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domenica 30 ottobre 2016
da Casorezzo. Inaugurazione Biblioteca e festa
venerdì 28 ottobre 2016
Comunicato a blog unificati. 3 in uno. si, no, ttip.
Comunicato a blog unificati
separare dividere assottigliare,
discriminare
la politca è società, l'arte è
società, la storia è società
Ma cos'è società?
Certo non una spa,
o meglio non solo e nemmeno un altra
azione giuridica,
dei funerali del Maestro Dario Fo, quel
che ha colpito, è stata ancora, la solita corsa a frammentare e
dividere:
puoi far arte, ma non politica, se fai
politica, metti da parte l'arte, e poi, se ci scappa l'economia,
allora, ahi ahi, vai via!
Ragion per cui, i due blog, gibo7 e gilbertorossid non han “monetizzazioni”, ovvero quel meccanismo che darebbe ipotetiche remunerazioni e rimangono come un solco di luce/energia nell'etere del web
Ragion per cui, i due blog, gibo7 e gilbertorossid non han “monetizzazioni”, ovvero quel meccanismo che darebbe ipotetiche remunerazioni e rimangono come un solco di luce/energia nell'etere del web
ad uso e consumo di chi vuole, se
vuole.
Pensiero della notte, aprir una
libreria
e il mio intervento sul TTIP, dopo due
brevissimi saluti alle iniziative referendarie, una sul Si con la
mitica Patrizia Toia e i sempreverdi amici dei DS, già PC e
margehrita, già popolari e democristiani, ora PD, in quel di Ossona
e l'altra per il no, con altri amici e compagni di vecchia data in
quel di Magenta e poi, quasi volando, a Rho, per una serata promossa
dai gruppi di acquisto solidale (i GAS!) sul TTIP
ricapitolando, solo con gli acronimi e
sigle, ci sarebbe da far impazzire un Tony Buzan della memoria!
Ma arriviamo ai concetti, e perchè, lo
devo agli organizzatori degli eventi, sono passato e scivolato fino
al convegnoincontro sul TTIP
il tema di fondo, è sempre lo stesso:
la società, quale idea, quale forma e perchè?
una parola da mettere avanti
PROPEDEUTICITA'
non puoi far questo, se prima non fai
quello
conoscere la storia, gli ingredienti
della storia, la forma di “cottura” e interpretazione e
rielaborazione della storia, con occhi economici, microeconomici e
marcoeconomici, ma senza scordarsi quelli geopolitici e senza scordar
quelli geografici, poi, condiamoli con letteratura, teologia e
semiologia, senza farci mancare un briciolo di antropologia,
riforma costituzionale!
Le ragioni del si, perchè il tempo
passa, e.. perchè ho fatto un seminario di 4 lezioni con vari
politologi europei e siamo ancora li, concludevano loro stessi, che
forse, le costituzioni, son prima da applicare, prima di cambiarle,
però, almeno se ne parla.
Le ragioni del no, come detto sopra,
forse sarebbero da applicare, e almeno parlarne
scusandomi, non voglio banalizzare ma
voglio arrivare alla sintesi del post; e si, tesi, antitesi e
sintesi; con la citazione teologica direi, quasi sincretico!
Ttip, perchè puoi parlare di riso e
pasta, o anche di minestra, ma se poi di legge, ti impongono solo la
bistecca, hai voglia a parlar del primo, che questi l'han già
cancellato e pensano solo al secondo (e a chi lo vende e serve e ci guadagna)
Ragion per cui, parlar d'Europa, di
Politica, in quel di un consiglio comunale, non è distrazione ma la
cosa più importante e nobile, magari, complessa e difficile, ma si
studia per affrontare e superare queste complessità e perchè a quello si è chiamati, e in teoria votati, non per simpatia e accondiscendenza, ma si direbbe "competenza".
TTIP una sorta di costituzione
mondiale.
Un concetto da riprendere, visto che le
leggi, non arrivano da altri pianeti (forse si, ma qua si apre il
filone esopolitico che tratterò nel futuro blog, “gibo
nell'iperspazio”) e quindi ri-citare il vecchio saggio che
sentenziava:
le leggi sono la “cristallizzazione dei rapporti di
forza tra i soggetti che si contendono il predominio” onde evitarne
guerre e violenze.
Più che cercar di narrar verità, ho
cercato musicalità nelle parole e nei versi.
Mica vi posso togliere il gusto di recarVi in biblioteca a cercar fior di volumi e saggi!
A voi, la favola dell'impegno civico,
in versione youtube (Eco scriveva cose assai interessanti su questo
cyberspazio, e vi invito alla sua lettura; tra l'alto molto
divertenti)
(ovviamnete scorrendo nelle pagine web dei blog torvate approfondimenti e video, per questo non riassumo in un articoletto i vari temi accennati; solo sul ttip, mi pare, di aver registrato circa 6 ore di interventi, e sulla costituzione in rete ne trovate molte di più; un solo consiglio, seguire gli argomenti e la democrazia, serve per la democrazia, l'economia per l'economia e via di seguito, chi tende a confonderli, forse ha qualche interesse che nasconde)
A mille...
sul TTIP materiale video di questi anni intensi
un post, come boa nel mare magnum del web, per andare ad archiviare i vari video delle iniziative messe in essere per informare sul TTIP
Cos’è il TTIP
Il TTIP è un trattato di liberalizzazione commerciale transatlantico che ha l’intento dichiarato di modificare regolamentazioni e standard (le cosiddette “barriere non tariffarie”) e di abbattere dazi e dogane tra Europa e Stati Uniti rendendo il commercio più fluido e penetrante tra le due sponde dell’oceano.
giovedì 27 ottobre 2016
sul volontariato e il lavoro non pagato. una confusione creata a tavolino
trovo e volentieri pubblico. un cambio epocale nel paradigma del mondo del Lavoro e della Ricattabilità, termine ormai più appropriato per definire il contemporaneo concetto di lavoro.
Sì,
è lungo. No, non è un volantino. Sono alcuni appunti che
chiariscono perché siamo qui, da dove veniamo e quali contraddizioni
(e collusioni) denunciamo oggi, a due passi e tre spanne dal Convegno
sul volontariato post-moderno.
Breve preambolo
In principio era il volontariato: tempo, passione, attività non
remunerati perché prestati ad una organizzazione non profit o
comunque orientati da un criterio etico e solidaristico. Era
un’attività spesso mediata da associazioni attive nel territorio e
nella comunità che ha caratterizzato in maniera fortissima la vita
sociale del paese (ambientalismo, circoli Arci, fenomeni migratori,
sport popolare…) specialmente in relazione ai nuovi movimenti
sociali sviluppatisi nella seconda metà del secolo scorso, anche se
il tutto affonda le radici in attività filantropiche e cooperative
di mutuo soccorso (senza dire di partiti e parrocchie) ben più
longeve.
lunedì 24 ottobre 2016
Aleida Guevara a Magenta 23 ottobre 2016
Il video integrale dell'intervento della Dottoressa Aleida Guevara a Magenta
domenica 23 ottobre 2016
domenica 16 ottobre 2016
Al Maestro e Premio Nobel Dario Fo Milano 15 ottobre 2016
Milano saluta Dario Fo
il saluto della Banda degli ottoni a scoppio
la società dello spettacolo. 2 la merce come spettacolo
CAPITOLO 2: LA MERCE COME SPETTACOLO
Perché è solo come categoria universale dell'essere sociale totale che la merce può essere compresa nella sua essenza autentica. E' solo in questo contesto che la reificazione, sorta dal rapporto mercantile, acquisisce un significato decisivo, sia per l'evoluzione oggettiva della società che per l'atteggiamento degli uomini al suo riguardo, per la sottomissione della loro coscienza alle forme nelle quali tale reificazione si esprime... Questa sottomissione viene ancor più accentuata dal fatto che più la razionalizzazione e la meccanizzazione del processo lavorativo aumentano, più l'attività del lavoratore perde il suo carattere di attività per divenire una attitudine contemplativa. Lukàcs , Storia e coscienza di classe
35. In questo movimento essenziale dello spettacolo, che consiste nel riprendere in sé tutto ciò che esisteva nell'attività umana allo stato fluido, per possederlo allo stato coagulato, in quanto cose che sono divenute valore esclusivo per la loro formulazione in negativo del valore vissuto, riconosciamo la nostra vecchia nemica che sa così bene apparire nell'immediato come qualcosa di triviale e di evidente, mentre al contrario è così complessa e colma di sottigliezze metafisiche: la merce.
36. E' il principio del feticismo della merce, il dominio della società attraverso "cose sovrasensibili in quanto sensibili" che si realizza in modo assoluto nello spettacolo, dove il mondo sensibile si trova sostituito da una selezione di immagini che esiste al di sopra di esso, e che nello stesso tempo si fa riconoscere come il sensibile per eccellenza.
37. E' il mondo contemporaneamente presente e assente che lo spettacolo fa vedere, il mondo della merce che domina su tutto ciò che è vissuto. E il mondo della merce è così mostrato come è, perché il suo movimento è identico all'allontanamento degli uomini tra loro e rispetto al loro prodotto globale.
38. La perdita della qualità, così evidente a tutti i livelli del linguaggio spettacolare, degli oggetti che loda e delle condotte che regola, non fa che tradurre i caratteri fondamentali della produzione reale che scarta la realtà: la forma-merce è da parte a parte l'uguaglianza a se stessa, la categoria quantitativa. E' il quantitativo che essa sviluppa e non può che svilupparsi in esso.
39. Questo sviluppo che esclude il qualitativo è esso stesso sottomesso, in quanto sviluppo, al passaggio qualitativo: lo spettacolo significa che è andato oltre la soglia della propria abbondanza. Ciò non è ancora localmente vero che su qualche punto, ma è già vero al livello universale che costituisce il piano di riferimento originale della merce, riferimento che il suo movimento pratico ha determinato, unificando la Terra come mercato mondiale.
40. Lo sviluppo delle forze produttive è stato la vera storia inconscia che ha costituito e modificato le condizioni d'esistenza dei gruppi umani, in quanto condizioni di sopravvivenza e ampliamento di queste condizioni: la base economica di tutte le loro imprese. Il settore della merce ha rappresentato, all'interno di un'economia naturale, la costituzione di un surplus della sopravvivenza. La produzione delle merci, che implica lo scambio di prodotti diversi fra produttori indipendenti, ha potuto rimanere a lungo artigianale, contenuta in una funzione economica marginale in cui la sua verità quantitativa è ancora mascherata. Tuttavia, là dove essa ha incontrato le condizioni sociali del grande commercio e dell'accumulazione di capitali, ha conquistato il dominio totale dell'economia. L'economia tutta intera è diventata allora ciò che la merce aveva mostrato d'essere nel corso di tale conquista: un processo di sviluppo quantitativo. Questo incessante sviluppo della potenza economica sotto forma di merce, che ha trasfigurato il lavoro umano in lavoro-merce, in salariato, porta cumulativamente a un'abbondanza nella quale la questione primaria della sopravvivenza è senza dubbio risolta, ma in modo tale che deve sempre riproporsi; essa è ogni volta posta di nuovo a un livello superiore. La crescita economica libera le società dalla pressione naturale che esigeva la loro lotta immediata per la sopravvivenza, ma allora è dal loro liberatore che esse non sono liberate. L'indipendenza della merce si è estesa all'insieme dell'economia sulla quale domina. L'economia trasforma il mondo, ma lo modifica solo in mondo dell'economia. La pseudonatura, nella quale il lavoro umano si è alienato, esige di proseguire all'infinito il suo servizio, e questo servizio, che essendo giudicato e assolto se non da se stesso, ottiene infatti la totalità degli sforzi e dei progetti socialmente leciti, come suoi servitori. L'abbondanza delle merci, vale a dire del rapporto mercantile, non può più essere altro che la sopravvivenza aumentata.
41. Il dominio della merce si è inizialmente esercitato anzitutto in maniera occulta sull'economia, la quale, in quanto base materiale della vita sociale, restava indistinguibile e incompresa, come il familiare che non è tuttavia conosciuto. In una società in cui la merce concreta resta rara o minoritaria, si afferma il dominio apparente del denaro che si presenta come l'emissario munito di pieni poteri che parla a nome di una potenza sconosciuta. Con la rivoluzione industriale, la divisione manifatturiera del lavoro e la produzione massiva per il mercato mondiale, la merce appare effettivamente come una potenza che va realmente ad occupare la vita sociale. E' allora che si costituisce l'economia politica come scienza del dominio.
42. Lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all'occupazione totale della vita sociale. Non solo il rapporto con la merce è visibile, ma non si vede altro che quello: il mondo che si vede è il suo mondo. La produzione economica moderna estende la propria dittatura estensivamente e intensivamente, Nelle zone meno industrializzate, il suo dominio è già presente con qualche mercevedette e in quanto dominio imperialistico presente nelle zone che sono in testa nello sviluppo della produttività. In queste zone avanzate, lo spazio sociale è invaso dalla sovrapposizione continua di strati geologici di merci. A questo punto "della seconda rivoluzione industriale", il consumo alienato diviene per la massa un dovere supplementare alla produzione alienata. E' tutto il lavoro venduto di una società che diviene globalmente la merce totale, il cui ciclo deve proseguire. Per fare ciò, bisogna che questa merce totale ritorni frammentariamente all'individuo frammentario, assolutamente separato dalle forze produttive operanti come un insieme. E' dunque qui che la scienza specializzata del dominio deve specializzarsi a sua volta: ed essa si segmenta in sociologia, psicotecnica, cibernetica, semiologia ecc., presiedendo all'autoregolazione di tutti i livelli del processo.
43. Mentre nella fase primitiva dell'accumulazione capitalistica "l'economia politica non vede nel proletario che l'operaio", ovvero colui che deve ricevere il minimo indispensabile per la conservazione della propria forza-lavoro, senza mai considerarlo "nei suoi svaghi e nella sua umanità", questa posizione delle idee della classe dominante si inverte nel momento in cui il grado d'abbondanza raggiunto nella produzione delle merci esige un surplus di collaborazione da parte dell'operaio. Questo operaio subito lavato dal disprezzo totale che gli è chiaramente manifestato attraverso tutte le modalità di organizzazione e di sorveglianza della produzione, si ritrova ogni giorno al di fuori di essa, apparentemente trattato come una grande persona, con una premurosa cortesia, sotto il travestimento del consumatore. Allora l'umanesimo della merce prende in carico "gli svaghi e l'umanità" del lavoratore, semplicemente perché l'economia politica può e deve ora dominare queste sfere in quanto economia politica. Così "il rinnegamento compiuto dell'uomo" ha saturato la totalità dell'esistenza umana.
44. Lo spettacolo è una permanente guerra dell'oppio per far accettare l'identificazione dei beni con le merci, e della soddisfazione con la sopravvivenza aumentata secondo le proprie leggi.
Ma se la sopravvivenza consumabile è qualcosa che deve sempre aumentare, è perché essa non cessa di contenere la privazione. Se non c'è nessuno al di là della sopravvivenza aumentata, nessun punto dove potrebbe terminare la sua crescita, è perché non è essa stessa al di là della privazione, ma è la privazione stessa divenuta più ricca.
45. Con l'automazione, che è nello stesso tempo il settore più avanzato dell'industria moderna e il modello in cui si riassume perfettamente la sua pratica, bisogna che il mondo della merce superi questa contraddizione: la strumentazione tecnica, che sopprime obiettivamente il lavoro, deve nel contempo conservare il lavoro come merce e solo luogo di nascita della merce. Perché l'automazione, o ogni altra forma meno estrema dell'aumento della produttività del lavoro, non diminuisca effettivamente il tempo di lavoro sociale necessario su scala sociale, è necessario creare dei nuovi impieghi. Il settore terziario, i servizi, costituiscono l'immenso sviluppo di un piano strategico dell'esercito della distribuzione e dell'elogio delle merci attuali; mobilitazione di forze supplementari in opportuna corrispondenza, nell'artificiosità stessa dei bisogni relativi a tali merci, con la necessità di una tale organizzazione del dopo-lavoro.
46. Il valore di scambio ha potuto formarsi solo come agente del valore d'uso, ma la sua vittoria con armi proprie ha creato le condizioni del suo dominio autonomo. Mobilitando ogni uso umano e guadagnando il monopolio del suo soddisfacimento, ha finito per dirigere l'uso. Il processo di scambio si è identificato con ogni uso possibile e l'ha ridotto alla sua mercé. Il valore di scambio è il condottiero del valore d'uso, che finisce per condurre la guerra per proprio conto.
47. Questa costante dell'economia capitalistica che rappresenta la caduta tendenziale del valore d'uso sviluppa una nuova forma di produzione all'interno della sopravvivenza aumentata, la quale non si è affatto affrancata dall'antica penuria, poiché esige la partecipazione della grande maggioranza degli uomini, come lavoratori salariati, al proseguimento infinito del suo sforzo, e che ciascuno sappia che vi si deve sottomettere o morire. E' la realtà di questo ricatto, il fatto che l'uso sotto la sua forma più povera (mangiare, abitare) non esiste più se non imprigionato nella ricchezza illusoria della sopravvivenza aumentata, è questa la base reale dell'accettazione dell'illusione in generale nel consumo delle merci moderne. Il consumatore reale diviene consumatore di illusioni. La merce è questa illusione effettivamente reale, e lo spettacolo la sua manifestazione generale.
48. Il valore d'uso, che era implicitamente contenuto nel valore di scambio, dev'essere ora esplicitamente proclamato, nella realtà invertita dello spettacolo, perché la sua realtà effettiva è erosa dall'economia mercantile sovrasviluppata e perché una pseudogiustificazione diviene necessaria alla vita falsa.
49. Lo spettacolo è l'altra faccia del denaro: l'equivalente generale astratto di tutte le merci. Ma se il denaro ha dominato la società in quanto rappresentazione dell'equivalenza centrale, cioè del carattere di scambio dei beni multipli il cui uso rimaneva incomparabile, lo spettacolo è il suo complemento moderno, sviluppato dove la totalità del mondo mercantile appare in blocco, come un'equivalenza generale di ciò che l'insieme della società può essere e fare. Lo spettacolo è il denaro che si guarda soltanto, perché già in esso è compresa la totalità dell'uso che si è scambiata contro la totalità della rappresentazione astratta. Lo spettacolo non è solo il servitore dello pseudouso, è già in se stesso lo pseudouso della vita.
50. Il risultato concentrato del lavoro sociale, nel momento dell'abbondanza economica, diviene apparente e sottomette ogni realtà all'apparenza, che è ora il suo prodotto. Il capitale non è più il centro invisibile che dirige il modo della produzione: la sua accumulazione lo espande fino alla periferia sotto forma di oggetti sensibili. Tutta l'estensione della società è il suo ritratto.
51. La vittoria dell'economia autonoma dev'essere, nello stesso tempo, la sua sconfitta. Le forze che ha scatenato sopprimono la necessità economica che è stata la base immutabile delle società antiche. Quando essa la rimpiazza con la necessità dello sviluppo economico infinito, essa non può che rimpiazzare il soddisfacimento dei primi bisogni umani sommariamente riconosciuti, con una fabbricazione ininterrotta di pseudobisogni che si riconducono tutti al solo pseudobisogno del mantenimento del suo dominio. Ma l'economia autonoma si separa per sempre dal suo bisogno profondo, nella misura stessa in cui esce dall'inconscio sociale, da cui essa dipendeva senza saperlo. "Tutto ciò che è conscio si consuma. Ciò che è inconscio resta inalterabile. Ma una volta liberato, non cade in rovina a sua volta?" (S. Freud)
52. Nel momento in cui la società scopre che essa dipende dall'economia, l'economia di fatto dipende da essa. Questa potenza sotterranea che si è accresciuta fino ad apparire sovrana, ha in tal modo perduto la sua potenza. Là dove c'era l'es economico, deve venire l'io. Il soggetto non può emergere che dalla società, cioè dalla lotta che è in essa stessa. La sua esistenza possibile è sospesa ai risultati della lotta di classe che si rivela come il prodotto e il produttore della fondazione economica della storia.
53. La coscienza del desiderio e il desiderio della coscienza sono identicamente questo progetto che, nella sua forma negativa, vuole l'abolizione delle classi, cioè il controllo diretto dei lavoratori su tutti i momenti della loro attività. Il suo contrario è la società dello spettacolo, in cui la merce contempla se stessa in un mondo che essa ha creato.
Perché è solo come categoria universale dell'essere sociale totale che la merce può essere compresa nella sua essenza autentica. E' solo in questo contesto che la reificazione, sorta dal rapporto mercantile, acquisisce un significato decisivo, sia per l'evoluzione oggettiva della società che per l'atteggiamento degli uomini al suo riguardo, per la sottomissione della loro coscienza alle forme nelle quali tale reificazione si esprime... Questa sottomissione viene ancor più accentuata dal fatto che più la razionalizzazione e la meccanizzazione del processo lavorativo aumentano, più l'attività del lavoratore perde il suo carattere di attività per divenire una attitudine contemplativa. Lukàcs , Storia e coscienza di classe
35. In questo movimento essenziale dello spettacolo, che consiste nel riprendere in sé tutto ciò che esisteva nell'attività umana allo stato fluido, per possederlo allo stato coagulato, in quanto cose che sono divenute valore esclusivo per la loro formulazione in negativo del valore vissuto, riconosciamo la nostra vecchia nemica che sa così bene apparire nell'immediato come qualcosa di triviale e di evidente, mentre al contrario è così complessa e colma di sottigliezze metafisiche: la merce.
36. E' il principio del feticismo della merce, il dominio della società attraverso "cose sovrasensibili in quanto sensibili" che si realizza in modo assoluto nello spettacolo, dove il mondo sensibile si trova sostituito da una selezione di immagini che esiste al di sopra di esso, e che nello stesso tempo si fa riconoscere come il sensibile per eccellenza.
37. E' il mondo contemporaneamente presente e assente che lo spettacolo fa vedere, il mondo della merce che domina su tutto ciò che è vissuto. E il mondo della merce è così mostrato come è, perché il suo movimento è identico all'allontanamento degli uomini tra loro e rispetto al loro prodotto globale.
38. La perdita della qualità, così evidente a tutti i livelli del linguaggio spettacolare, degli oggetti che loda e delle condotte che regola, non fa che tradurre i caratteri fondamentali della produzione reale che scarta la realtà: la forma-merce è da parte a parte l'uguaglianza a se stessa, la categoria quantitativa. E' il quantitativo che essa sviluppa e non può che svilupparsi in esso.
39. Questo sviluppo che esclude il qualitativo è esso stesso sottomesso, in quanto sviluppo, al passaggio qualitativo: lo spettacolo significa che è andato oltre la soglia della propria abbondanza. Ciò non è ancora localmente vero che su qualche punto, ma è già vero al livello universale che costituisce il piano di riferimento originale della merce, riferimento che il suo movimento pratico ha determinato, unificando la Terra come mercato mondiale.
40. Lo sviluppo delle forze produttive è stato la vera storia inconscia che ha costituito e modificato le condizioni d'esistenza dei gruppi umani, in quanto condizioni di sopravvivenza e ampliamento di queste condizioni: la base economica di tutte le loro imprese. Il settore della merce ha rappresentato, all'interno di un'economia naturale, la costituzione di un surplus della sopravvivenza. La produzione delle merci, che implica lo scambio di prodotti diversi fra produttori indipendenti, ha potuto rimanere a lungo artigianale, contenuta in una funzione economica marginale in cui la sua verità quantitativa è ancora mascherata. Tuttavia, là dove essa ha incontrato le condizioni sociali del grande commercio e dell'accumulazione di capitali, ha conquistato il dominio totale dell'economia. L'economia tutta intera è diventata allora ciò che la merce aveva mostrato d'essere nel corso di tale conquista: un processo di sviluppo quantitativo. Questo incessante sviluppo della potenza economica sotto forma di merce, che ha trasfigurato il lavoro umano in lavoro-merce, in salariato, porta cumulativamente a un'abbondanza nella quale la questione primaria della sopravvivenza è senza dubbio risolta, ma in modo tale che deve sempre riproporsi; essa è ogni volta posta di nuovo a un livello superiore. La crescita economica libera le società dalla pressione naturale che esigeva la loro lotta immediata per la sopravvivenza, ma allora è dal loro liberatore che esse non sono liberate. L'indipendenza della merce si è estesa all'insieme dell'economia sulla quale domina. L'economia trasforma il mondo, ma lo modifica solo in mondo dell'economia. La pseudonatura, nella quale il lavoro umano si è alienato, esige di proseguire all'infinito il suo servizio, e questo servizio, che essendo giudicato e assolto se non da se stesso, ottiene infatti la totalità degli sforzi e dei progetti socialmente leciti, come suoi servitori. L'abbondanza delle merci, vale a dire del rapporto mercantile, non può più essere altro che la sopravvivenza aumentata.
41. Il dominio della merce si è inizialmente esercitato anzitutto in maniera occulta sull'economia, la quale, in quanto base materiale della vita sociale, restava indistinguibile e incompresa, come il familiare che non è tuttavia conosciuto. In una società in cui la merce concreta resta rara o minoritaria, si afferma il dominio apparente del denaro che si presenta come l'emissario munito di pieni poteri che parla a nome di una potenza sconosciuta. Con la rivoluzione industriale, la divisione manifatturiera del lavoro e la produzione massiva per il mercato mondiale, la merce appare effettivamente come una potenza che va realmente ad occupare la vita sociale. E' allora che si costituisce l'economia politica come scienza del dominio.
42. Lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all'occupazione totale della vita sociale. Non solo il rapporto con la merce è visibile, ma non si vede altro che quello: il mondo che si vede è il suo mondo. La produzione economica moderna estende la propria dittatura estensivamente e intensivamente, Nelle zone meno industrializzate, il suo dominio è già presente con qualche mercevedette e in quanto dominio imperialistico presente nelle zone che sono in testa nello sviluppo della produttività. In queste zone avanzate, lo spazio sociale è invaso dalla sovrapposizione continua di strati geologici di merci. A questo punto "della seconda rivoluzione industriale", il consumo alienato diviene per la massa un dovere supplementare alla produzione alienata. E' tutto il lavoro venduto di una società che diviene globalmente la merce totale, il cui ciclo deve proseguire. Per fare ciò, bisogna che questa merce totale ritorni frammentariamente all'individuo frammentario, assolutamente separato dalle forze produttive operanti come un insieme. E' dunque qui che la scienza specializzata del dominio deve specializzarsi a sua volta: ed essa si segmenta in sociologia, psicotecnica, cibernetica, semiologia ecc., presiedendo all'autoregolazione di tutti i livelli del processo.
43. Mentre nella fase primitiva dell'accumulazione capitalistica "l'economia politica non vede nel proletario che l'operaio", ovvero colui che deve ricevere il minimo indispensabile per la conservazione della propria forza-lavoro, senza mai considerarlo "nei suoi svaghi e nella sua umanità", questa posizione delle idee della classe dominante si inverte nel momento in cui il grado d'abbondanza raggiunto nella produzione delle merci esige un surplus di collaborazione da parte dell'operaio. Questo operaio subito lavato dal disprezzo totale che gli è chiaramente manifestato attraverso tutte le modalità di organizzazione e di sorveglianza della produzione, si ritrova ogni giorno al di fuori di essa, apparentemente trattato come una grande persona, con una premurosa cortesia, sotto il travestimento del consumatore. Allora l'umanesimo della merce prende in carico "gli svaghi e l'umanità" del lavoratore, semplicemente perché l'economia politica può e deve ora dominare queste sfere in quanto economia politica. Così "il rinnegamento compiuto dell'uomo" ha saturato la totalità dell'esistenza umana.
44. Lo spettacolo è una permanente guerra dell'oppio per far accettare l'identificazione dei beni con le merci, e della soddisfazione con la sopravvivenza aumentata secondo le proprie leggi.
Ma se la sopravvivenza consumabile è qualcosa che deve sempre aumentare, è perché essa non cessa di contenere la privazione. Se non c'è nessuno al di là della sopravvivenza aumentata, nessun punto dove potrebbe terminare la sua crescita, è perché non è essa stessa al di là della privazione, ma è la privazione stessa divenuta più ricca.
45. Con l'automazione, che è nello stesso tempo il settore più avanzato dell'industria moderna e il modello in cui si riassume perfettamente la sua pratica, bisogna che il mondo della merce superi questa contraddizione: la strumentazione tecnica, che sopprime obiettivamente il lavoro, deve nel contempo conservare il lavoro come merce e solo luogo di nascita della merce. Perché l'automazione, o ogni altra forma meno estrema dell'aumento della produttività del lavoro, non diminuisca effettivamente il tempo di lavoro sociale necessario su scala sociale, è necessario creare dei nuovi impieghi. Il settore terziario, i servizi, costituiscono l'immenso sviluppo di un piano strategico dell'esercito della distribuzione e dell'elogio delle merci attuali; mobilitazione di forze supplementari in opportuna corrispondenza, nell'artificiosità stessa dei bisogni relativi a tali merci, con la necessità di una tale organizzazione del dopo-lavoro.
46. Il valore di scambio ha potuto formarsi solo come agente del valore d'uso, ma la sua vittoria con armi proprie ha creato le condizioni del suo dominio autonomo. Mobilitando ogni uso umano e guadagnando il monopolio del suo soddisfacimento, ha finito per dirigere l'uso. Il processo di scambio si è identificato con ogni uso possibile e l'ha ridotto alla sua mercé. Il valore di scambio è il condottiero del valore d'uso, che finisce per condurre la guerra per proprio conto.
47. Questa costante dell'economia capitalistica che rappresenta la caduta tendenziale del valore d'uso sviluppa una nuova forma di produzione all'interno della sopravvivenza aumentata, la quale non si è affatto affrancata dall'antica penuria, poiché esige la partecipazione della grande maggioranza degli uomini, come lavoratori salariati, al proseguimento infinito del suo sforzo, e che ciascuno sappia che vi si deve sottomettere o morire. E' la realtà di questo ricatto, il fatto che l'uso sotto la sua forma più povera (mangiare, abitare) non esiste più se non imprigionato nella ricchezza illusoria della sopravvivenza aumentata, è questa la base reale dell'accettazione dell'illusione in generale nel consumo delle merci moderne. Il consumatore reale diviene consumatore di illusioni. La merce è questa illusione effettivamente reale, e lo spettacolo la sua manifestazione generale.
48. Il valore d'uso, che era implicitamente contenuto nel valore di scambio, dev'essere ora esplicitamente proclamato, nella realtà invertita dello spettacolo, perché la sua realtà effettiva è erosa dall'economia mercantile sovrasviluppata e perché una pseudogiustificazione diviene necessaria alla vita falsa.
49. Lo spettacolo è l'altra faccia del denaro: l'equivalente generale astratto di tutte le merci. Ma se il denaro ha dominato la società in quanto rappresentazione dell'equivalenza centrale, cioè del carattere di scambio dei beni multipli il cui uso rimaneva incomparabile, lo spettacolo è il suo complemento moderno, sviluppato dove la totalità del mondo mercantile appare in blocco, come un'equivalenza generale di ciò che l'insieme della società può essere e fare. Lo spettacolo è il denaro che si guarda soltanto, perché già in esso è compresa la totalità dell'uso che si è scambiata contro la totalità della rappresentazione astratta. Lo spettacolo non è solo il servitore dello pseudouso, è già in se stesso lo pseudouso della vita.
50. Il risultato concentrato del lavoro sociale, nel momento dell'abbondanza economica, diviene apparente e sottomette ogni realtà all'apparenza, che è ora il suo prodotto. Il capitale non è più il centro invisibile che dirige il modo della produzione: la sua accumulazione lo espande fino alla periferia sotto forma di oggetti sensibili. Tutta l'estensione della società è il suo ritratto.
51. La vittoria dell'economia autonoma dev'essere, nello stesso tempo, la sua sconfitta. Le forze che ha scatenato sopprimono la necessità economica che è stata la base immutabile delle società antiche. Quando essa la rimpiazza con la necessità dello sviluppo economico infinito, essa non può che rimpiazzare il soddisfacimento dei primi bisogni umani sommariamente riconosciuti, con una fabbricazione ininterrotta di pseudobisogni che si riconducono tutti al solo pseudobisogno del mantenimento del suo dominio. Ma l'economia autonoma si separa per sempre dal suo bisogno profondo, nella misura stessa in cui esce dall'inconscio sociale, da cui essa dipendeva senza saperlo. "Tutto ciò che è conscio si consuma. Ciò che è inconscio resta inalterabile. Ma una volta liberato, non cade in rovina a sua volta?" (S. Freud)
52. Nel momento in cui la società scopre che essa dipende dall'economia, l'economia di fatto dipende da essa. Questa potenza sotterranea che si è accresciuta fino ad apparire sovrana, ha in tal modo perduto la sua potenza. Là dove c'era l'es economico, deve venire l'io. Il soggetto non può emergere che dalla società, cioè dalla lotta che è in essa stessa. La sua esistenza possibile è sospesa ai risultati della lotta di classe che si rivela come il prodotto e il produttore della fondazione economica della storia.
53. La coscienza del desiderio e il desiderio della coscienza sono identicamente questo progetto che, nella sua forma negativa, vuole l'abolizione delle classi, cioè il controllo diretto dei lavoratori su tutti i momenti della loro attività. Il suo contrario è la società dello spettacolo, in cui la merce contempla se stessa in un mondo che essa ha creato.
mercoledì 12 ottobre 2016
la società dello spettacolo. 1.la divisione perfetta
CAPITOLO 1: LA DIVISIONE PERFETTA
E senza dubbio il nostro tempo... preferisce l'immagine alla cosa, la copia all'originale, la
rappresentazione alla realtà, l'apparenza all'essere... Ciò che per esso è sacro non è che l'illusione,
ma ciò che è profano è la verità. O meglio, il sacro si ingrandisce ai suoi occhi nella misura in cui
al decrescere della verità corrisponde il crescere dell'illusione, in modo tale che il colmo
dell'illusione è anche il colmo del sacro.
(Feuerbach, Prefazione alla seconda edizione de L'essenza del Cristianesimo).
1. L'intera vita delle società, in cui dominano le moderne condizioni di produzione, si annuncia come un immenso accumulo di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione.
2. Le immagini che si sono staccate da ciascun aspetto della vita, si fondono in un unico insieme, in cui l'unità di questa vita non può più essere ristabilita. La realtà considerata parzialmente si dispiega nella propria unità generale in quanto pseudo-mondo a parte, oggetto di sola contemplazione. La specializzazione delle immagini del mondo si ritrova, realizzata, nel mondo dell'immagine resa autonoma, in cui il mentitore mente a se stesso. Lo spettacolo in generale, come inversione concreta della vita, è il movimento autonomo del non-vivente.
3. Lo spettacolo si presenta nello stesso tempo come la società stessa, come parte della società, e come strumento di unificazione. In quanto parte della società, esso è espressamente il settore più tipico che concentra ogni sguardo e ogni coscienza. Per il fatto stesso che questo settore è separato, è il luogo dell'inganno visivo e della falsa coscienza; e l'unificazione che esso realizza non è altro che un linguaggio ufficiale della separazione generalizzata.
4. Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale tra le persone, mediato dalle immagini.
5. Lo spettacolo non può essere compreso come l'abuso di un mondo visivo, il prodotto delle tecniche di diffusione massiva di immagini. Esso è piuttosto una Weltanschauung divenuta effettiva, materialmente tradotta. Si tratta di una visione del mondo che si è oggettivata.
6. Lo spettacolo, compreso nella sua totalità, è nello stesso tempo il risultato e il progetto del modo di produzione esistente. Non è un supplemento del mondo reale, il suo sovrapposto ornamento. Esso è il cuore dell'irrealismo della società reale. Nell'insieme delle sue forme particolari, informazione o propaganda, pubblicità o consumo diretto dei divertimenti, lo spettacolo costituisce il modello presente della vita socialmente dominante. E' l'affermazione onnipresente della scelta già fatta nella produzione, e il suo consumo ne è corollario. Forma e contenuto dello spettacolo sono ambedue l'identica giustificazione totale delle condizioni e dei fini del sistema esistente. Lo spettacolo è anche la presenza permanente di questa giustificazione, in quanto occupazione della parte principale del tempo vissuto al di fuori della produzione moderna.
7. La separazione fa parte essa stessa dell'unità del mondo, della prassi sociale globale, che si è scissa in realtà e in immagine. La pratica sociale, di fronte alla quale si pone lo spettacolo autonomo, è anche la totalità reale che contiene lo spettacolo. Ma la scissione in questa totalità la mutila al punto da far apparire lo spettacolo come il suo scopo. Il linguaggio dello spettacolo è strutturato con i segni della produzione imperante, che sono nello stesso tempo la finalità ultima di questa produzione.
8. Non si possono opporre astrattamente lo spettacolo e l'attività sociale effettiva; questo sdoppiamento è esso stesso sdoppiato. Lo spettacolo che inverte il reale è effettivamente prodotto. E nello stesso tempo la realtà vissuta è materialmente invasa dalla contemplazione dello spettacolo, e riprende in se stessa l'ordine spettacolare, offrendogli un'adesione positiva. La realtà oggettiva è presente su entrambi i lati. Ogni nozione così fissata non ha per fondo che il suo passaggio all'opposto: la realtà sorge nello spettacolo e lo spettacolo è reale. Questa reciproca alienazione è l'essenza e il sostegno della società esistente.
9. Nel mondo falsamente rovesciato, il vero è un momento del falso.
10. Il concetto di spettacolo unifica e spiega una gran diversità di fenomeni apparenti. Le loro diversità e i loro contrasti sono le apparenze di quest'apparenza socialmente organizzata che dev'essere essa stessa riconosciuta nella propria verità generale. Considerato secondo i suoi veri termini, lo spettacolo è l'affermazione dell'apparenza e l'affermazione di ogni vita umana, cioè sociale, come semplice apparenza. Ma la critica, che coglie la verità dello spettacolo, lo scopre come la negazione visibile della vita; come negazione della vita che è divenuta visibile.
11. Per descrivere lo spettacolo, la sua formazione, le sue funzioni e le forze che tendono alla sua dissoluzione, bisogna distinguere artificialmente degli elementi inseparabili. Analizzando lo spettacolo, si parla in una certa misura il linguaggio stesso dello spettacolare, in quanto si passa sul terreno metodologico di questa stessa società che si esprime nello spettacolo. Ma lo spettacolo non è niente altro che il senso della pratica totale di una formazione economico-sociale, del suo impiego del tempo. E' il momento storico che ci contiene.
12. Lo spettacolo si presenta come enorme positività indiscutibile e inaccessibile. Esso non dice niente di più che "ciò che appare è buono, e ciò che è buono appare". L'attitudine che esige per principio è questa accettazione passiva che esso di fatto ha già ottenuto attraverso il suo modo di apparire insindacabile, con il suo monopolio dell'apparenza.
13. Il carattere fondamentalmente tautologico dello spettacolo, deriva dal semplice fatto che i suoi mezzi sono nel contempo anche i suoi scopi. E' il sole che non tramonta mai sull'impero della passività moderna. Esso ricopre tutta la superficie del mondo e si bagna indefinitamente nella propria gloria.
14. La società basata sull'industria moderna non è fortuitamente o superficialmente spettacolare, essa è fondamentalmente spettacolista. Nello spettacolo, immagine dell'economia dominante, il fine non è niente, lo sviluppo è tutto. Lo spettacolo non vuole realizzarsi che solo in se stesso.
15. In quanto indispensabile parure degli oggetti attualmente prodotti, in quanto esposizione generale della razionalità del sistema, in quanto settore economico avanzato, che manipola direttamente una crescente moltitudine di immagini-oggetto, lo spettacolo è la principale produzione della società attuale.
16. Lo spettacolo sottomette gli uomini viventi nella misura in cui l'economia li ha totalmente sottomessi. Esso non è altro che l'economia sviluppantesi per se stessa. E' il riflesso fedele della produzione delle cose e l'oggettivazione infedele dei produttori.
17. La prima fase del dominio dell'economia sulla vita sociale aveva originato, nella definizione di ogni realizzazione umana, un'evidente degradazione dell'essere in avere. La fase presente dell'occupazione totale della vita sociale da parte dei risultati accumulati dell'economia, conduce a uno slittamento generalizzato dell'avere nell'apparire, da cui ogni "avere" effettivo deve desumere il proprio prestigio immediato e la propria funzione ultima. Nello stesso tempo ogni realtà individuale è divenuta sociale, direttamente dipendente dalla potenza sociale da essa plasmata. Le è permesso di apparire solo in ciò che essa non è.
18. Là dove il mondo reale si cambia in semplici immagini, le semplici immagini diventano degli esseri reali, e le motivazioni efficienti di un comportamento ipnotico. Lo spettacolo, come tendenza a far vedere attraverso differenti mediazioni specializzate il mondo che non è più direttamente percepibile, trova normalmente nella vista il senso umano privilegiato, che in altre epoche fu il tatto; il senso più astratto, più mistificabile, corrisponde all'astrazione generalizzata della società attuale. Ma lo spettacolo non è identificabile con il semplice sguardo, anche se combinato con l'ascolto. Esso è ciò che sfugge all'attività degli uomini, alla riconsiderazione e alla correzione della loro opera. E' il contrario del dialogo. Dovunque c'è una rappresentazione indipendente, là lo spettacolo si ricostituisce.
19. Lo spettacolo è l'erede di tutta la debolezza del progetto filosofico occidentale, che costituì pure una comprensione dell'attività, dominata dalle categorie del vedere; così come si fonda sull'incessante dispiegamento della precisa razionalità tecnica che è derivata da questo pensiero. Esso non realizza la
filosofia, filosofizza la realtà. E' la vita concreta di tutti che si è degradata in un universo speculativo.
20. La filosofia, in quanto potere del pensiero separato, e pensiero del potere separato, non ha mai potuto da se stessa andare oltre la teologia. Lo spettacolo è la ricostruzione materiale dell'illusione religiosa. La tecnica spettacolare non ha dissipato le nubi religiose, in cui gli uomini avevano collocato i propri poteri distaccati da se stessi: essa li ha semplicemente ricongiunti a una base terrena; così è la vita più terrena che diviene opaca e irrespirabile. Essa non rigetta più nel cielo, ma alberga in sé il proprio rifiuto, il proprio fallace paradiso. Lo spettacolo è la realizzazione tecnica dell'esilio dei poteri umani in un al di là; scissione realizzata all'interno dell'uomo.
21. Più la necessità viene ad essere socialmente sognata, più il sogno diviene necessario. Lo spettacolo è il cattivo sogno della moderna società incatenata, che non esprime in definitiva se non il proprio desiderio di dormire. Lo spettacolo è il guardiano di questo sonno.
22. Il fatto che la potenza pratica della società moderna si sia staccata da se stessa, e si sia edificata un impero indipendente nello spettacolo, non può spiegarsi che con quest'altro fatto, che questa potente pratica continuava a mancare di coesione ed era rimasta in contraddizione con se stessa.
23. E' la più vecchia specializzazione sociale, la specializzazione del potere, che è alla radice dello spettacolo. Lo spettacolo è quindi un'attività specializzata che parla per l'insieme delle altre. E' la rappresentazione diplomatica della società gerarchica innanzi a se stessa, dove ogni altra parola è bandita. Il più moderno qui è anche il più arcaico.
24. Lo spettacolo è il discorso ininterrotto che l'ordine presente tiene su se stesso, il suo monologo elogiativo. E' l'autoritratto del potere all'epoca della sua gestione totalitaria delle condizioni d'esistenza. L'apparenza feticistica della pura oggettività nelle relazioni spettacolari nasconde il loro carattere di relazione tra uomini e tra classi: una seconda natura sembra dominare il nostro ambiente con le sue leggi fatali. Ma lo spettacolo non è un prodotto necessario dello sviluppo tecnico visto come sviluppo naturale. La società dello spettacolo è al contrario la forma che sceglie il proprio contenuto tecnico. Se lo spettacolo, esaminato sotto l'aspetto ristretto dei "mezzi di comunicazione di massa", che sono la sua manifestazione superficiale più soggiogante, può sembrare invadere la società come una semplice strumentazione, questa non è concretamente nulla di neutro, ma la strumentazione stessa è funzionale al suo auto-movimento totale. Se i bisogni sociali dell'epoca, in cui si sviluppano simili tecniche, non possono trovare soddisfazione se non tramite la loro mediazione, se l'amministrazione di questa società e ogni contatto fra gli uomini non possono più esercitarsi se non mediante questa potenza di comunicazione istantanea, è perché questa "comunicazione" è essenzialmente unilaterale; di modo che la sua concentrazione consente di accumulare nelle mani dell'amministrazione del sistema esistente i mezzi che gli permettono di continuare questa amministrazione determinata. La scissione generalizzata dello spettacolo è inseparabile dallo Stato moderno, vale a dire dalla forma generale della scissione nella società, prodotta dalla divisione del lavoro sociale e organo del dominio di classe.
25. La separazione è l'alfa e l'omega dello spettacolo. L'istituzionalizzazione della divisione sociale del lavoro, la formazione delle classi avevano elevato una prima contemplazione sacra, l'ordine mitico di cui ogni potere si ammanta fin dalle proprie origini. Il sacro ha giustificato l'ordinamento cosmico e ontologico che corrispondeva agli interessi dei padroni, ha spiegato e abbellito ciò che la società non poteva fare. Ogni potere separato è dunque spettacolare, ma l'adesione di tutti a una simile immagine immobile non significava altro che il comune riconoscimento di un prolungamento immaginario alla povertà dell'attività sociale reale, ancora largamente avvertita come una condizione unitaria. Lo spettacolo moderno al contrario esprime ciò che la società può fare, ma in questa espressione il permesso si oppone in modo assoluto al possibile. Lo spettacolo è la conservazione dell'incoscienza nel cambiamento pratico delle condizioni d'esistenza. Esso è il proprio prodotto, ed è esso stesso che ha posto le sue regole: si tratta di uno pseudo-sacro. Esso mostra ciò che è: la potenza separata sviluppatasi in se stessa, nella crescita della produttività realizzata mediante il raffinamento incessante della divisione del lavoro nella parcellizzazione dei gesti, allora dominati dal movimento indipendente delle macchine, al lavoro per un mercato sempre più esteso. Ogni comunità e ogni senso critico si sono dissolti nel corso di questo movimento, nel quale le forze che hanno potuto crescere separandosi non si sono ancora ritrovate.
26. Con la divisione generalizzata del lavoratore e del suo prodotto, si perde ogni punto di vista unitario dell'attività svolta, si perde ogni comunicazione personale diretta tra i produttori. Seguendo il progresso dell'accumulazione dei prodotti divisi e della concentrazione del processo produttivo, l'unità e la comunicazione divengono attributo esclusivo della direzione del sistema. Il successo del sistema economico della separazione è la proletarizzazione del mondo.
27. Per la riuscita stessa della produzione separata in quanto produzione del separato, l'esperienza fondamentale, legata nelle società primitive a un lavoro principale, sta spostandosi al polo dello sviluppo del sistema, verso il non-lavoro, l'inattività. Ma questa inattività non è per nulla liberata dall'attività produttiva: dipende da essa, è una sottomissione inquieta e ammirativa alle necessità e ai risultati della produzione: è essa stessa un prodotto della sua razionalità. Non ci può essere libertà al di fuori dell'attività, e nell'ambito dello spettacolo ogni attività è negata, esattamente come l'attività reale è stata integralmente captata per l'edificazione globale di questo risultato. Così l'attuale "liberazione dal lavoro", l'aumento dei divertimenti, non costituiscono in alcun modo liberazione nel lavoro, né liberazione di un mondo modellato da questo lavoro. Nulla dell'attività rubata nel lavoro può ritrovarsi nella sottomissione al suo risultato.
28. Il sistema economico fondato sull'isolamento è una produzione circolare dell'isolamento. L'isolamento fonda la tecnica, e il processo tecnico isola a sua volta. Dall'automobile alla televisione, tutti i beni selezionati dal sistema spettacolare sono anche le sue armi per il rafforzamento costante delle condizioni d'isolamento delle "folle solitarie". Lo spettacolo ritrova sempre più concretamente i propri presupposti.
29. L'origine dello spettacolo è la perdita dell'unità del mondo; e l'espansione gigantesca dello spettacolo moderno esprime la totalità di questa perdita: l'astrazione di ogni lavoro particolare e l'astrazione generale della produzione d'insieme si traducono perfettamente nello spettacolo, il cui modo di essere concreto è giustamente l'astrazione. Nello spettacolo, una parte del mondo si rappresenta davanti al mondo, e gli è superiore. Lo spettacolo non è che il linguaggio comune di questa separazione. Ciò che lega gli spettatori non è che un rapporto irreversibile allo stesso centro che mantiene il loro isolamento. Lo spettacolo riunisce il separato ma lo riunisce in quanto separato.
30. L'alienazione spettatore a vantaggio dell'oggetto contemplato (che è il risultato della propria attività incosciente) si esprime così: più esso contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la propria esistenza e il proprio desiderio. L'esteriorità dello spettacolo, in rapporto all'uomo agente, si manifesta nel fatto che i suoi gesti non sono più suoi, ma di un altro che glieli rappresenta. Questo perché lo spettatore non si sente a casa propria da nessuna parte, perché lo spettacolo è dappertutto.
31. Il lavoratore non produce più se stesso, egli produce una potenza indipendente. Il successo di questa produzione, la sua abbondanza, ritorna al produttore come abbondanza dell'espropriazione. Tutto il tempo e lo spazio del suo mondo gli divengono estranei con l'accumulazione dei suoi prodotti alienati. Lo spettacolo è la mappa di questo nuovo mondo, mappa che copre esattamente lo spazio del suo territorio. Le forze stesse che ci sono sfuggite si mostrano a noi in tuta la loro potenza.
32. Lo spettacolo nella società corrisponde a una fabbricazione concreta dell'alienazione. L'espansione economica è principalmente l'espansione di questa produzione industriale precisa. Ciò che cresce con l'economia, muovendosi autonomamente per se stessa, non può essere che l'alienazione che era propriamente insita nel suo nucleo originario.
33. L'uomo separato dal proprio prodotto sempre più potentemente produce esso stesso tutti i dettagli del proprio mondo. Quanto più la vita è ora il suo prodotto, tanto più è separato dalla propria vita.
34. Lo spettacolo è il capitale a un tale grado di accumulazione da divenire immagine.
1. L'intera vita delle società, in cui dominano le moderne condizioni di produzione, si annuncia come un immenso accumulo di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione.
2. Le immagini che si sono staccate da ciascun aspetto della vita, si fondono in un unico insieme, in cui l'unità di questa vita non può più essere ristabilita. La realtà considerata parzialmente si dispiega nella propria unità generale in quanto pseudo-mondo a parte, oggetto di sola contemplazione. La specializzazione delle immagini del mondo si ritrova, realizzata, nel mondo dell'immagine resa autonoma, in cui il mentitore mente a se stesso. Lo spettacolo in generale, come inversione concreta della vita, è il movimento autonomo del non-vivente.
3. Lo spettacolo si presenta nello stesso tempo come la società stessa, come parte della società, e come strumento di unificazione. In quanto parte della società, esso è espressamente il settore più tipico che concentra ogni sguardo e ogni coscienza. Per il fatto stesso che questo settore è separato, è il luogo dell'inganno visivo e della falsa coscienza; e l'unificazione che esso realizza non è altro che un linguaggio ufficiale della separazione generalizzata.
4. Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale tra le persone, mediato dalle immagini.
5. Lo spettacolo non può essere compreso come l'abuso di un mondo visivo, il prodotto delle tecniche di diffusione massiva di immagini. Esso è piuttosto una Weltanschauung divenuta effettiva, materialmente tradotta. Si tratta di una visione del mondo che si è oggettivata.
6. Lo spettacolo, compreso nella sua totalità, è nello stesso tempo il risultato e il progetto del modo di produzione esistente. Non è un supplemento del mondo reale, il suo sovrapposto ornamento. Esso è il cuore dell'irrealismo della società reale. Nell'insieme delle sue forme particolari, informazione o propaganda, pubblicità o consumo diretto dei divertimenti, lo spettacolo costituisce il modello presente della vita socialmente dominante. E' l'affermazione onnipresente della scelta già fatta nella produzione, e il suo consumo ne è corollario. Forma e contenuto dello spettacolo sono ambedue l'identica giustificazione totale delle condizioni e dei fini del sistema esistente. Lo spettacolo è anche la presenza permanente di questa giustificazione, in quanto occupazione della parte principale del tempo vissuto al di fuori della produzione moderna.
7. La separazione fa parte essa stessa dell'unità del mondo, della prassi sociale globale, che si è scissa in realtà e in immagine. La pratica sociale, di fronte alla quale si pone lo spettacolo autonomo, è anche la totalità reale che contiene lo spettacolo. Ma la scissione in questa totalità la mutila al punto da far apparire lo spettacolo come il suo scopo. Il linguaggio dello spettacolo è strutturato con i segni della produzione imperante, che sono nello stesso tempo la finalità ultima di questa produzione.
8. Non si possono opporre astrattamente lo spettacolo e l'attività sociale effettiva; questo sdoppiamento è esso stesso sdoppiato. Lo spettacolo che inverte il reale è effettivamente prodotto. E nello stesso tempo la realtà vissuta è materialmente invasa dalla contemplazione dello spettacolo, e riprende in se stessa l'ordine spettacolare, offrendogli un'adesione positiva. La realtà oggettiva è presente su entrambi i lati. Ogni nozione così fissata non ha per fondo che il suo passaggio all'opposto: la realtà sorge nello spettacolo e lo spettacolo è reale. Questa reciproca alienazione è l'essenza e il sostegno della società esistente.
9. Nel mondo falsamente rovesciato, il vero è un momento del falso.
10. Il concetto di spettacolo unifica e spiega una gran diversità di fenomeni apparenti. Le loro diversità e i loro contrasti sono le apparenze di quest'apparenza socialmente organizzata che dev'essere essa stessa riconosciuta nella propria verità generale. Considerato secondo i suoi veri termini, lo spettacolo è l'affermazione dell'apparenza e l'affermazione di ogni vita umana, cioè sociale, come semplice apparenza. Ma la critica, che coglie la verità dello spettacolo, lo scopre come la negazione visibile della vita; come negazione della vita che è divenuta visibile.
11. Per descrivere lo spettacolo, la sua formazione, le sue funzioni e le forze che tendono alla sua dissoluzione, bisogna distinguere artificialmente degli elementi inseparabili. Analizzando lo spettacolo, si parla in una certa misura il linguaggio stesso dello spettacolare, in quanto si passa sul terreno metodologico di questa stessa società che si esprime nello spettacolo. Ma lo spettacolo non è niente altro che il senso della pratica totale di una formazione economico-sociale, del suo impiego del tempo. E' il momento storico che ci contiene.
12. Lo spettacolo si presenta come enorme positività indiscutibile e inaccessibile. Esso non dice niente di più che "ciò che appare è buono, e ciò che è buono appare". L'attitudine che esige per principio è questa accettazione passiva che esso di fatto ha già ottenuto attraverso il suo modo di apparire insindacabile, con il suo monopolio dell'apparenza.
13. Il carattere fondamentalmente tautologico dello spettacolo, deriva dal semplice fatto che i suoi mezzi sono nel contempo anche i suoi scopi. E' il sole che non tramonta mai sull'impero della passività moderna. Esso ricopre tutta la superficie del mondo e si bagna indefinitamente nella propria gloria.
14. La società basata sull'industria moderna non è fortuitamente o superficialmente spettacolare, essa è fondamentalmente spettacolista. Nello spettacolo, immagine dell'economia dominante, il fine non è niente, lo sviluppo è tutto. Lo spettacolo non vuole realizzarsi che solo in se stesso.
15. In quanto indispensabile parure degli oggetti attualmente prodotti, in quanto esposizione generale della razionalità del sistema, in quanto settore economico avanzato, che manipola direttamente una crescente moltitudine di immagini-oggetto, lo spettacolo è la principale produzione della società attuale.
16. Lo spettacolo sottomette gli uomini viventi nella misura in cui l'economia li ha totalmente sottomessi. Esso non è altro che l'economia sviluppantesi per se stessa. E' il riflesso fedele della produzione delle cose e l'oggettivazione infedele dei produttori.
17. La prima fase del dominio dell'economia sulla vita sociale aveva originato, nella definizione di ogni realizzazione umana, un'evidente degradazione dell'essere in avere. La fase presente dell'occupazione totale della vita sociale da parte dei risultati accumulati dell'economia, conduce a uno slittamento generalizzato dell'avere nell'apparire, da cui ogni "avere" effettivo deve desumere il proprio prestigio immediato e la propria funzione ultima. Nello stesso tempo ogni realtà individuale è divenuta sociale, direttamente dipendente dalla potenza sociale da essa plasmata. Le è permesso di apparire solo in ciò che essa non è.
18. Là dove il mondo reale si cambia in semplici immagini, le semplici immagini diventano degli esseri reali, e le motivazioni efficienti di un comportamento ipnotico. Lo spettacolo, come tendenza a far vedere attraverso differenti mediazioni specializzate il mondo che non è più direttamente percepibile, trova normalmente nella vista il senso umano privilegiato, che in altre epoche fu il tatto; il senso più astratto, più mistificabile, corrisponde all'astrazione generalizzata della società attuale. Ma lo spettacolo non è identificabile con il semplice sguardo, anche se combinato con l'ascolto. Esso è ciò che sfugge all'attività degli uomini, alla riconsiderazione e alla correzione della loro opera. E' il contrario del dialogo. Dovunque c'è una rappresentazione indipendente, là lo spettacolo si ricostituisce.
19. Lo spettacolo è l'erede di tutta la debolezza del progetto filosofico occidentale, che costituì pure una comprensione dell'attività, dominata dalle categorie del vedere; così come si fonda sull'incessante dispiegamento della precisa razionalità tecnica che è derivata da questo pensiero. Esso non realizza la
filosofia, filosofizza la realtà. E' la vita concreta di tutti che si è degradata in un universo speculativo.
20. La filosofia, in quanto potere del pensiero separato, e pensiero del potere separato, non ha mai potuto da se stessa andare oltre la teologia. Lo spettacolo è la ricostruzione materiale dell'illusione religiosa. La tecnica spettacolare non ha dissipato le nubi religiose, in cui gli uomini avevano collocato i propri poteri distaccati da se stessi: essa li ha semplicemente ricongiunti a una base terrena; così è la vita più terrena che diviene opaca e irrespirabile. Essa non rigetta più nel cielo, ma alberga in sé il proprio rifiuto, il proprio fallace paradiso. Lo spettacolo è la realizzazione tecnica dell'esilio dei poteri umani in un al di là; scissione realizzata all'interno dell'uomo.
21. Più la necessità viene ad essere socialmente sognata, più il sogno diviene necessario. Lo spettacolo è il cattivo sogno della moderna società incatenata, che non esprime in definitiva se non il proprio desiderio di dormire. Lo spettacolo è il guardiano di questo sonno.
22. Il fatto che la potenza pratica della società moderna si sia staccata da se stessa, e si sia edificata un impero indipendente nello spettacolo, non può spiegarsi che con quest'altro fatto, che questa potente pratica continuava a mancare di coesione ed era rimasta in contraddizione con se stessa.
23. E' la più vecchia specializzazione sociale, la specializzazione del potere, che è alla radice dello spettacolo. Lo spettacolo è quindi un'attività specializzata che parla per l'insieme delle altre. E' la rappresentazione diplomatica della società gerarchica innanzi a se stessa, dove ogni altra parola è bandita. Il più moderno qui è anche il più arcaico.
24. Lo spettacolo è il discorso ininterrotto che l'ordine presente tiene su se stesso, il suo monologo elogiativo. E' l'autoritratto del potere all'epoca della sua gestione totalitaria delle condizioni d'esistenza. L'apparenza feticistica della pura oggettività nelle relazioni spettacolari nasconde il loro carattere di relazione tra uomini e tra classi: una seconda natura sembra dominare il nostro ambiente con le sue leggi fatali. Ma lo spettacolo non è un prodotto necessario dello sviluppo tecnico visto come sviluppo naturale. La società dello spettacolo è al contrario la forma che sceglie il proprio contenuto tecnico. Se lo spettacolo, esaminato sotto l'aspetto ristretto dei "mezzi di comunicazione di massa", che sono la sua manifestazione superficiale più soggiogante, può sembrare invadere la società come una semplice strumentazione, questa non è concretamente nulla di neutro, ma la strumentazione stessa è funzionale al suo auto-movimento totale. Se i bisogni sociali dell'epoca, in cui si sviluppano simili tecniche, non possono trovare soddisfazione se non tramite la loro mediazione, se l'amministrazione di questa società e ogni contatto fra gli uomini non possono più esercitarsi se non mediante questa potenza di comunicazione istantanea, è perché questa "comunicazione" è essenzialmente unilaterale; di modo che la sua concentrazione consente di accumulare nelle mani dell'amministrazione del sistema esistente i mezzi che gli permettono di continuare questa amministrazione determinata. La scissione generalizzata dello spettacolo è inseparabile dallo Stato moderno, vale a dire dalla forma generale della scissione nella società, prodotta dalla divisione del lavoro sociale e organo del dominio di classe.
25. La separazione è l'alfa e l'omega dello spettacolo. L'istituzionalizzazione della divisione sociale del lavoro, la formazione delle classi avevano elevato una prima contemplazione sacra, l'ordine mitico di cui ogni potere si ammanta fin dalle proprie origini. Il sacro ha giustificato l'ordinamento cosmico e ontologico che corrispondeva agli interessi dei padroni, ha spiegato e abbellito ciò che la società non poteva fare. Ogni potere separato è dunque spettacolare, ma l'adesione di tutti a una simile immagine immobile non significava altro che il comune riconoscimento di un prolungamento immaginario alla povertà dell'attività sociale reale, ancora largamente avvertita come una condizione unitaria. Lo spettacolo moderno al contrario esprime ciò che la società può fare, ma in questa espressione il permesso si oppone in modo assoluto al possibile. Lo spettacolo è la conservazione dell'incoscienza nel cambiamento pratico delle condizioni d'esistenza. Esso è il proprio prodotto, ed è esso stesso che ha posto le sue regole: si tratta di uno pseudo-sacro. Esso mostra ciò che è: la potenza separata sviluppatasi in se stessa, nella crescita della produttività realizzata mediante il raffinamento incessante della divisione del lavoro nella parcellizzazione dei gesti, allora dominati dal movimento indipendente delle macchine, al lavoro per un mercato sempre più esteso. Ogni comunità e ogni senso critico si sono dissolti nel corso di questo movimento, nel quale le forze che hanno potuto crescere separandosi non si sono ancora ritrovate.
26. Con la divisione generalizzata del lavoratore e del suo prodotto, si perde ogni punto di vista unitario dell'attività svolta, si perde ogni comunicazione personale diretta tra i produttori. Seguendo il progresso dell'accumulazione dei prodotti divisi e della concentrazione del processo produttivo, l'unità e la comunicazione divengono attributo esclusivo della direzione del sistema. Il successo del sistema economico della separazione è la proletarizzazione del mondo.
27. Per la riuscita stessa della produzione separata in quanto produzione del separato, l'esperienza fondamentale, legata nelle società primitive a un lavoro principale, sta spostandosi al polo dello sviluppo del sistema, verso il non-lavoro, l'inattività. Ma questa inattività non è per nulla liberata dall'attività produttiva: dipende da essa, è una sottomissione inquieta e ammirativa alle necessità e ai risultati della produzione: è essa stessa un prodotto della sua razionalità. Non ci può essere libertà al di fuori dell'attività, e nell'ambito dello spettacolo ogni attività è negata, esattamente come l'attività reale è stata integralmente captata per l'edificazione globale di questo risultato. Così l'attuale "liberazione dal lavoro", l'aumento dei divertimenti, non costituiscono in alcun modo liberazione nel lavoro, né liberazione di un mondo modellato da questo lavoro. Nulla dell'attività rubata nel lavoro può ritrovarsi nella sottomissione al suo risultato.
28. Il sistema economico fondato sull'isolamento è una produzione circolare dell'isolamento. L'isolamento fonda la tecnica, e il processo tecnico isola a sua volta. Dall'automobile alla televisione, tutti i beni selezionati dal sistema spettacolare sono anche le sue armi per il rafforzamento costante delle condizioni d'isolamento delle "folle solitarie". Lo spettacolo ritrova sempre più concretamente i propri presupposti.
29. L'origine dello spettacolo è la perdita dell'unità del mondo; e l'espansione gigantesca dello spettacolo moderno esprime la totalità di questa perdita: l'astrazione di ogni lavoro particolare e l'astrazione generale della produzione d'insieme si traducono perfettamente nello spettacolo, il cui modo di essere concreto è giustamente l'astrazione. Nello spettacolo, una parte del mondo si rappresenta davanti al mondo, e gli è superiore. Lo spettacolo non è che il linguaggio comune di questa separazione. Ciò che lega gli spettatori non è che un rapporto irreversibile allo stesso centro che mantiene il loro isolamento. Lo spettacolo riunisce il separato ma lo riunisce in quanto separato.
30. L'alienazione spettatore a vantaggio dell'oggetto contemplato (che è il risultato della propria attività incosciente) si esprime così: più esso contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la propria esistenza e il proprio desiderio. L'esteriorità dello spettacolo, in rapporto all'uomo agente, si manifesta nel fatto che i suoi gesti non sono più suoi, ma di un altro che glieli rappresenta. Questo perché lo spettatore non si sente a casa propria da nessuna parte, perché lo spettacolo è dappertutto.
31. Il lavoratore non produce più se stesso, egli produce una potenza indipendente. Il successo di questa produzione, la sua abbondanza, ritorna al produttore come abbondanza dell'espropriazione. Tutto il tempo e lo spazio del suo mondo gli divengono estranei con l'accumulazione dei suoi prodotti alienati. Lo spettacolo è la mappa di questo nuovo mondo, mappa che copre esattamente lo spazio del suo territorio. Le forze stesse che ci sono sfuggite si mostrano a noi in tuta la loro potenza.
32. Lo spettacolo nella società corrisponde a una fabbricazione concreta dell'alienazione. L'espansione economica è principalmente l'espansione di questa produzione industriale precisa. Ciò che cresce con l'economia, muovendosi autonomamente per se stessa, non può essere che l'alienazione che era propriamente insita nel suo nucleo originario.
33. L'uomo separato dal proprio prodotto sempre più potentemente produce esso stesso tutti i dettagli del proprio mondo. Quanto più la vita è ora il suo prodotto, tanto più è separato dalla propria vita.
34. Lo spettacolo è il capitale a un tale grado di accumulazione da divenire immagine.
martedì 11 ottobre 2016
da libro a libro Giancarla Colombo in Villa Litta
GianCarla Colombo, ci illustra le 3 correnti che animano la mostra "da libro a libro"
alcune foto dell'inaugurazione della mostra