vento come se fossero di altri tempi, e mi abbandonavo 
allegramente a sogni di avventura vedendo con la febbre 
dell'immaginazione un mondo diverso da quello in cui ero 
vissuto, ma che desideravo; un mondo dove nessuno di 
noi aveva vissuto, ma che molti di noi avevano sognato. E 
il tempo passava volando, e le fatiche non entravano nel 
mio corpo, e il mio entusiasmo aumentava, e diventavo 
temerario e al mattino uscivo in ricognizione per scoprire 
il nemico, e... tutto per cambiare la vita; per imprimere un 
altro ritmo a questa nostra vita; perche gli uomini, ed io tra 
loro, possono essere fratelli; perche iallegria, almeno una 
volta, esplodendo nei nostri petti esplodesse sulla terra.. .» 

Un incontrollato della Colonna di Ferro 
marzo 1937, Spagna 



68 



INDICE 



Introduzione Pag. 5 

Parte Prima 
Impero 

Impero 15 

A malincuore 18 

Andate a lavorare! 27 

II rovescio della medaglia 31 

Le teste dell'aquila 37 

Le correzioni della liberta 42 

Parte Seconda 
Barbari 

Barbari 51 

Linsufficienza del No 56 

Senza una ragione 60 

Per farla finita 67 

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