domenica 17 novembre 2013

Per una storia dei bisogni di Ivan Illich

IVAN ILLICH

Per una storia dei bisogni

Introduzione

I cinque saggi qui raccolti rispecchiano un decennio di riflessioni sul modo di produzione
industriale. Durante questo periodo mi sono soprattutto occupato dei processi attraverso i quali
una crescente dipendenza da beni e servizi prodotti in serie elimina a poco a poco le condizioni
necessarie per una vita conviviale. 
Ciascun saggio, nell'esaminare un settore diverso della crescita economica, dimostra una regola generale: i valori d'uso vengono ineluttabilmente distrutti quando il modo di produzione industriale raggiunge quel predominio che io ho chiamato “monopolioradicale”. 
Nell'assieme i saggi descrivono in che modo la crescita industriale produce la versione moderna della povertà.
Questo tipo di povertà fa la sua apparizione quando l'intensità della dipendenza dal mercato arriva
a una certa soglia. Sul piano soggettivo, essa è quello stato di opulenza frustrante che s'ingenera
nelle persone menomate da una schiacciante soggezione alle ricchezze della produttività
industriale. Essa non fa altro che privare le sue vittime della libertà e del potere di agire
autonomamente, di vivere in manièra creativa; le riduce a sopravvivere grazie al fatto di essere
inserite in relazioni di mercato. Questo nuovo tipo d'impotenza, proprio perché vissuta a livello
così profondo, difficilmente riesce a trovare espressione. Siamo testimoni di una trasformazione
appena percettibile del linguaggio corrente, per cui verbi che una volta indicavano azioni intese a
procurare una soddisfazione vengono sostituiti da sostantivi che indicano pr<> dotti di serie
destinati a un mero consumo passivo: “imparare”, per esempio, diventa “acquisto di un titolo di
studio”. Traspare da questo un profondo cambiamento dell'immagine che gli individui e la società
si fanno di se stessi. E non è solo il profano che fa fatica a descrivere con precisione ciò che
avverte. L'economista di professione non sa riconoscere quella povertà che i suoi strumenti
convenzionali non sono in grado di rilevare. Il nuovo fattore di mutazione dell'impoverimento
continua tuttavia a diffondersi. L'incapacità, peculiarmente moderna, di usare in modo autonomo
le doti personali, la vita comunitaria e le risorse ambientali infetta ogni aspetto della vita in cui
una merce escogitata da professionisti sia riuscita a soppiantare un valore d'uso plasmato da una
cultura. Viene così soppressa la possibilità di conoscere una soddisfazione personale e sociale al di
fuori del mercato. Io sono povero, per esempio, una volta che per il fatto di abitare a Los Angeles
o di lavorare al trentacinquesimo piano abbia perduto il valore d'uso delle mie gambe.
Questa nuova povertà generatrice d'impotenza non va confusa col divario tra i consumi dei ricchi e
dei poveri, sempre maggiore in un mondo in cui i bisogni fondamentali sono sempre più
determinati dai prodotti industriali. Tale divario è la forma che la povertà tradizionale assume in
una società industriale, e che i termini convenzionali della lotta di classe adeguatamente mettono
in luce e riducono. Distinguo altresì la povertà di tipo moderno dai prezzi gravosi imposti dalle
“esternalità” che gli accresciuti livelli di produzione rigettano nell'ambiente. E’ chiaro che questi
tipi di inquinamento, di tensione e di carichi fiscali sono ripartiti in maniera ineguale, e che in
maniera altrettanto ineguale sono distribuite le difese da tali depredazioni. Ma, come i nuovi divari
in fatto di accesso, anche queste iniquità dei costi sociali sono aspetti della povertà industrializzata
per i quali è possibile trovare indicatori economici e verifiche oggettive. Non è così invece per
l'impotenza industrializzata, che colpisce indifferentemente ricchi e poveri. Dove regna questo tipo
di povertà, è impedito o criminalizzato qualsiasi modo di vivere che non dipenda da un consumo di
merci.

Fare a meno di consumare diventa impossibile, non soltanto per il consumatore medio ma
persino per il povero. 

A nulla servono tutte le varie forme di assistenza sociale. 
La libertà di progettare e farsi a modo proprio la propria casa è soppressa, sostituita dalla fornitura burocratica di alloggi standardizzati, negli Stati Uniti come a Cuba o in Svezia. L'organizzazione dell'impiego, della manodopera qualificata, delle risorse edilizie, i regolamenti, i requisiti necessari per ottenere credito dalle banche, tutto porta a considerare l'abitazione come una merce anziché un'attività.
Che poi questa merce sia fornita da un imprenditore privato o da un apparatčik, il risultato
concreto è sempre lo stesso: l'impotenza del cittadino, la nostra forma, specificatamente moderna,
di povertà.
Ovunque si posi l'ombra della crescita economica, noi diventiamo inutili se non abbiamo un
impiego o se non siamo impegnati a consumare; il tentativo di costruirsi una casa o di mettere a
posto un osso senza ricorrere agli specialisti debitamente patentati è considerato una bizzarria anarchica.

continua a leggere (da pag.2)
http://www.comedonchisciotte.org/download/education/StoriaBisogni.pdf



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