giovedì 27 ottobre 2016

sul volontariato e il lavoro non pagato. una confusione creata a tavolino


trovo e volentieri pubblico. un cambio epocale nel paradigma del mondo del Lavoro e della Ricattabilità, termine ormai più appropriato per definire il contemporaneo concetto di lavoro.

Sì, è lungo. No, non è un volantino. Sono alcuni appunti che chiariscono perché siamo qui, da dove veniamo e quali contraddizioni (e collusioni) denunciamo oggi, a due passi e tre spanne dal Convegno sul volontariato post-moderno.

Breve preambolo

In principio era il volontariato: tempo, passione, attività non remunerati perché prestati ad una organizzazione non profit o comunque orientati da un criterio etico e solidaristico. Era un’attività spesso mediata da associazioni attive nel territorio e nella comunità che ha caratterizzato in maniera fortissima la vita sociale del paese (ambientalismo, circoli Arci, fenomeni migratori, sport popolare…) specialmente in relazione ai nuovi movimenti sociali sviluppatisi nella seconda metà del secolo scorso, anche se il tutto affonda le radici in attività filantropiche e cooperative di mutuo soccorso (senza dire di partiti e parrocchie) ben più longeve.


Gli anni Duemila ci consegnano un panorama profondamente mutato dell’attivazione sociale. Da una parte una perdita di spinta, credibilità e indipendenza delle esperienze storiche, dall’altra un processo di alleggerimento coatto del welfare che ha aperto a forme di sussidiarietà formale e informale. Il volontariato, il lavoro cooperativo e precario, hanno operato, spesso in contesti fragili ed emergenziali, puntellando sul territorio l’assenza di trasparenza, finanziamenti e politiche. Mentre partiti e circoli, associazioni ambientaliste e sindacati, ripiegano su sé stessi, anche la generosità della militanza galleggia in acque insicure, va detto tutto.

Il volano di Expo 2015 e l’affaire “volontari”

E’ possibile che la parola fine in calce ai conti dell’esposizione universale, non venga mai vergata con chiarezza, poco male. Quel che è certo, ben oltre il balletto delle cifre sul solo
anno 2015, è che la mega-macchina di Expo 2015 si regge su 1,3 mld di fondi pubblici stanziati a fondo perduto (e non conteggiati nel bilancio annuale), su almeno 6000 volontari che hanno lavorato senza alcuna retribuzione per un paio di settimane all’interno del sito espositivo, sulla valorizzazione immobiliare privata di 1,5 mln di mq di superficie verde fino a un lustro fa, sulla crisi di un numero importante di fornitori mai pagati, sull’economia del debito delle grandi opere sdoganate dall’evento e oggi in profondissima crisi, su tutte BreBeMi e Pedemontana (le cui iniezioni di liquidità a colpi di extracosti e defiscalizzazioni non tapperanno il buco).
Nel luglio 2013 sindacati confederali e Expo 2015 S.p.A. firmano un accordo per l’utilizzo di 18500 volontari, leggi anche lavoratori non retribuiti, all’interno del semestre espositivo. Era già accaduto in tono minore con le olimpiadi invernali torinesi ma questa volta i numeri sono importanti ed Expo 2015 è notoriamento una società per azioni, non una onlus che si occupa di sovranità e giustizia alimentare. Il Comune di Milano prende atto, ringrazia e ci mette del suo con il flirt della campagna” Volontari per un giorno”. Dai posti di comando ringraziano, se la cosa funziona si potrebbe quasi ipotizzare un cambio di poltrona al termine del mandato Pisapia (immaginate un commissario straordinario che comincia a fare il super-sindaco a tre anni dalla tornata elettorale!).
Passano 500 giorni, il battage promozionale con convenzioni che spaziano dalle scolaresche (centinaia di migliaia i piccoli usati per corroborare le deludenti cifre) agli atenei passando per coop, imprese e inps non c’è rischio di non avere un biglietto promozionale per fare ingresso al party...eppure i volontari non ci sono. La società ammetterà più avanti che “non ne servivano così tanti”. A Expo conclusa si parlerà di 6000 volontari cui si sommano le cifre mai dichiarate dei paesi partecipanti (solo il padiglione dell’UE è nel conto).
Nel frattempo il sito apre e arrivano i 500 fogli di via comminati in via del tutto aleatoria dalla questura di Milano nel silenzio e nell’indifferenza di tutti i soggetti coinvolti nell’operazione (sindacalismo confederale con timidissime eccezioni, fondazione triulza, associazioni di reclutamento volontari, media..) e accade che gli unici ad aver suggerito la scorrettezza della scommessa siano tenuti fuori dalla festa. Il 31 ottobre 2015 la kermesse si svuota con qualche milioncino di visitatori in meno dei 24 previsti (inizialmente dovevano essere 30, non si arriverà a 19) e di volontariato, almeno dopo la benemerenza civica in occasione dell’Ambrogino D’oro, non si sente più parlare.

Il lavoro non retribuito all’epoca del volontariato post-moderno.

No un attimo, qualche giorno prima, il 20 ottobre, proprio in Cascina Triulza va in scena "Un nuovo approccio al Volontariato: grandi eventi e partecipazione attiva". Dai questionari online e da ben 30 (!) interviste realizzate, viene anticipata la pubblicazione di studi e report utili a interpretare il fatto nuovo: il volontariato episodico, al servizio di grandi e piccoli eventi.
L’equipe di ricerca interdisciplinare composta da parecchi dei relatori di questo pomeriggio pubblicherà nei mesi seguenti il testo dal sottotitolo “chi sono i volontari di Expo 2015 e come capitalizzare il loro impegno” e ancora “una fotografia dei volontari di Expo 2015”. Il filone di studio rimbalza allegramente dai siti del network dei CSV, centri di servizio al volontariato, e a Roma si tiene un primo convegno sul tema, tra i relatori spiccano pure gli amanti del decoro di “Retake”.
In sintesi estrema: il volontariato classico non tira più, sempre meno giovani e non, specie nella cornice della crisi, s’imbarcano in un impegno continuativo e valoriale non a scopo di lucro. Una motivazione “ibrida e flessibile”, caratterizzata da “commitment flessibile ed episodico” (queste le parole dei promotori) può essere la chiave per coinvolgere la vecchia guardia e ingaggiare i soggetti ieri indisponibili. Che significa? Questo modello emergente di “volontariato
post-moderno” (con un bacino nel paese di 3 mln di persone non attive con continuità e un nome che non piace alle associazioni) punta a convertire gli “inattivi” attraverso il volano di un’esperienza forte, eccezionale, fuori dal comune. Expo 2015 era il treno da prendere per organizzare quest’accelerazione. Il susseguirsi di questi meeting a cavallo tra politica, terzo settore ed accademia ne offrono la stampella teorica ed ideologica.
Porre al centro del messaggio di reclutamento i significati più individualisti, edonisti, consumisti del volontariato e restringere l’immaginario di volontariato come azione civica” si legge alla voce rischi/opportunità in uno dei report segnalati e ancora “volontariato per grandi eventi possa costituire, per questa fascia d’età, una forma breve di gap year, ovvero di riempimento di un tempo altrimenti non utilizzato”. Ancora una volta, nel quadro della sforbiciata ai costi (lavoro e spesa pubblica), la ricerca di “risorse umane passive" diviene strategica a copertura di ruoli di subordinazione, umana prima che contrattuale, nonché architrave del discorso “etico” della valorizzazione delle skills come della responsabilità sociale d’impresa.
All’epoca della precarietà a tempo indeterminato del jobs act, del lavoro non retribuito attraverso alternanza scuola-lavoro e stage curricolari, della fuga di cervelli e dell’insicurezza che colpisce chi ha un lavoro precario (sottopagato, pericoloso, senza diritti né tutele, senza possibilità di progetti futuri e maternità, a cottimo, desindacalizzato…) c’è chi ancora pensa che la proposta migliore per noi tutte e tutti sia farci lavorare gratis con il sogno di aumentare la cerchia di relazioni, di fare righe sul curriculum, di accrescere le nostre esperienze. Il fatto che queste tre risposte (vincenti nel questionario!) replichino il claim della campagna che convocava al reclutamento non sfiora in nessun modo i nostri ricercatori.
Qui nessuno pensa che indicare la via per il cesso a un turista giapponese o suggerire il miglior sushi take-away al lato destro dello stand nestlè sia un’esperienza formativa. Qui nessuno pensa che aver lavorato senza busta paga sia un credito per ottenere un posto di lavoro degno. Qui nessuno pensa che la “cornice di divertimento” giustifichi l’assenza di un bilancio economico dei soldi risparmiati grazie allo sforzo, al tempo, all’intelligenza di migliaia di ragazze e ragazzi, ne’ che sia stato serio NON fare un’indagine sulle motivazioni di quanti nemmeno si sono sognati di prendere parte a questo carrozzone per comprenderne le motivazioni. Un campo di ricerca non sondato perché troppo scivoloso, un po’ come quello dell’indagine sulla validità del percorso formativo dei volontari Expo.
La vostra odierna giustificazione teorica e culturale alla costruzione di un esercito di riserva, ieri sdoganato da Expo, domani disponibile al servizio dell’impresa nelle municipalità del paese, è la degna continuazione di quell’economia della promessa che vede nel grande-evento la punta di un iceberg di sfruttamento medievale, altro che welfare di comunità e volontariato post-moderno. Se il nostro impegno (anche quando dequalificato e demansionato) genera valore, e se il valore non è al servizio della comunità ma dell’impresa e della sua narrazione, vogliamo oggi ricordarvi un concetto limpido nella sua semplicità:
IL LAVORO SI PAGA, SEMPRE.


Lab. Off Topic

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