trovo e volentieri pubblico. un cambio epocale nel paradigma del mondo del Lavoro e della Ricattabilità, termine ormai più appropriato per definire il contemporaneo concetto di lavoro.
Sì,
è lungo. No, non è un volantino. Sono alcuni appunti che
chiariscono perché siamo qui, da dove veniamo e quali contraddizioni
(e collusioni) denunciamo oggi, a due passi e tre spanne dal Convegno
sul volontariato post-moderno.
Breve preambolo
In principio era il volontariato: tempo, passione, attività non
remunerati perché prestati ad una organizzazione non profit o
comunque orientati da un criterio etico e solidaristico. Era
un’attività spesso mediata da associazioni attive nel territorio e
nella comunità che ha caratterizzato in maniera fortissima la vita
sociale del paese (ambientalismo, circoli Arci, fenomeni migratori,
sport popolare…) specialmente in relazione ai nuovi movimenti
sociali sviluppatisi nella seconda metà del secolo scorso, anche se
il tutto affonda le radici in attività filantropiche e cooperative
di mutuo soccorso (senza dire di partiti e parrocchie) ben più
longeve.
Gli anni Duemila ci consegnano un panorama profondamente mutato
dell’attivazione sociale. Da una parte una perdita di spinta,
credibilità e indipendenza delle esperienze storiche, dall’altra
un processo di alleggerimento coatto del welfare che ha aperto
a forme di sussidiarietà formale e informale. Il volontariato, il
lavoro cooperativo e precario, hanno operato, spesso in contesti
fragili ed emergenziali, puntellando sul territorio l’assenza di
trasparenza, finanziamenti e politiche. Mentre partiti e circoli,
associazioni ambientaliste e sindacati, ripiegano su sé stessi,
anche la generosità della militanza galleggia in acque insicure, va
detto tutto.
Il volano di Expo 2015 e l’affaire “volontari”
E’ possibile che la parola fine in calce ai conti dell’esposizione
universale, non venga mai vergata con chiarezza, poco male. Quel che
è certo, ben oltre il balletto delle cifre sul solo
anno 2015, è che la mega-macchina di Expo 2015 si regge su 1,3 mld
di fondi pubblici stanziati a fondo perduto (e non conteggiati nel
bilancio annuale), su almeno 6000 volontari che hanno lavorato senza
alcuna retribuzione per un paio di settimane all’interno del sito
espositivo, sulla valorizzazione immobiliare privata di 1,5 mln di mq
di superficie verde fino a un lustro fa, sulla crisi di un numero
importante di fornitori mai pagati, sull’economia del debito delle
grandi opere sdoganate dall’evento e oggi in profondissima crisi,
su tutte BreBeMi e Pedemontana (le cui iniezioni di liquidità a
colpi di extracosti e defiscalizzazioni non tapperanno il buco).
Nel luglio 2013 sindacati confederali e Expo 2015 S.p.A. firmano un
accordo per l’utilizzo di 18500 volontari, leggi anche lavoratori
non retribuiti, all’interno del semestre espositivo. Era già
accaduto in tono minore con le olimpiadi invernali torinesi ma questa
volta i numeri sono importanti ed Expo 2015 è notoriamento una
società per azioni, non una onlus che si occupa di sovranità e
giustizia alimentare. Il Comune di Milano prende atto, ringrazia e ci
mette del suo con il flirt della campagna” Volontari per un
giorno”. Dai posti di comando ringraziano, se la cosa funziona si
potrebbe quasi ipotizzare un cambio di poltrona al termine del
mandato Pisapia (immaginate un commissario straordinario che comincia
a fare il super-sindaco a tre anni dalla tornata elettorale!).
Passano 500 giorni, il battage promozionale con convenzioni che
spaziano dalle scolaresche (centinaia di migliaia i piccoli usati per
corroborare le deludenti cifre) agli atenei passando per coop,
imprese e inps non c’è rischio di non avere un biglietto
promozionale per fare ingresso al party...eppure i volontari non ci
sono. La società ammetterà più avanti che “non ne servivano così
tanti”. A Expo conclusa si parlerà di 6000 volontari cui si
sommano le cifre mai dichiarate dei paesi partecipanti (solo il
padiglione dell’UE è nel conto).
Nel frattempo il sito apre e arrivano i 500 fogli di via comminati in
via del tutto aleatoria dalla questura di Milano nel silenzio e
nell’indifferenza di tutti i soggetti coinvolti nell’operazione
(sindacalismo confederale con timidissime eccezioni, fondazione
triulza, associazioni di reclutamento volontari, media..) e accade
che gli unici ad aver suggerito la scorrettezza della scommessa siano
tenuti fuori dalla festa. Il 31 ottobre 2015 la kermesse si svuota
con qualche milioncino di visitatori in meno dei 24 previsti
(inizialmente dovevano essere 30, non si arriverà a 19) e di
volontariato, almeno dopo la benemerenza civica in occasione
dell’Ambrogino D’oro, non si sente più parlare.
Il lavoro non retribuito all’epoca del volontariato post-moderno.
No
un attimo, qualche giorno prima, il 20 ottobre, proprio in Cascina
Triulza va in scena "Un
nuovo approccio al Volontariato: grandi eventi e partecipazione
attiva".
Dai questionari online e da ben 30 (!) interviste realizzate, viene
anticipata la pubblicazione di studi e report utili a interpretare il
fatto nuovo: il volontariato episodico, al servizio di grandi e
piccoli eventi.
L’equipe
di ricerca interdisciplinare composta da parecchi dei relatori di
questo pomeriggio pubblicherà nei mesi seguenti il testo dal
sottotitolo “chi
sono i volontari di Expo 2015 e come capitalizzare il loro impegno”
e ancora “una
fotografia dei volontari di Expo 2015”.
Il filone di studio rimbalza allegramente dai siti del network dei
CSV, centri di servizio al volontariato, e a Roma si tiene un primo
convegno sul tema, tra i relatori spiccano pure gli amanti del decoro
di “Retake”.
In
sintesi estrema: il volontariato classico non tira più, sempre meno
giovani e non, specie nella cornice della crisi, s’imbarcano in un
impegno continuativo e valoriale non a scopo di lucro. Una
motivazione “ibrida e flessibile”, caratterizzata da “commitment
flessibile ed episodico” (queste le parole dei promotori) può
essere la chiave per coinvolgere la vecchia guardia e ingaggiare i
soggetti ieri indisponibili. Che significa? Questo modello emergente
di “volontariato
post-moderno”
(con un bacino nel paese di 3 mln di persone non attive con
continuità e un nome che non piace alle associazioni) punta a
convertire gli “inattivi” attraverso il volano di un’esperienza
forte, eccezionale, fuori dal comune. Expo 2015 era il treno da
prendere per organizzare quest’accelerazione. Il susseguirsi di
questi meeting a cavallo tra politica, terzo settore ed accademia ne
offrono la stampella teorica ed ideologica.
“Porre
al centro del messaggio di reclutamento i significati più
individualisti, edonisti, consumisti del volontariato e restringere
l’immaginario di volontariato come azione civica” si legge alla
voce rischi/opportunità in uno dei report segnalati e ancora
“volontariato per grandi eventi possa costituire, per questa fascia
d’età, una forma breve di gap year, ovvero di riempimento di un
tempo altrimenti non utilizzato”. Ancora una volta, nel quadro
della sforbiciata ai costi (lavoro e spesa pubblica), la ricerca di
“risorse umane passive" diviene strategica a copertura di
ruoli di subordinazione, umana prima che contrattuale, nonché
architrave del discorso “etico” della valorizzazione delle skills
come della responsabilità sociale d’impresa.
All’epoca
della precarietà a tempo indeterminato del jobs act, del lavoro non
retribuito attraverso alternanza scuola-lavoro e stage curricolari,
della fuga di cervelli e dell’insicurezza che colpisce chi ha un
lavoro precario (sottopagato, pericoloso, senza diritti né tutele,
senza possibilità di progetti futuri e maternità, a cottimo,
desindacalizzato…) c’è chi ancora pensa che la proposta migliore
per noi tutte e tutti sia farci lavorare gratis con il sogno di
aumentare la cerchia di relazioni, di fare righe sul curriculum, di
accrescere le nostre esperienze. Il fatto che queste tre risposte
(vincenti nel questionario!) replichino il claim
della
campagna che convocava al reclutamento non sfiora in nessun modo i
nostri ricercatori.
Qui
nessuno pensa che indicare la via per il cesso a un turista
giapponese o suggerire il miglior sushi take-away
al
lato destro dello stand nestlè sia un’esperienza formativa. Qui
nessuno pensa che aver lavorato senza busta paga sia un credito per
ottenere un posto di lavoro degno. Qui nessuno pensa che la “cornice
di divertimento” giustifichi l’assenza di un bilancio economico
dei soldi risparmiati grazie allo sforzo, al tempo, all’intelligenza
di migliaia di ragazze e ragazzi, ne’ che sia stato serio NON fare
un’indagine sulle motivazioni di quanti nemmeno si sono sognati di
prendere parte a questo carrozzone per comprenderne le motivazioni.
Un campo di ricerca non sondato perché troppo scivoloso, un po’
come quello dell’indagine sulla validità del percorso formativo
dei volontari Expo.
La
vostra odierna giustificazione teorica e culturale alla costruzione
di un esercito di riserva, ieri sdoganato da Expo, domani disponibile
al servizio dell’impresa nelle municipalità del paese, è la degna
continuazione di quell’economia della promessa che vede nel
grande-evento la punta di un iceberg di sfruttamento medievale, altro
che welfare di comunità e volontariato post-moderno. Se il nostro
impegno (anche quando dequalificato e demansionato) genera valore, e
se il valore non è al servizio della comunità ma dell’impresa e
della sua narrazione, vogliamo oggi ricordarvi un concetto limpido
nella sua semplicità:
IL LAVORO SI PAGA, SEMPRE.
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